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Vangelo e riflessione

L’ultima volontà di Cristo | Vangelo del giorno, 22 giugno

By 18 Giugno, 2025No Comments


Vangelo secondo San Luca 9,11b-17:

In quel tempo, Gesù prese a parlare alle folle del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: «Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta». Gesù disse loro: «Voi stessi date loro da mangiare». Ma essi risposero: «Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente».
C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: «Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa». Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste.

L’ultima volontà di Cristo

Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes

Roma, 22 giugno 2025 | Corpo e Sangue di Cristo

Genesi 14, 18-20; 1Corinzi 11, 23-26; Luca 9, 11b-17

Alcune persone non si preoccupano di meditare sul significato del mistero e della realtà del Corpo e del Sangue di Cristo. Alcuni cercano persino di giustificare la loro mancanza di fede (o il loro scarso interesse) con la mancanza di “evidenza scientifica”, senza rendersi conto che ogni volta che una persona si avvicina per ricevere il Corpo (e il Sangue) di Cristo, si sta dichiarando – senza parole – affamata, indigente e bisognosa di aiuto. Questo non può rimanere senza una risposta divina, quindi si tratta di un’esperienza ripetuta che convalida un’ipotesi. Questo non è forse scientifico? Ma certamente, è necessario che chi riceve il Santissimo Sacramento faccia parte di questa esperienza, che possiamo meglio definire vivenza. E gli altri possono verificare che qualcosa sia effettivamente accaduto nel cuore di chi riceve l’Eucaristia. Almeno, si rafforza la loro coscienza filiale, la loro impressione di non poter camminare da soli, il che è un primo passo verso l’unione con Cristo, anzi con le tre Divine Persone.

Ecco come Cristo stesso esprime ciò che accade: Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui (Gv 6,56).

Alcuni dei santi più intelligenti e sensibili si sono avvalsi consapevolmente dell’Eucarestia per assicurarsi di non commettere errori nel loro cammino. Ad esempio, dopo essere stato ordinato sacerdote nel 1537, Sant’Ignazio di Loyola attese più di un anno prima di celebrare la sua prima Messa (lo fece il giorno di Natale, a Santa Maria Maggiore a Roma) a causa del suo intenso desiderio di prepararsi con la massima purezza di cuore e riverenza, sapendo  chi si sarebbe reso presente in quell’atto.

Il nostro Fondatore, Fernando Rielo, ha affermato: La mia vocazione è vivere come un figlio davanti al Padre, con Cristo nell’Eucarestia, nello Spirito Santo.

L’Eucarestia è il dono spirituale più grande per l’anima, perché non solo comunica una grazia, ma comunica Cristo stesso. Nessuna analogia può rappresentare questa realtà, ma forse questo breve racconto ci aiuterà a non dimenticarla:

C’era una volta un albero di mango, pieno di vita e dolcezza, che amava un bambino con tutto il suo essere. Tra loro si creò un legame, silenzioso, ma profondo, perché il bambino era felice sotto la sua ombra, arrampicandosi sul suo tronco, dondolandosi di ramo in ramo e deliziandosi con i suoi frutti dorati.

I giorni erano lunghi e il gioco eterno. Ma il tempo, come la brezza, non si ferma mai. Il ragazzo crebbe e a poco a poco si allontanò. L’albero, però, non smise mai di aspettarlo. Anche nel suo silenzio, gli parlò:

Vieni, piccolo mio. Continua ad arrampicarti sulle mie braccia, fai ondeggiare la tua risata tra i miei rami, mangia i miei frutti e trova gioia alla mia ombra.

Ma il giovane non era più un bambino. Rispose con occhi distanti:

Ho lasciato i giochi alle spalle. Ora voglio altre cose. Voglio ridere, sì, ma con        quello che i soldi mi daranno.

Il mango, sebbene ferito nella linfa, offrì il suo cuore:

Prendi i miei frutti. Portali con te. Scambiali con qualche moneta e sii un po’ più      felice con esse.

E così fu. Ma il giovane tornò più e più volte, non per nostalgia, ma per bisogno. E l’albero donò sempre: offrì i suoi rami per una casa, il suo tronco per una canoa. Ogni volta, gli diceva teneramente:

Prendi ciò di cui hai bisogno, perché la mia gioia è vederti sorridere.

Le stagioni passarono e il ragazzo invecchiò. Quando tornò, il mango non era altro che un vecchio ceppo, consumato dal tempo e dall’amore. Tristemente, pensava di non avere più nulla da dare.

Ma il vecchio lo guardò con occhi stanchi e disse:

Non cerco più ricchezze o avventure. Solo un posto dove riposare. Sono stanco, amico mio.

E il ceppo, umile e silenzioso, si offrì come sedile.

E lì, sotto un cielo di ricordi, l’uomo si sedette. E l’albero, sebbene ridotto quasi a nulla, fu immensamente felice. Perché, anche nei suoi ultimi istanti, poteva ancora accogliere colui che aveva amato per tutta la vita.

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Il Vangelo di oggi è ambientato in un luogo deserto vicino a Betsaida, dopo che i discepoli ebbero raccontato a Gesù tutto quello che avevano fatto (Luca 9, 10).

Questo dovrebbe farci pensare non solo che il Maestro desiderasse convincere gli apostoli che avevano la grazia di guarire e assistere il prossimo in qualsiasi situazione, ma che potevano sempre dare qualcosa di più, in modi inimmaginabili. Potevano, in realtà, donare tutta la loro vita. Era anche un modo per prepararli a comprendere come nell’Eucarestia Egli stesso riesca a donarsi ripetutamente, in ogni tempo e in ogni luogo del mondo.

