
Vangelo secondo San Luca 12,13-21:
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede».
Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Il Pozzo dei desideri
Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes
Roma, 3 agosto 2025 | XVIII Domenica del Tempo Ordinario
Qoelet 1, 2. 2, 21-23; Colossesi 3, 1-5.9-11; Luca 12, 13-21
Una leggenda: Il pozzo dei desideri. Arsenio era un uomo povero ma saggio, noto per la sua generosità. Un giorno, mentre camminava nel bosco, trovò, nascosto dalla vegetazione, un antico pozzo con un’iscrizione: “Qualunque cosa chiederai, ti sarà data. Ma ogni desiderio avrà un prezzo nascosto”.
Nonostante l’avvertimento, Arsenio chiese una moneta d’oro, solo una, con la quale intendeva comprare cibo per i bisognosi. Il giorno dopo, trovò la moneta accanto al suo letto. Vedendo che la promessa era stata mantenuta, decise di chiederne un’altra… e un’altra ancora. Ben presto la sua casa si riempì d’oro.
Gli abitanti del paese, appresa la sua improvvisa fortuna, accorsero in massa. All’inizio, li aiutò volentieri. Ma poi qualcosa cambiò. Più oro possedeva, più temeva di perderlo. La sua generosità si trasformò in paura e quasi in paranoia, la sua saggezza in disprezzo, la sua gioia in invidia.
Iniziò a pensare che tutti volessero derubarlo, così chiuse la casa, costruì muri e assunse guardie. Non usciva più, non aiutava più. Presto, sorsero altri peccati: la superbia, al credersi superiore; la rabbia, al diffidare di tutti; la gola, al godere degli eccessi in solitudine; la lussuria, nel cercare piaceri vuoti per riempire la propria anima; e infine, l’infinita tristezza di non avere nessuno.
Un giorno, tornò al pozzo e gridò: “Restituiscimi la mia pace! Toglimi l’oro!”. Ma il pozzo rimase in silenzio. L’avarizia aveva messo radici, e da essa scaturirono gli altri mali che lo consumarono.
Che questa piccola leggenda serva a illustrare quanto sia facile scivolare dai migliori desideri all’avidità più egoistica. L’avidità è un desiderio eccessivo e insaziabile di possedere beni materiali, potere o piaceri, soprattutto quando viene ricercato egoisticamente, senza riguardo per il danno altrui. Oggi Cristo fa l’esempio dei beni materiali, perché è il più facile da comprendere… sebbene molti di noi non abbiano nemmeno l’opportunità di essere tentati dal denaro in abbondanza.
Non ci vuole molto a capire come l’avidità spieghi le nostre mancanze nei confronti di Povertà, Castità e Obbedienza: l’avidità ci fa sentire padroni assoluti del tempo, dei nostri talenti, dell’immagine o del corpo degli altri, dei nostri desideri.
L’attaccamento al denaro infatti è la radice di tutti i mali e alcuni, per l’avidità, si sono allontanati dalla fede e si sono procurati molti guai. (1Tim 6, 10).
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L’avidità porta molte disgrazie non solo a chi vi si sottomette, ma anche alla comunità, a chi le è vicino. Già l’Antico Testamento ci offre esempi terribili, nel linguaggio dell’epoca. Uno dei casi meno noti è quello di Acan, che possiamo leggere nel capitolo 7 del Libro di Giosuè.
Dopo la caduta di Gerico, Dio aveva comandato che tutto il bottino della città fosse consacrato a Lui e che nessuno prendesse nulla per sé. Ma Acan disobbedì.
Poi Acan confessò: «In verità, proprio io ho peccato contro il Signore, Dio di Israele, e ho fatto questo e quest’altro. Avevo visto nel bottino un bel mantello di Sennaar, duecento sicli d’argento e un lingotto d’oro del peso di cinquanta sicli; ne sentii bramosia e li presi ed eccoli nascosti in terra in mezzo alla mia tenda e l’argento è sotto».(Giosuè 7, 20-21)
A causa di questo atto, Israele fu sconfitto nella battaglia successiva e Acan e la sua famiglia furono severamente puniti. Questo impressionante racconto si conclude così:
Giosuè e tutti gli Israeliti presero Acan di Zerach e lo portarono alla valle di Acor insieme all’argento, al mantello, e al lingotto d’oro; presero anche i suoi figli, le sue figlie, il suo bestiame, la sua tenda e tutto quanto gli apparteneva. Arrivati alla valle di Acor, Giosuè disse: «Come tu hai portato sventura a noi, così il Signore oggi la porti a te!». Tutto Israele lapidò Acan e i suoi, poi li bruciarono tutti. Eressero poi sul posto un gran mucchio di pietre, che esiste fino ad oggi. Il Signore allora desistette dal suo tremendo sdegno. (…)
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L’avidità non si limita solo al denaro. Può manifestarsi come un desiderio eccessivo di prestigio, di beni altrui, di influenza, di affetto o come un uso capriccioso delle proprie capacità.
