Vangelo secondo San Giovanni 15,9-17:
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena.
»Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
Sono io che ho scelto voi
Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes
Roma, 5 maggio 2024 | VI Domenica di Pasqua
Atti 10,25-26.34-35.44-48; 1Giovanni 4, 7-10; Giovanni 15, 9-17
L’amore del quale parla Cristo non somiglia molto all’eros, all’affetto, all’amicizia… né a quello che tu ed io pensiamo della carità. L’amore che Cristo ci chiede è un vero viaggio, bello, sì, ma pieno di soprassalti, di nuove sfide. Con ragione scriveva C.S Lewis che l’unico luogo al di fuori del Cielo, dove uno può stare perfettamente sicuro da tutti i pericoli e dai turbamenti dell’amore è l’Inferno (I Quattro Amori, 1960).
Ma non dobbiamo sentirci complessati. Anche un esperto nella Legge di Mosè fece una domanda abbastanza grossolana a Cristo: Che cosa devo fare per ereditare la vita eterna? (Lc 10, 25). Benché il Maestro gli abbia dato una risposta consolatrice, confermando che l’amore a Dio e al prossimo è tutto, la verità è che lo scriba aveva commesso un errore logico: Non ereditiamo niente per il fatto di farequalcosa. Un’eredità riflette la volontà di una persona sul destino dei suoi beni, e, a volte, ci sono eredi indegni e perversi che ricevono un’eredità preziosa e inestimabile.
Come molti ebrei del suo tempo, (e come anche molti di noi), questo esperto nella Legge aveva un modo di pensare arrogante ed autosufficiente, credendosi capace di fare atti d’amore che meritassero per lui la vita eterna. Tuttavia, Cristo aveva già spiegato nella Parabola del Seminatore che si può distinguere la terra fertile che ha accolto la Parola, dai frutti che dà, e in primo luogo, per il frutto morale di obbedienza a quella Parola. Questo scriba, se avesse avuto buona intenzione, avrebbe dovuto domandare: Come posso essere sicuro che appartengo al popolo di Dio, che sono uno di coloro che stanno ereditando il regno dei cieli?
Questo spiega perché Gesù continuò la sua spiegazione con la Parabola del Buon Samaritano che è magistrale e mirabile in molti sensi, ma ora ci interessa sottolineare che nella mentalità ebrea del secolo I non poteva esistere un “buon samaritano”. Quotidianamente si offrivano suppliche pregando Dio che negasse loro [ai samaritani] ogni partecipazione alla vita eterna. Molti rabbini dicevano perfino che un mendicante ebreo doveva respingere l’elemosina di un samaritano, perché il suo stesso denaro era contaminato.
Scegliendo una persona di quell’etnia tanto odiata, Cristo ci fa comprendere che in realtà, l’amore del Vangelo, la carità, è tanto unita ed è tanto dipendente dal dono di Pietà che “perfino un samaritano”, accogliendo quel dono, può essere capace di vivere l’amore più sublime e più simile a quello che il Maestro visse. Questo è stare ereditando la vita eterna.
Su questa linea si esprime Pietro nella Prima Lettura, dicendo: Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto.
Sicuramente, noi non siamo proprio xenofobi, né razzisti, ma siamo capaci di mostrare un amore ed un affetto visibili, immediati, verso la persona che ci contraddice?
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Cristo dà all’amore la categoria di comandamento. Ma la verità è che abbiamo la capacità e la libertà di non amare, in particolare di non corrispondere all’amore che c’è stato donato, perfino se viene da un essere onnipotente…
Quando Israele era giovinetto, io l’ho amato e dall’Egitto ho chiamato mio figlio. Ma più li chiamavo, più si allontanavano da me; immolavano vittime a Baal, agli idoli bruciavano incensi (Osea 11, 1-2).
