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Vangelo e riflessione

All’erta, vigilante, attento … a cosa?

By 25 Novembre, 2020No Comments
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di p. Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.

New York/Parigi, 29 novembre 2020 |  Prima Domenica di Avvento

Isaia 63, 16b-17.19b.64, 2b-7; 1 Corinzi 1, 3-9; Marco 13, 33-37.

La storia del dibattito sull’attenzione ci porta dall’antichità fino alla neuroscienza. Una donna molto intelligente e sensibile come Simone Weil (1909-1943) disse: L’attenzione è la forma più rara e pura di generosità. Ed aggiunse: La qualità dell’attenzione conta molto nella qualità dell’orazione. Il calore del cuore non può compensarla. 

Benché ognuno di noi definisca l’attenzione in modo differente, dobbiamo essere d’accordo sul fatto che è fondamentale per l’apprendistato, per le relazioni umane e nella nostra relazione con Dio. Non sorprende che lo Shemà, la famosa preghiera ebraica, cominci con un richiamo all’attenzione: Ascolta, oh Israele! Adonaí è il nostro Dio! 

In particolare, il Vangelo di oggi ha come messaggio chiave le parole di Gesù: Quel che dico a voi, lo dico a tutti: “Vegliate”. Se Gesù ci stesse dicendo di stare attenti alla tentazione o quando siamo nel nostro tempo di orazione silenziosa, o durante una lezione spirituale, non ci sarebbe niente di nuovo. 

Ma è proprio ora, in Avvento, che la liturgia ci presenta questo messaggio di Cristo perché c’è un fatto al quale dobbiamo essere costantemente attenti. Si tratta niente di meno che della nostra vera condizione, della nostra situazione in questo mondo. Non mi riferisco a nulla di tecnicamente filosofico, sulla nostra essenza o natura, bensì ad un fatto importante che domina e pervade la nostra esistenza. Questo fatto è che abbiamo bisogno di un Salvatore. Questo è un punto importante dell’Avvento. 

Molti di voi ricorderanno il romanzo Robinson Crusoe (Daniel Defoe, 1719), che racconta la storia di un naufrago che visse 28 anni in un’isola. Lì salvò la vita di un uomo che più tardi sarebbe diventato il suo domestico e lo avrebbe convertito al cristianesimo. Riscattò vari prigionieri di una tribù di cannibali, salvò un capitano dall’essere giustiziato dal suo equipaggio ammutinato e fu capace di fare molte cose nonostante i pochi mezzi che aveva. Ma non perse mai di vista il fatto che doveva essere riscattato per essere salvato, come così fu. Molti di noi, nel nostro mondo, occupati tutto il giorno con attività professionali o religiose, non sembriamo essere del tutto coscienti come il famoso personaggio di romanzo che, nonostante fosse stato capace di realizzare vere imprese, sperava di essere riscattato un giorno dall’isola. 

Essere salvato significa che qualcuno fa qualcosa per me che io non posso fare. Questo significa essere redento, o salvato. Quando abbiamo bisogno di essere salvati realmente viviamo con speranza e vigilanza. Per questa ragione in particolare, né il mondo, né i cristiani contemporanei capiscono molto bene il significato dell’Avvento. Il nostro individualismo, il nostro stile di vita indipendente e, spesso, la nostra compiacenza, non rendono possibile il sentirci bisognosi di salvezza. Al massimo, riconosciamo che dobbiamo fare uno sforzo per fare dei cambiamenti nelle nostre vite, a volte per pentirci di qualche peccato. Ma, essere salvato? Questo suona troppo pessimistico, esagerato, sembra perfino un segno di debolezza e mancanza di carattere. 

Ma la realtà è che il peccato ci ha lasciato in una tale situazione che abbiamo bisogno di essere salvati. Questo spiega perché i primi cristiani imploravano: Marana tha: Vieni, Signore! (1 Cor 16, 22). Vieni, Signore Gesù! è l’invocazione che chiude il libro dell’Apocalisse (Ap 22, 20). 

