di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei Missionari Identes
Commento al Vangelo del 23-09-2018, XXV Domenica del Tempo Ordinario, Madrid. (Libro Sapienza 2, 12.17-20; Lettera Giacomo 3, 16-4, 3; Marco 9, 30-37).
Un giorno, Madre Teresa andava in tutti i luoghi chiedendo cibo per gli orfani che aveva in casa. Entrò in una panetteria per chiedere pane per i bambini affamati dell’orfanotrofio. Il panettiere, indignato con la gente che gli chiedeva pane, le sputò in viso e non volle darle niente.
Madre Teresa tranquillamente prese il suo fazzoletto, si pulì la saliva dal viso e disse al panettiere: Bene, questo era per me. Ed il pane per gli orfani? Il panettiere, vergognandosi per la sua risposta, le diede il pane che chiedeva.
La tua reazione, o la mia, avrebbe potuto essere una parola dispregiativa, una predica sulla compassione, o semplicemente andarsene con uno sguardo di disprezzo. Ma niente di tutto questo si sarebbe centrato sull’intenzione originale ed ispirata di fare bene ai bambini. Il nostro temperamento può rovinare i migliori desideri di servire gli altri. Questa è la ragione per la quale S. Giacomo ci consiglia: Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi. Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Purificate le vostre mani, o peccatori, e santificate i vostri cuori, o irresoluti. Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà (Giacomo 4, 7-10).
Come insegna la Seconda Lettura, abbiamo bisogno della saggezza che proviene dallo Spirito che ci dà pace ed è piena di compassione, senza tracce di parzialità o ipocrisia in essa.
Nel secolo VII, quando l’imperatore Eraclio recuperò dai persiani la reliquia della Santa Croce, volle entrare a Gerusalemme con la massima pompa, portando la Croce recuperata sulle sue spalle, ma improvvisamente si bloccò all’entrata della Città Santa e non poteva avanzare. La croce era troppo pesante per lui. Il patriarca Zaccaria che camminava nella processione, suggerì che finché l’imperatore fosse vestito con lo splendido mantello imperiale era lontano dall’imitare l’umiltà con cui Gesù portò la croce quando entrò a Gerusalemme. Eraclio lasciò la cappa e la corona, si vestì con abiti semplici, camminò scalzo con la processione e devotamente portò la Croce fino al Calvario.
Questa storia ci mostra quanto sottile possa essere il nostro orgoglio. L’imperatore stava facendo qualcosa di grandioso e pio: restituire a Gerusalemme la Croce perduta. Tuttavia, lo stava facendo per esaltare se stesso.
Questo è anche quello che racconta il Vangelo di oggi. I discepoli andavano in Galilea con Gesù che stava annunciando con crudezza la Sua Passione e Morte e, simultaneamente… discutevano lungo la strada, tra loro, su chi fosse il più grande. Quando siamo competitivi, e viviamo nella rivalità, diventiamo insensibili al dolore e alla sofferenza degli altri.
E noi? Umiliamo e screditiamo pubblicamente le persone, forse pretendendo di correggerli o di insegnar loro; in altre occasioni cerchiamo di nutrire la nostra fama proiettando ombre sugli altri, spettegolando e lamentandoci, esprimendo la nostra sorpresa o indignazione per la mancanza di sensibilità o la rudezza delle nostre autorità, dei colleghi o dei subordinati. Forse abbiamo ragione nelle nostre osservazioni, ma dimentichiamo che siamo chiamati a servire, e questo comprende anche i nostri nemici o quelli che vediamo come casi senza speranza.
L’ambizioso cerca di soddisfare principalmente se stesso, perfino se il nostro impegno fa bene ad altri, come ricostruire una chiesa od organizzare un’attività per bambini o visitare i malati. In fin dei conti, si tratta dei miei risultati, del mio orgoglio e della mia fama.
L’orgoglio è la base dell’ambizione. Con l’orgoglio, una persona ottiene una profonda soddisfazione dai suoi risultati o dai possessi che apprezza, come il potere, la conoscenza, la reputazione o, a volte, il denaro. L’avidità è un desiderio egoista creato per il nostro orgoglio.
