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Vangelo e riflessione

Fede e azione: un feedback (riscontro) completo | Vangelo del giorno, 5 ottobre

By 1 Ottobre, 2025Ottobre 2nd, 2025No Comments

Vangelo secondo San Luca 17,5-10
In quel tempo, gli apostoli dissero al Signore: «Accresci in noi la fede!». Il Signore rispose: «Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: “Sràdicati e vai a piantarti nel mare”, ed esso vi obbedirebbe.
Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà, quando rientra dal campo: “Vieni subito e mettiti a tavola”? Non gli dirà piuttosto: “Prepara da mangiare, stríngiti le vesti ai fianchi e sérvimi, finché avrò mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai tu”? Avrà forse gratitudine verso quel servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti? Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare”».

Fede e azione: un feedback (riscontro) completo

Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes

Roma, 28 settembre 2025 | XXVII Domenica del Tempo Ordinario

Abacuc 1, 2-3; 2, 2-4; 2Timoteo 1, 6-8.13-14; Luca 17, 5-10

Oggi Cristo ci parla di fede, o più precisamente, della nostra poca fede. Devo confessare che a volte mi identifico con l’uccellino di questa storia:

C’era una volta un passero che viveva la sua vita come un susseguirsi di ansie e punti interrogativi. Era ancora nel suo uovo e già si tormentava: Riuscirò mai a rompere questo duro guscio? Non cadrò dal nido? I miei genitori mi daranno da mangiare?

Dissipò queste paure, ma altre lo assalirono mentre tremava sul ramo e doveva spiccare il primo volo: Le mie ali mi sosterranno? Mi schianterò a terra? Chi mi riporterà qui?

Certo, imparò a volare, ma cominciò a chiedersi: Troverò una compagna? Riuscirò a costruire un nido? Anche questo accadde, ma il passero era ancora preoccupato: le uova saranno al sicuro? Riuscirò a nutrire i miei piccoli? Un fulmine potrebbe colpire l’albero e bruciare a morte tutta la mia famiglia? E se arrivasse il falco e divorasse i miei figli?

Quando i piccoli si dimostrarono belli, sani e vivaci e iniziarono a svolazzare qua e là, il passero ancora si lamentava: Troveranno abbastanza cibo? Riusciranno a sfuggire al gatto e agli altri predatori?

Poi, un giorno, il Maestro si fermò sotto l’albero. Indicò il passero ai suoi discepoli e disse: Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, non mietono, non raccolgono nei granai… eppure il Padre vostro celeste li nutre!

Naturalmente, questa piccola storia ha la stessa conclusione del Vangelo di oggi: la fede non è un assenso a un insieme di idee o convinzioni, ma una successione di passi. Ecco perché Gesù conclude parlando del servizio, che è fare con piena dedizione ciò che PROPRIO ORA devo fare, anche se alcune cose mi sembrano insignificanti, a volte persino inutili.

Ma, come accade al passero di quella leggenda, c’è un piano per ognuno di noi. Infatti, siamo fatti in modo tale che, se siamo fedeli e mettiamo cuore, mente e intenzione in questo momento, dedicandolo a Colui che ce lo ha donato, riceveremo una risposta inaspettata. Allora, come è accaduto al passero, ci vergogneremo e saremo sorpresi di renderci conto che Cristo si serve di noi come testimoni della Sua presenza… Questa è l’interpretazione che possiamo dare a uno dei Proverbi di Fernando Rielo: Chi cammina con saggezza, scopre cieli ad ogni passo.

Ma ci manca il coraggio, o non riteniamo necessario o efficace abbandonare certe abitudini che ci impediscono di compiere la volontà del Padre. Non si tratta semplicemente di “avere il coraggio di intraprendere qualche azione impegnativa…”.

Il rinnegamento in questioni di carattere o rispetto ad attività che mi attraggono è indispensabile per far crescere la fede, come intuiscono gli stessi discepoli nel Vangelo di oggi: Signore, accresci la nostra fede.

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La Prima Lettura, tratta da Abacuc, ci offre la stessa lezione. Questo profeta vive in un’epoca di grande ingiustizia sociale e violenza. Vede come i malvagi prosperano mentre i giusti soffrono, ed esprime così la sua angoscia e frustrazione davanti all’apparente silenzio di Dio. La sua è una preghiera sincera, che rappresenta la sofferenza umana di fronte al male. Abacuc non dubita di Dio, ma esige una risposta: perché permette così tanta ingiustizia? Non è mancanza di fede, ma un lamento che nasce da una fede profonda.

È una domanda universale: se Dio è buono, perché permette così tanta sofferenza e ingiustizia?

Abacuc diventa la voce di tutti coloro che, qualche volta, si sono sentiti abbandonati o ignorati da Dio in mezzo al dolore, all’incertezza o al pessimismo. In questa occasione, il profeta è sconvolto dal fatto che Dio userà i Babilonesi, un popolo ancora più crudele, per punire Giuda.

La risposta di Dio è una missione che affida ad Abacuc (esattamente la stessa cosa che accade a te e a me 28 secoli dopo…):

Il Signore comanda ad Abacuc di scrivere la visione, il che significa che la Sua promessa è certa e deve essere preservata. Tuttavia, la giustizia di Dio non opera nei tempi umani. La soluzione ci sembra sempre lenta, ma è sicura e infallibile; abbiamo sempre bisogno di più pazienza e di una prospettiva a lungo termine.

Dio ci assicura che i superbi non prospereranno. Anche se sembra che gli arroganti e i violenti (come i Babilonesi) trionfino, il loro successo è temporaneo e il loro orgoglio sarà la loro rovina.