Questo non è pessimismo drammatico, bensì puro realismo. Possiamo progredire personalmente e socialmente in conoscenza, organizzazione, giustizia e virtù, ma, come Robinson Crusoe, abbiamo bisogno di  essere salvati. Questo è quello che la Prima Lettura esprime in modo così drammatico al giorno d’oggi: …Tu ti sei adirato, perché abbiamo peccato nel tempo passato, ma noi saremo salvati. Tutti quanti siamo diventati come l’uomo impuro, tutta la nostra giustizia come un abito sporco; tutti quanti appassiamo come foglie e la nostra iniquità ci porta via come il vento (Is 64, 5-6).

Forse a causa del processo psicologico di proiezione, molte religioni, compreso l’Antico Testamento, riflettono un Dio “arrabbiato”, che è il risultato della nostra coscienza di peccato, anche se non lo riconosciamo, o non sappiamo come esprimerlo… o vogliamo nasconderlo. 

Perfino le nostre buone azioni diventano come un abito sporco. Questo ritrae perfettamente la nostra divisione, la nostra disfunzione. È come una persona che è caduta in un’assuefazione, il che porta a far sì che la sua volontà si indebolisca tanto che riesce appena a controllarla. Non importa quale tipo di assuefazione sia, lieve o grave, pornografia, alcool, giochi, qualche attività che consideriamo indispensabile…. In quei casi, il problema non è la sostanza o l’attività che mi schiavizza. Il problema è la mia volontà. Ho bisogno di un aiuto esterno, sia esso un medico, i miei amici, la mia famiglia, un esperto. 

Sicuramente questa piccola favola ci aiuterà a ricordare questa verità: 

Un imperatore cinese, conosciuto per il suo cattivo carattere, entrò nella camera da letto della sua futura moglie, una delle donne più belle di tutta la Cina. L’obbligavano a sposarsi con lui contro la sua volontà, poiché i suoi genitori la forzavano a farlo.

Tuttavia, l’imperatore non sapeva che anche lei era stata educata dai saggi quando era bambina. Ella si sedette senza espressione, guardando la parete. “Ciao, amore”, le disse, ma ella non rispose. “Ti ho salutato, e devi rispondere quando io ti interpello, hai capito?”, grugnì. Ma anche così, ella non rispose. La maggioranza della gente gli avrebbe già risposto, cosicché, nonostante sé stesso, provò curiosità, e domandò bruscamente: “A che cosa stai pensando?” 

Infine, ella gli rispose. “A due cose. Una che non desidero sposarmi con te perché sei tanto insensibile e meschino. E l’altra, è che mi domandavo se hai la possibilità di cambiare una certa cosa”.  

Che cosa?!” esclamò l’imperatore con indignazione. “Come osi discutere la mia autorità! … Ma…. Ammetto che provo curiosità. Poiché ho il potere di schioccare le dita e tutto quello che ordino dentro il mio regno viene eseguito, che cosa è quello che ti domandi se io potrei cambiare?”. “Il tuo atteggiamento”, ella rispose. E detto ciò, si alzò ed uscì dalla stanza, lasciandolo in un silenzio impressionante. 

Pertanto, è il momento di ricordare che Cristo è autenticamente e completamente umano e ha la capacità di venire a salvarci. Sulla Croce ed in ogni momento, come famiglia umana e ognuno come persona. Ritornando alla Prima Lettura, possiamo capire tutto ciò con questa bella e precisa immagine: Noi siamo l’argilla e tu il vasaio che ci formi; noi siamo tutti opera delle tue mani. Sant’Ireneo disse che la guida provvidenziale di Dio nelle nostre vite è facile mentre l’argilla dei nostri cuori rimanga flessibile ed umida. I problemi vengono solo quando permettiamo che l’argilla si indurisca. 

