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Vangelo e riflessione

Gorgoni, tam-tam e Intelligenza Artificiale | Vangelo del giorno, 4 agosto

By 31 Luglio, 2024No Comments


Vangelo secondo San Giovanni 6,24-35:

In quel tempo, quando la folla vide che Gesù non era più là e nemmeno i suoi discepoli, salì sulle barche e si diresse alla volta di Cafàrnao alla ricerca di Gesù. Lo trovarono di là dal mare e gli dissero: «Rabbì, quando sei venuto qua?». Gesù rispose loro: «In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati. Datevi da fare non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna e che il Figlio dell’uomo vi darà. Perché su di lui il Padre, Dio, ha messo il suo sigillo».
Gli dissero allora: «Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?». Gesù rispose loro: «Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato». Allora gli dissero: «Quale segno tu compi perché vediamo e ti crediamo? Quale opera fai? I nostri padri hanno mangiato la manna nel deserto, come sta scritto: “Diede loro da mangiare un pane dal cielo”». Rispose loro Gesù: «In verità, in verità io vi dico: non è Mosè che vi ha dato il pane dal cielo, ma è il Padre mio che vi dà il pane dal cielo, quello vero. Infatti il pane di Dio è colui che discende dal cielo e dà la vita al mondo». Allora gli dissero: «Signore, dacci sempre questo pane». Gesù rispose loro: «Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!».

Gorgoni, tam-tam e Intelligenza Artificiale

Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes

Roma, 4 agosto 2024 | XVIII Domenica del Tempo Ordinario

Esodo 16, 2-4.12-15; Efesini 4, 17.20-24; Giovanni 6, 24-35

In uno sforzo disperato per catturare la nostra attenzione, il professore di Storia nella Scuola Secondaria ci mostrava immagini spettacolari delle Gorgoni, mostri della mitologia greca con temibili denti e serpenti al posto dei capelli, il cui sangue dal lato destro poteva resuscitare i morti, mentre il sangue dal lato sinistro era un veleno istantaneamente mortale. Devo confessare che non ebbe molto successo, ma l’immagine rimase impressa nella nostra immaginazione di adolescenti.

Anni dopo, nella missione che abbiamo avuto nel Ciad, ricordo che una notte ci fu impossibile dormire per lo strepitio di alcuni tam-tam che una comunità vicina percuoteva per spaventare gli spiriti cattivi, perché non volevano che avessero contatto con un capo morto quel giorno. Desideravano che vivesse felice per sempre nell’altro mondo.

Ora, vedo nelle notizie che, per 3000 dollari, “lei può avere conversazioni coi suoi cari defunti, se ci permette di sintetizzare la sua voce e la sua immagine, utilizzando un programma di Intelligenza Artificiale”. 

Sono passati quattromila anni, ma sembra che il desiderio dell’essere umano di avere una vita eterna non sia cambiato. Questo spiega perché, nel Vangelo di oggi, Cristo dice alla moltitudine che in quel momento voleva ottenere da Lui solo “l’alimento che perisce“: Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in Lui, abbia la vita eterna, e Io lo resusciterò nell’ultimo giorno. 

Ma non dobbiamo giudicare severamente la mancanza di visione di quelle persone. In primo luogo, perché la loro fame disperata, il loro desiderio urgente di alimento per il corpo, era qualcosa di reale, non un capriccio. Inoltre, perché la nostra situazione ed il nostro atteggiamento è del tutto simile a quello di quelle genti. L’essenziale, tuttavia, è vedere come Cristo risponde con pazienza e tenerezza, così come, nell’Antico Testamento, Yahvé rispose con la manna ai lamenti e alla mancanza di fiducia del suo popolo.

Non si tratta solo di cibo; ognuno di noi desidera avere il controllo sul futuro, vivere con calma e sicurezza, in particolare in salute e avere persone che ci amino, perché la malattia, il dolore e la solitudine sono segni di morte. Normalmente è proprio in quei momenti di sofferenza quando smettiamo di guardare Cristo e centriamo tutta la nostra attenzione sulla sofferenza personale, sui limiti che mi impone la malattia o la mia personale mediocrità spirituale. Sicuramente non credo del tutto che la vita eterna sia già iniziata in questo mondo, in mezzo alle mie lacrime, in mezzo a quello che non pensavo di dover attraversare, in mezzo a quello che sembra essere più grande di me e mi sembravano “cose che succedono solo agli altri”.