Ma il giusto, per la sua fede, vivrà, conclude la Prima Lettura. “Vivere” non significa necessariamente sopravvivere fisicamente, poiché molti giusti vengono annientati, ma perseverare, rimanere saldi e trovare la vera vita. Pertanto, la ricompensa per un atto di fede non è un trionfo qualsiasi, ma un’intimità, un’unione più profonda con le Persone Divine. La chiave per sopportare un tempo di ingiustizia non è comprendere i piani di Dio, ma piuttosto confidare in essi. La fedeltà o fede (la parola ebraica le implica entrambe) è l’àncora che mantiene i giusti in piedi mentre attendono la giustizia divina.

Anche la seconda lettera di Paolo a Timoteo è scritta in un contesto di persecuzione e sofferenza. Paolo, imprigionato e consapevole della sua prossimità alla morte, incoraggia il discepolo Timoteo a rimanere saldo nella fede e nella sua missione. Gli dice di non permettere alla paura di spegnere la sua vocazione. Il “dono di Dio” si riferisce alla sua chiamata al ministero. San Paolo, inoltre, non dimentica di menzionare che lo Spirito Santo dimora in noi, il che significa che la fede è vissuta in comune, ovviamente, in molti modi diversi, ma possiamo sempre imparare dalla fede degli altri e avere sempre, per grazia, l’opportunità di essere un esempio di come la fede operi nella nostra debolezza.

È sufficiente considerare un fatto che ci dice come un vero cambiamento richieda una comunità: a livello globale, una persona su tre che sconta la pena in carcere diventa recidiva. Al contrario, coloro che riescono a integrarsi in una comunità lavorativa, familiare o religiosa superano quasi sempre il loro passato, che spesso deriva da qualche forma di solitudine o, peggio ancora, da un ambiente che quasi necessariamente porta alla criminalità, alla violenza o a qualsiasi altro tipo di degrado.

Senza necessariamente parlare di relazionarci con coloro che violano la legge, siamo tutti chiamati a usare la nostra vita per contribuire ad accrescere la fede e la sensibilità dei nostri simili, come ci esorta oggi il salmo responsoriale: «Oh, se ascoltaste oggi la sua voce! Non indurite il vostro cuore come a Meriba, come nel giorno di Massa nel deserto, dove mi tentarono i vostri padri: mi misero alla prova, pur avendo visto le mie opere».

Oggi, quando tanti descrivono l’ansia come una malattia caratteristica del nostro tempo, dobbiamo riconoscere che tu ed io possiamo cadere vittime di situazioni che ci portano ad avere comportamenti ansiosi e pessimisti e, di conseguenza, poco sensibili alla realtà e alle speranze del prossimo. Chi non ha considerato che l’odio, il risentimento e i pregiudizi che permeano i rapporti tra le comunità o i popoli sono realtà inevitabili? Chi non ha pensato che certi conflitti familiari siano inconciliabili? Chi, almeno una volta, non ha considerato che le radici dell’inimicizia tra le persone sono così profonde da non poter essere sradicate? Chi non si è sentito sopraffatto dal dover completare un progetto in tempi troppo rapidi?

Troppe situazioni contribuiscono a deteriorare questo stato di contemplazione, che forse è meglio chiamare preghiera continua, e che ci permette di abbracciare la fede.

Quali sono i sintomi della perdita della fede? Raramente si manifesta con un rifiuto netto, come nel caso di qualcuno che rinuncia ufficialmente all’appartenenza alla Chiesa cattolica. Questi casi sono più probabili a causa di uno scandalo che ha ferito la sensibilità di qualcuno.

Ma la fede si perde quando ci fermiamo, quando sentiamo che non sono necessari ulteriori sforzi o nuovi sforzi. La fede si va perdendo quando ci sediamo sul ciglio della strada, come quando una suora mi disse: Ho dedicato molti anni, tutto il mio tempo e tutti i miei soldi alla mia istituzione, e ora posso dedicarmi a ciò che ho sempre amato, ciò che nutre la mia cultura e la mia realizzazione personale e professionale. Una forma di egoismo apparentemente giustificata… dove pochi vedranno il diavolo all’opera, amplificando le conseguenze ordinarie di una stanchezza naturale e reale.

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L’ultima parte delle parole di oggi di Gesù sembra contrastare con quanto insegna il Vangelo in un altro momento, quando dice: “Beato il servo che il padrone, al suo ritorno, troverà vigilante! Sì, vi dico, si cingerà le vesti, lo farà mettere a tavola e passerà a servirlo lui stesso” (Lc 12, 37). Ora invece dice che il servo, dopo una dura giornata di lavoro, deve servire a tavola affinché il padrone possa mangiare comodamente.

Cristo non sta parlando degli obblighi degli schiavi ai suoi tempi; piuttosto, sta toccando la ferita della nostra mancanza di fede: il nostro istinto di felicità ci spinge a chiedere a Dio una qualche forma di ricompensa per ciò che consideriamo un nostro merito, il nostro rinnegamento. Ma, come ci dice già San Paolo:

Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? Se l’hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l’avessi ricevuto? (1 Cor 4,7)

In fondo, l’orgoglio ci porta a pretendere (subito!) una risposta ai nostri sforzi, anche se si tratta dell’ammirazione – sempre fugace e mutevole – degli altri. Ma il piano di Dio è diverso: la mia ricompensa è una fiducia sempre maggiore in te, missioni sempre più difficili. A volte non credi in me, ma io accresco la tua fede rendendoti capace di rispondere alle mie richieste.

Accogliamo oggi la luce che ci permette di vedere questa autentica ricompensa della Provvidenza.

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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis CASASUS

Presidente