Dice Papa Francesco: Il male ha sempre la stessa radice, tutto il male: avarizia, vanità e orgoglio. E nessuno dei tre permette la pace di coscienza; ostacolano la sana preoccupazione dello Spirito Santo, ti impediscono di vivere bene: siamo inquieti per paura. L’avarizia, la vanità e l’orgoglio sono la radice di tutti i mali (22 settembre 2016).
In particolare, l’Avidità spesso proviene dall’Orgoglio. Un chiaro esempio di questa connessione si trova negli Atti degli Apostoli al cap. 4. Anania e Saffira erano orgogliosi e volevano fare una buona impressione, emergere davanti a tutti. Fecero uno spettacolo della loro grande offerta. Andarono in banca a cambiare i biglietti in monete, per poter lasciare cadere la loro offerta nel cubo e che tutti potessero vedere e sentire il loro grande sacrificio. Ma, erano anche avidi… e per questo motivo caddero morti.
Questo è una diagnosi che è fatta chiaramente nella Seconda Lettura di oggi: Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra? Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra!
Sì, certamente, c’è una connessione profonda tra l’orgoglio, l’avidità e l’invidia. La Prima lettura è un esempio drammatico di qualcosa che disse S. Tommaso d’Aquino che l’orgoglio è il padre dell’invidia. Un’altra manifestazione del nostro orgoglio si riflette nella nostra ostinazione, che il soggetto può confondere facilmente con coraggio o autorità. Vogliamo che le cose si facciano esattamente come lo visualizziamo noi e siamo intolleranti con quelli che la pensano in modo diverso da noi, per timore che ci impediscano di raggiungere i nostri obiettivi. Così, vediamo gli altri come minacce per la nostra ambizione.
L’Orgoglio e l’Avarizia sono due dei peccati capitali (o cardinali). Colpiscono il nostro spirito tanto profondamente che c’è bisogno di molto di più dei nostri sforzi e della buona volontà per superare le loro gravi conseguenze. Questo spiega la centralità e la necessità di Purificazione, realizzata dallo Spirito Santo nella nostra vita spirituale. Non possiamo capire da noi stessi il senso della vita o il significato degli avvenimenti che ci circondano. È per questo motivo che Gesù ci dà la chiave: Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta (Mt 6, 33).
Pertanto, per poter ricorrere a Cristo come guida, dobbiamo prima riconoscere la nostra miseria. S. Giacomo ci dice: Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza. In altre parole, dobbiamo accogliere la grazia divina e la direzione spirituale dei nostri rettori per identificare il nostro Difetto Dominante, la nostra principale difficoltà per vivere uno stato di orazione. Questo è totalmente allineato all’insegnamento di Gesù: «Non quello che entra nella bocca rende impuro l’uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l’uomo!».
La sua chiamata permanente, la nostra vocazione, per questo sono il centro della nostra meditazione nei ritiri spirituali di Motus Christi. Quando parliamo di vocazione, stiamo parlando di servizio; il punto centrale non sono i nostri risultati, bensì coloro che serviamo e come possiamo servirli meglio e fare in modo che le loro vite siano significative e piene. Allora, ha senso l’ “imparare facendo”, poiché, fin dal principio della Chiesa – e dell’Istituto – abbiamo compreso che significa crescere in grazia rispondendo alle necessità degli altri.