Cristo non impone una nuova legge. In primo luogo, perché non pretendeva di sopprimere la ricchezza della legge antica, né di alcuna religione. E, inoltre, perché vuole aprirci gli occhi ad una realtà: benché l’amore per il prossimo, amabile o spiacevole, sia a volte difficile ed esiga sempre il donare la vita, in un modo o nell’altro, risulta che la virtù più salutare è la carità, come diceva il nostro padre Fondatore. È un modo di ricordarci che ogni volta che cerco di mettermi al di sopra degli altri, con le mie opinioni e desideri più stimati, non sto perdendo solo un’occasione di essere ambasciatore di Cristo, ma sto sprecando e distruggendo la mia stessa esistenza con false sicurezze.
L’amore equivale ad una forma di respirazione spirituale, qualcosa che facciamo non solo in occasioni speciali, bensì in ogni istante. Sebbene riconosciamo che non stiamo facendo così, questa deve essere la nostra aspirazione. Il nostro padre Fondatore era molto d’accordo e citava la sentenza di San Giovanni della Croce: Impara ad amare Dio come Dio vuole essere amato e lascia la tua condizione.
Anche nei più piccoli dettagli, nei temi che non sembrano importanti, abbiamo occasione di manifestare il nostro amore, se è veramente ispirato dalla misericordia divina
Una giovane entrò in un negozio di tessuti e domandò al proprietario se aveva qualche tipo di materiale rumoroso e scricchiolante di colore bianco. Il proprietario, un po’ sorpreso, cercò nel magazzino e alla fine trovò due rotoli di tessuto che si adattavano alla descrizione. Mentre tagliava il tessuto secondo le indicazioni della cliente, gli venne la curiosità e le domandò perché volesse un tessuto tanto inusuale e rumoroso. La giovane rispose: Vede, sto confezionando il mio vestito da sposa ed il mio promesso è cieco. Quando camminerò nella navata, voglio che sappia quando sto arrivando all’altare, in modo che non si senta incomodo.
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Tra coloro che Gesù chiama i “suoi amici” c’erano Simone, un rivoluzionario zelota; Pietro, una persona dal carattere difficile; Matteo, un odiato esattore d’imposte; Giuda, un traditore e due fratelli, Giacomo e Giovanni, ambiziosi e un po’ ostinati. Naturalmente, il criterio di Cristo per scegliere i suoi amici non era né l’affinità, né la complementarietà, né gli interessi comuni, come affermerebbero molti psicologi sociali. Ma poiché si trattava di una comunità con ogni tipo di difficoltà personale e interpersonale, anche noi abbiamo la sicurezza di poter essere scelti come amici suoi, nonostante qualunque limitazione o vizio che ci caratterizzi.
Il segno di questa amicizia è chiaramente definito da Cristo: “…vi ho chiamati amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi” (Gv 15,15) E che cos’è quello che Gesù sentì da suo Padre?
Essenzialmente, il dolore di un amore non corrisposto come ricordavamo prima. Quando siamo capaci di comunicare, ascoltare e condividere il “dolore dell’amore” (come dice il nostro padre Fondatore), allora possiamo parlare di vera amicizia.
Si racconta la storia di un’anziana molto generosa e di poca cultura che aveva passato settant’anni come domestica di un’aristocratica, dalla sua infanzia fino alla sua vecchiaia. La padrona era deceduta e, nel tentativo di consolare questa anziana domestica, una vicina le disse: Mi dispiace molto per la morte della signora Mercedes. Ti deve mancare molto. So che eravate molto, molto amiche.
Sì -disse la domestica – mi dispiace molto che sia morta; però non eravamo amiche.
Sì – rispose la vicina – so che lo eravate. Vi ho visto molte volte ridere e parlare insieme.
Così è – replicò la domestica – abbiamo riso insieme ed abbiamo parlato moltissimo, ma eravamo solo ‘conoscenti’. Vede, signora, non abbiamo mai versato lacrime insieme. Credo che le persone debbano piangere insieme prima di considerarsi amiche.