Questo si può osservare anche in molte persone a cui, apparentemente, non interessa  la vita spirituale, cioè, i così detti  indifferenti e i non credenti. Per esempio, a causa di questa fame di controllo, poche persone sono capaci di accettare con semplicità l’aiuto di un altro. La radice sta nel nostro Istinto di Felicità che è – come ogni istinto – indispensabile per l’essere umano, ma la sua forza può essere controllata solo con uno stato di orazione, altrimenti diventa il nostro padrone e signore. Notiamo quello che ci racconta la Prima Lettura:

Tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne e dissero loro: «Fossimo morti per mano del Signore nel paese d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatti uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine».

Questa, a volte, è la nostra reazione aggressiva contro Dio e contro le persone che ci vogliono aiutare! L’istinto di felicità scatena in noi la paura di perdere la fama, di essere stigmatizzati, (come deboli, ignoranti, dipendenti da altri…) e anche un’altra paura non meno potente: il doverci confrontare con verità che temiamo, (ho agito male tutto il tempo; mi sbagliavo nelle mie conclusioni; ho nascosto per molto tempo qualcosa della mia storia o delle mie intenzioni…). 

Ma l’esempio e la parola di Cristo sono chiari: Io sono venuto affinché abbiate vita, e l’abbiate in abbondanza (Gv 10, 10).

Le guarigioni inaspettate, che si attribuiscono all’intercessione dei santi, sono accolte come un segno di vita eterna, miracolo che ci anticipa il fatto che la morte non ha l’ultima parola. Abbiamo bisogno non solo di essere sicuri di questo, ma anche di sperimentarlo. In caso contrario, l’unica alternativa (?)  è anestetizzarsi o narcotizzarsi con qualche attività che assorba per un po’ la nostra attenzione.

Prendiamo buona nota del realismo di San Paolo che ci invita oggi a riconoscere che la nostra vita è una continua lotta (questo non piace al nostro istinto di felicità e tenta di negarlo) che ci porta a spogliarci permanentemente dai desideri ingannevoli e a rivestirci di una nuova natura… questo è sottile e contemporaneamente profondo, perché i buoni desideri si riferiscono al necessario controllo che devo avere sulla mia vita… ma quella pioggia di desideri può facilmente accecare la mia vista e rendere invisibili le necessità e il dolore di chi ho vicino. Solo coloro che accettano questa realtà e fanno un piccolo passo verso la fame e la sete del prossimo, possono sperimentare la vicinanza delle Persone Divine.

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Cristo ci invita a vivere con sobrietà, senza accumulare, né attaccarsi a qualcosa, a nessuna ricchezza, né a qualunque abitudine o modo di fare le cose. Coloro che desiderano veramente essere discepoli missionari, prendono questo molto seriamente, ne fanno un elemento continuo della loro lotta ascetica, non un eventuale ricorso “in caso di tentazione”. Facciamo l’ esempio di un santo dal cuore tenero  e dall’implacabile ascesi.

La via seguita da Sant’Ignazio per coltivare il distacco dal nostro istinto la chiamò, con espressione latina, agere contra. Cioè, “fare esattamente il contrario”; è agire direttamente contro i comportamenti che non danno vita. Sant’Ignazio era molto cosciente che era attaccato alla sua carriera, alla reputazione e all’apparenza. Per 11 mesi, visse in una grotta (oggi famoso luogo di pellegrinaggio) per lottare duramente e “agire contro” i suoi attaccamenti vestendo con tela di sacco, lasciandosi crescere i capelli e non sognando, da sveglio, l’onore personale, bensì meditando profondamente su Dio. Notiamo che il criterio non è considerare se qualcosa sia moralmente cattiva, ma se non produce vita. 

Si narra nella sua autobiografia che aveva toccato un malato di peste con la mano e incominciò a suggestionarsi pensando di essersi contagiato. Allora si mise in bocca la mano tutta intera dicendo: Se è contagiata la mano, che si contagi anche la bocca. E l’ossessione gli  passò. Un modo spettacolare di eliminare la paura.