Implica una mancanza di libertà, poiché la persona avida non è mai soddisfatta; vuole sempre di più.
L’avidità si manifesta quando il desiderio domina una persona e sostituisce la generosità, la giustizia, la gratitudine o il rispetto per gli altri. In realtà, l’effetto più devastante è che distrugge la nostra sensibilità verso il prossimo e, quindi, verso Dio.
È proprio qui che deve risiedere la nostra lotta quotidiana: imparare a gestire bene le ricchezze della terra affinché conducano al cielo e diventino le ricchezze del cielo. Non si tratta semplicemente di “evitare le tentazioni dell’avidità”, ma di compiere uno sforzo ascetico e attivo per usare fruttuosamente i doni che abbiamo ricevuto, molti dei quali non sono così evidenti, perché forse non li abbiamo mai messi a frutto, cioè al servizio degli altri. Ciò può essere dovuto a banale convenienza o per non aver sviluppato abbastanza la sensibilità verso gli altri. L’avidità ci fa dimenticare che tutto ciò che abbiamo è un dono.
La Prima Lettura, con una buona dose di ironia, ci ricorda i limiti delle nostre opere migliori, che non possono sostituire Dio come centro della nostra esistenza: “C’è chi lavora con sapienza, scienza e abilità, ma ne lascerà una parte a chi non ha lavorato”.
Nella Seconda Lettura, San Paolo, con il suo stile vivace ed energico, vuole ricordarci la nostra identità in Gesù Cristo:
Non mentitevi gli uni gli altri! Vi siete infatti spogliati dell’uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, a immagine del suo Creatore. Qui non c’è più Greco o Giudeo, circoncisione o non-circoncisione, barbaro, Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto e in tutti.
Un esempio classico è il fenomeno degli “influencer” che promuovono prodotti che neppure usano, o ideali che non praticano. Eppure, milioni di persone li seguono, credendo che, se diventano più simili a loro, saranno più vicini alla felicità. Questo è il noto fenomeno dell’identificazione con gli idoli che creiamo. Questo tipo di identificazione si verifica frequentemente nella cultura contemporanea, dove i media e i social network elevano figure che rappresentano ideali superficiali, generando aspettative irrealistiche di successo, bellezza o felicità.
Cristo ci offre oggi due chiavi per superare l’avidità. Una, senza dubbio, è riflettere sulla brevità della vita. Ma la seconda, ancora più importante, è la sua conclusione alla fine della parabola del contadino prospero e di successo: Questo è ciò che accade a coloro che accumulano ricchezza per sé stessi, invece di essere ricchi davanti a Dio.
Si tratta di vivere liberamente di fronte a quelli che considero i miei successi o fallimenti e, quindi, con la grazia, continuare a fare il bene.
Sebbene questo sia un esempio storico, apparentemente diverso dalle nostre vite, è sorprendente e spettacolare, ma ricordiamoci come anche le persone più dotate possano cadere nell’avidità.
Re Luigi XIV fu re di Francia dal 1643 al 1715, guidando il regno più lungo della storia europea moderna. Dichiarò con orgoglio: “Lo Stato sono io”.
Aveva pianificato un funerale davvero spettacolare. Diede istruzioni al vescovo Massillon che, alla sua morte, sarebbe stato sepolto in una bara dorata nella cattedrale di Notre-Dame a Parigi; al suo funerale, l’intera chiesa sarebbe stata completamente al buio, illuminata solo da una candela posta sulla bara.
Ciò fu fatto affinché tutti fossero impressionati dalla presenza del grande re, anche dopo la sua morte. Quando morì, il vescovo Massillon fece esattamente come il re aveva ordinato.
Al funerale, migliaia di persone ammirarono la squisita bara contenente i resti mortali del loro monarca, illuminata da una sola candela tremolante.
Tuttavia, quando il funerale iniziò, il vescovo, profondo conoscitore del cuore umano, si inchinò lentamente e, con sorpresa di tutti, spense la candela che rappresentava la grandezza del defunto re! Poi, nell’oscurità, proclamò a tutti i presenti: “Solo Dio è grande!”.
Papa Francesco insisteva sul fatto che l’avidità non è un peccato esclusivo dei ricchi. Anche chi ha poco può cadere nella trappola di molti attaccamenti. Ciò che è decisivo è l’atteggiamento del cuore.
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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,
Luis CASASUS
Presidente