Gesù amava i bambini perché essi non alzano barriere tra loro e Dio. La coscienza filiale implica non solo un senso di gratitudine per avere ricevuto un’eredità (vita, talenti, cultura…) ma anche la coscienza di avere un’alta missione, nonostante la nostra debolezza. Ecco qui un esempio recente e commovente:
Durante le recenti forti piogge monsoniche, quando la città di Chennai (India) fu sommersa, molti residenti si offrirono per aiutare i più colpiti. Ci furono molti volontari inaspettati che fecero un gran lavoro disinteressato. Tra loro, tre bambini, senzatetto, che andarono ad un centro di soccorso ed insistettero perché fosse permesso loro di far parte delle squadre di soccorso. Questi bambini sono stati ringraziati per il loro servizio col premio ‘Indiano dell’Anno’ a Nuova Delhi. È sorprendente, e anche triste, che questi bambini che hanno ricevuto un trofeo per i loro sforzi, non abbiano un luogo sicuro per custodirlo. Arjun, di otto ani, uno dei tre, narra come tutto cominciò. Viveva in un marciapiede, vicino allo stadio, con la sua famiglia. Durante l’inondazione, Arjun e la sua famiglia si rifugiarono sotto un ponte ferroviario pieno di umidità. Un giorno, Arjun vide i volontari portare grandi quantità di beni al centro di soccorso. Arjun, e suoi cugini Arumugam ed Ashok, si offrirono come volontari. Volevano aiutare la gente. Siccome siamo bambini, ci diedero il lavoro facile di riempire sacchetti di acqua. Più avanti, quando chiedemmo più responsabilità, dubitarono per la nostra età. Insistemmo per avere più compiti da eseguire ed accettarono, disse Arjun, sorridendo. A causa delle inondazioni, le famiglie di questi ragazzi erano in una situazione disperata, ma questo non li trattenne dall’aiutare gli altri colpiti dall’inondazione. In realtà, non avevamo niente, ma fortunatamente, i bambini ricevettero cibo. Di solito andiamo avanti con qualunque cosa abbiamo, disse la madre di Arumugam.
La coscienza filiale è un sentimento universale. Spesso un’affermazione ripetuta è che i bambini che hanno avuto una brutta esperienza nella loro vita familiare non possono sperimentare in maniera positiva questa forma di filiazione; ma quando ricevono costantemente una testimonianza di generosità da un maestro, un apostolo o un amico più grande, la coscienza filiale risorge dalle sue ceneri.
Un altro esempio ben conosciuto è uno dei pilastri del confucianesimo: (Xiaojing, pietà filiale) inteso come rispetto per i genitori, i parenti e gli antenati e la loro volontà. Questa filiazione è centrale nell’insegnamento di Cristo, perché è una realtà fondamentale della sua esperienza. Già a 12 anni dichiara che deve occuparsi delle cose di Suo Padre, ed alla fine della sua vita, raccomanda il Suo spirito nelle mani del Padre.
Questa è la forma di grandezza che si può trovare nei bambini. Sono veramente dipendenti dai loro genitori. Non possono vivere senza di loro a meno che non paghino un alto prezzo per farlo. La loro dipendenza è totale. Allo stesso modo, paradossalmente per il mondo, la grandezza di una persona si trova nella sua totale dipendenza da Dio.
Consigli per approfittare al massimo della Santa Messa
- Liturgia della Parola. La Chiesa insegna che, quando la Scrittura è proclamata e spiegata nella Liturgia, è Cristo stesso che proclama la Parola. I ministri danno voce alla Parola, ma è Cristo stesso che ci comunica la Sua Parola. Per questa ragione, è importante che i lettori si preparino bene per essere realmente strumenti di Dio.
Nelle letture, come si spiega nell’omelia, Dio parla al suo popolo, rivelandogli il mistero della redenzione e della salvezza, e offrendogli l’alimento spirituale. Cristo stesso è presente in mezzo ai fedeli attraverso la sua parola. Col suo silenzio ed i suoi cantici, la comunità fa sua la parola di Dio, ed afferma anche la sua adesione ad essa per mezzo della Professione di Fede. Infine, dopo essere stati nutriti da quella Parola, esprimono le loro petizioni nell’Orazione dei Fedeli per le necessità di tutta la Chiesa e per la salvezza di tutto il mondo.
La Liturgia della Parola deve essere celebrata in modo tale da promuovere la meditazione, per cui si deve evitare qualunque tipo di fretta che ostacoli il raccoglimento. Durante la Liturgia della Parola, è anche appropriato includere brevi periodi di silenzio, appropriati per la comunità riunita, nella quale, per le istanze dello Spirito Santo, la parola di Dio può essere accolta nel cuore. Può essere appropriato osservare tali periodi di silenzio, per esempio, prima che cominci la stessa Liturgia della Parola, dopo la Prima e Seconda Lettura, e infine concludendo l’Omelia.