Senza dover arrivare a quegli estremi, peculiari di alcuni santi, l’essenziale risulta chiaro nel Vangelo di oggi: Cristo trova SEMPRE il modo di alimentare, di dare vita a tutti. Non è che l’Eucaristia sia un simbolo, è proprio la sua presenza sacramentale, ma rappresenta e significa anche come la tua vita e la mia possano nutrire gli altri con vita, cioè, con piccoli gesti di perdono e misericordia che li confermano che non sono soli, che qualcuno, sulla terra e in cielo si preoccupa di loro, e non resta sordo al loro dolore e alla loro stanchezza.

Per fare un esempio semplice, è come succede in un volo, quando l’aeroplano comincia ad attraversare una zona di forte turbolenza e, istintivamente, tutti guardano l’hostess. Il semplice sorriso sereno di questo membro dell’equipaggio è sufficiente affinché tutti si calmino un po’, in mezzo alla scomodità e all’ignoranza di quale sia l’entità  della difficoltà.

Quando Yahveh si rivela a Mosè, gli dice: Io sono Colui che sono, (Es 3, 14). Questo non è un gioco di parole, né un enigma; significa, e così lo capì il popolo eletto, che Dio sta sempre al suo fianco. Al contrario, gli altri esseri, le altre creature, passano, spariscono. La sua presenza la percepiamo anche noi, non in forma di manna, ma di perdono, di fiducia che non distrugge la nostra infedeltà, di piccola luce nelle tenebre, che ci conferma che l’altra sponda ci aspetta.

La fiducia si esprime nel Padre nostro, dove supplichiamo la forza ed il pane per oggi, non per tutta la settimana; come la manna che cadeva quotidianamente dal cielo. Tu ed io vorremmo comprendere non solo quello che ci succede ora, ma anche vedere davanti ai nostri occhi tutto il piano che Dio ha tracciato per il resto della nostra vita. Non ne abbiamo bisogno, se veramente crediamo alle parole che pronunciamo: Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra. Per Gesù, il suo alimento è fare la volontà di Colui che lo ha inviato a  portare a termine la sua opera, (Gv 4, 34). Chiamare “alimento” il compiere la volontà del Padre non è la stessa cosa che chiamarlo “obbligo” o “attività”… significa una vera e profonda necessità che, se non si realizza continuamente, non interrompe la nostra fame e sete di vita eterna.

Certamente, questo è qualcosa che andiamo imparando, come si impara a conoscere un amico o un maestro. Il discepolo si va facendo sempre di più figlio, e per questo motivo è capace di riconoscere non già quello che è in accordo col Padre, bensì quello che costituisce la sua preferenza, quello che veramente lo soddisfa.

Qualcosa che San Paolo ricorda spesso è la nostra facilità a ritornare alla vita passata, all’uomo vecchio che un giorno ci siamo proposti di lasciare. È chiaro che questo succede necessariamente, a meno che quella volontà del Padre non diventi veramente come l’aria che respiriamo, un desiderio incessante. Questo non si produce in modo naturale, non lo permettono né la carne, né il sangue. Questo spiega perché oggi Cristo ci dice, con una frase molto rivelatrice, che l’opera di Dio è credere in colui che Lui ci ha inviato.

Questa fiducia in Cristo significa aver fiducia della situazione che vivo, con le sue sfide e le sue incognite, coi suoi gioie e le sue sofferenze, perché devo ricordare che quella realtà, misteriosa ed a volte impressionante, È la mia vita, è più autentica dei miei piani, dei miei migliori desideri o dei miei sforzi più nobili. Sì; certamente così si riesce a capire ciò che è abbracciare la croce.

Né la donna samaritana vicino al pozzo comprese quale fosse l’acqua che saziava la sete per sempre, e nemmeno la moltitudine di oggi a Cafarnao capì come Gesù potesse essere il pane di vita eterna. Non dimentichiamolo: neppure noi possiamo comprenderlo, né viverlo, se non gustiamo la piccola briciola che troviamo, in questa ora, in questo momento, che ci sembra insignificante, non indispensabile. La nostra fede in Gesù si manifesta scegliendo (c’è sempre una scelta da fare!) tra qualcosa di realmente ragionevole per il mondo e la pazzia di un gesto, di un silenzio, o di un atto generoso che il cielo aspetta da me. Anche Dio ha sete.      

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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis Casasus

Presidente