Il fatto che Cristo abbia scelto questo modo di presenza sotto forma di cibo ci fa capire che deve essere un incontro necessario e ripetuto, come l’atto di mangiare ogni giorno.

L’arcivescovo Fulton Sheen raccontò che, durante la Rivoluzione Repubblicana Cinese del 1911, alcuni militanti anticattolici fecero irruzione in una parrocchia cattolica. Rinchiusero il parroco agli arresti domiciliari. Dalla finestra della sua canonica, egli fu testimone della profanazione della chiesa. Sapeva che nel tabernacolo c’erano 32 ostie consacrate.

Una bambina di undici anni stava pregando in fondo alla chiesa, e le guardie non la videro o non le prestarono attenzione. Quella notte ella ritornò in chiesa, pregò un’ora santa e poi consumò una delle ostie sacre, inginocchiandosi per ricevere Gesù sulla lingua. Continuò a tornare ogni notte, pregando un’ora santa e consumando un’ostia sacra. L’ultima notte, la trentaduesima, purtroppo, una guardia si svegliò dopo che aveva consumato l’Eucarestia. La inseguì, l’afferrò e la picchiò a morte con il fucile.

L’arcivescovo Fulton Sheen venne a conoscenza del suo martirio quando era seminarista. Rimase così colpito da quel sacrificio che fece voto di pregare un’ora santa davanti al Santissimo Sacramento ogni giorno per il resto della sua vita.

La ragazzina undicenne non poteva immaginare quanto avrebbe influenzato voi e me, e un futuro vescovo che, a sua volta, avrebbe aiutato milioni di persone e promosso l’adorazione eucaristica. Anche noi non abbiamo idea di come la nostra umile testimonianza e i nostri sacrifici aiutino gli altri, perché la forza e il valore di ciò che facciamo per il Regno dei Cieli si trovano in Cristo, che ha promesso di abitare in noi (Gv 14, 23).

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La Prima Lettura di oggi, tratta dalla prima lettera di Paolo ai Corinzi, è storicamente molto importante. Questo si deve al fatto che le parole di Gesù in questo brano sono le prime parole di Cristo di cui si abbia notizia. Sappiamo che le manifestazioni di Gesù sono riportate nei Vangeli e in altri libri del Nuovo Testamento. Tuttavia, le lettere di Paolo furono scritte tra i venti e i cinquant’anni prima della stesura dei Vangeli e di questi altri libri del Nuovo Testamento.

Paolo inizia dicendo al popolo di Corinto che la tradizione di celebrare la Cena del Signore risale a Gesù Cristo stesso. “Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso”. Paolo non ricevette personalmente questa tradizione dal Maestro, poiché non era uno dei dodici apostoli presenti all’Ultima Cena. La ricevette da coloro che erano cristiani prima di lui, dopo la sua conversione alla fede cristiana. Ora trasmette ai Corinzi la stessa tradizione che lui stesso aveva ricevuto. L’unica differenza è che, mentre fino ai tempi di Paolo la tradizione veniva tramandata oralmente, Paolo fu il primo a metterla per iscritto perché non poteva trovarsi fisicamente con i Corinzi.

La notte in cui fu tradito fu l’ultima notte che Gesù trascorse con i suoi discepoli prima della sua passione e morte. Nell’antichità, le persone non scrivevano il loro testamento, ma lo esprimevano oralmente, di solito come ultime parole prima di morire. Cosa ci dicono le parole di questa Lettera quando le leggiamo come le ultime parole di Gesù, come il suo testamento e la sua volontà?

In realtà, non parla dei “suoi insegnamenti”, ma di Sé stesso. Ha donato il suo corpo ai suoi seguaci come cibo e il suo sangue come bevanda. Questo avvenne nel contesto della cena pasquale. Pertanto, presenta sé stesso come l’agnello pasquale. Gli Israeliti in Egitto dovevano mangiare la carne dell’agnello pasquale per identificarsi come popolo di Dio. Segnavano gli stipiti delle loro porte con il suo sangue come segno per allontanare l’angelo della morte. Vista sotto questa luce, l’Eucarestia diventa per noi il luogo in cui veniamo per essere rinnovati come nuovo popolo di Dio in Cristo. L’indicazione del Maestro di celebrare ripetutamente questa Eucarestia, questo rendimento di grazie, è più importante della riflessione su altri dettagli.

L’Eucarestia ci unisce ed è promessa che “qualcosa di nuovo accadrà” nella persona che la riceve. È sempre qualcosa di personale; non basta riconoscere e ripetere le sublimi verità apprese nella Catechesi: si produce un’intima unione con Cristo, l’accoglienza della grazia santificante, il perdono dei peccati veniali, la consolazione, la pace e la fortezza contro il peccato… Ciò che è necessario è essere consapevoli che si tratta di un momento unico, come l’addio di Cristo nella vita dei primi discepoli, un momento in cui ha voluto raccogliere e donarci il più profondo della sua vita. Per questo è così consigliabile osservare alcuni istanti di silenzio interiore ogni volta che abbiamo ricevuto il Corpo di Cristo e ne abbiamo riconosciuto la natura, rispondendo davanti al mistero: Amen.

Magari potessimo vivere con gratitudine e gioia ogni volta che riceviamo Cristo nel Santissimo Sacramento, così da poter dire insieme al giovane Carlo Acutis, che sarà canonizzato tra pochi mesi: L’Eucarestia è la mia autostrada per il Cielo.

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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis CASASUS

Presidente