Questa amicizia di Cristo, caratterizzata dal farci conoscere quello che ascolta dal Padre, non si riferisce ad un tema d’informazione o di segreti misteriosi. Si tratta della sua risposta al nostro piccolo, ma sincero atto di attenzione, un atto di fiducia nell’incaricarci di rendere visibile il suo modo di amare.
Egli non era impressionato dalle moltitudini che in alcune occasioni lo ascoltavano, per questo motivo ripete le antiche e dure parole dell’Antico Testamento: Va’ e riferisci a questo popolo: “Ascoltate pure, ma senza comprendere, osservate pure, ma senza conoscere” (Isaia 6, 9). Era ammirato da tanti, che erano grati per le guarigioni e gli altri prodigi, anche per i cambiamenti nella vita morale di alcuni. Ma quello che sperava, e spera ancora oggi, il Maestro non è semplicemente che l’ammiriamo e siamo un poco migliori, ma che andiamo e facciamo frutto, e che il nostro frutto rimanga.
Se veramente siamo capaci di farci degli amici, che è il principio della nostra azione apostolica, certamente daremo un frutto che rimane. E rimane eternamente, cominciando con un’accoglienza speciale nel cielo: Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand’essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne. (Lc 16, 9).
In questa vita, uno dei frutti che menziona oggi Cristo è che la nostra gioia sarà completa. E’ proprio così; l’amore di Cristo raggiunge tutte le persone. Per quanto io possa amare uno, due, o molti esseri umani, se qualcuno rimane fuori dal mio amore, se non trovo il modo di manifestargli la mia amicizia, non posso essere completamente felice. Di fatto, tutti abbiamo qualche esperienza di aver vissuto una relazione di amicizia con qualcuno e più tardi contemplare con dolore come quella relazione si è trasformata in indifferenza o perfino in odio. L’amicizia umana, quella che possiamo vivere con le nostre forze, è abbastanza limitata. Quella che Cristo ci permette di vivere, se lo imitiamo, non mette condizioni agli altri ed è sempre frutto di un’ispirazione nuova, originale. Ogni amico è diverso.
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Il discorso di Cristo oggi può dare l’impressione di essere contraddittorio: da una parte, ci chiama amici e dall’altra ci dice che quello che dobbiamo fare è obbedire ai suoi comandamenti e fare quello che Lui ci comanda. Non si tratta di comprendere intellettualmente queste frasi. Piuttosto, di comprovare e raccontare come in effetti sia così nella mia vita personale. Siamo impotenti ad amare veramente se non contiamo su di Lui, e per questo dobbiamo obbedire, essere fedeli alle sue istruzioni, obbedire ai suoi comandamenti e in particolare essere fedeli ai Consigli Evangelici: sono il portale della carità.
Possiamo comprovare nell’Antico e nel Nuovo Testamento come Dio chiama amico Abramo (Isaia 41, 9), e anche Il Signore parlava faccia a faccia con Mosè, come si fa con un amico (Esodo 33, 11). e oggi Gesù ricorda ai suoi discepoli che sono amici. Ma non è sufficiente. Dobbiamo essere coscienti e dobbiamo raccontare e condividere con gli altri la storia della nostra amicizia con Cristo. È una storia reale, che illustra come una cosa è dire a qualcuno che sono il suo amico, ed un’altra cosa che quella persona mi riconosca come vero amico suo.
Nella nostra amicizia con Cristo succede come quella che ebbero con Dio Mosè, Abramo, Pietro o con Giacomo, che chiese a Gesù di inviare il fuoco su una città samaritana. Una ed un’altra volta siamo accolti e perdonati. Se è bene ricordare i nostri errori, è soprattutto per ricordare come è avvenuto il perdono corrispondente, come la Provvidenza abbia posto la persona, l’evento, il sentimento adeguato per darci la sicurezza che non saremo mai rifiutati, nonostante aver risposto NO, in molti modi, alla voce divina.
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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,
Luis CASASUS
Presidente