Perfino il termine “redentore” è molto significativo. Si riferiva al parente più vicino, colui al quale corrispondeva redimere un familiare che aveva perso la sua libertà, fatto prigioniero, o perché, consumato dai debiti, doveva darsi come schiavo al suo creditore. Questo si compiva in due modi: riscuotendo la quantità necessaria per la redenzione o diventando schiavo al posto del parente. 

Gesù oggi ci dice di non voler sapere quando arriverà “il momento”. La parola greca nel Vangelo per questo tempo è kairos. Ma ci sono due parole per il tempo nel Nuovo Testamento, una è quella che si usa oggi, kairos; l’altra è chronos. C’è differenza tra le due. Chronos è il tipo di tempo al quale normalmente ci riferiamo. Si riferisce a quando gli aeroplani si alzano o quando il semestre comincia nella scuola. Siamo molto preoccupati con questo tempo di chronos. Segna minuti, giorni, ore, settimane, mesi. Spesso dedichiamo le nostre vite a ciò e questo chronos dirige le nostre vite…. 

La parola tempo che Gesù usa oggi non è chronos, bensì kairos. Il tempo kairos è un tempo speciale; è carico di possibilità; è un tempo poco comune, pieno di ciò che è inaspettato; kairos è un momento nel quale l’inaspettato succede; qualcosa di non progettato irrompe nella nostra routine. Il tempo di kairos è un tempo di opportunità; è un tempo di grazia. 

La parabola che Gesù condivide con noi lascia intendere chiaramente che l’apparente assenza di Gesù da noi significa responsabilità e servizio da parte nostra. Aspettare il grande momento non è noioso, inattivo, passivo. Piuttosto è in sé stesso un kairos, un’opportunità per vivere i doni che il conoscere e credere in Gesù ci hanno portato. Questo è il punto di vista di Paolo sulla comunità di Corinto nella Seconda Lettura. 

Tutti noi sperimentiamo questi momenti dell’arrivo di Gesù ai nostri cuori. Il suo modo abituale di rendersi presente è attraverso lo Spirito Santo con una moltitudine di segni, segni che sicuramente passano inavvertiti in massima parte. Questa pioggia di messaggi si chiama Ispirazione nella nostra vita.

Potremmo dire che l’Ispirazione è il modo in cui lo Spirito Santo ci dice: Guardate bene, ciò che sta davanti a voi, quell’avvenimento triste o felice, quel momento inaspettato o quel momento che sembra normale e, soprattutto, quell’essere umano che avete davanti a voi… è innanzitutto un’opportunità, un segno che vi do, rispettando la vostra libertà, affinché per favore facciate qualcosa in nome di Cristo. Stare all’erta e vigilanti significa essere persuasi che ogni momento è pieno di opportunità, tanto per vedere Dio come per essere le sue mani e i suoi piedi. 

Cosicché, per noi, i discepoli di Cristo, l’attenzione non è semplicemente la concentrazione della nostra mente e volontà, bensì la continua formulazione di questa domanda: Che cosa vuole dirmi la Provvidenza con questo? 

Possiamo usare un’analogia del mondo delle arti. Prendiamo l’attuazione in uno scenario, per esempio. Essere un attore abile e creativo non è solo una questione di ispirazione e originalità, ma anche di prestare molta attenzione agli altri attori, alla storia che si sta sviluppando, al pubblico, allo scenario e all’arredamento, e a se stessi. Come attore, prestare attenzione a tutte queste forme differenti permette di agire in modo adeguato e contribuire artisticamente all’evento teatrale. L’attenzione rende possibile un’attuazione artistica. 

Ovviamente, nella parabola di oggi, Gesù non si riferisce solo al suo ritorno in un futuro lontano non specificato, bensì alla sua costante presenza rinnovatrice nel mondo. L’orazione, come dialogo costante con le persone divine, è la chiave per mantenersi svegli. Chi non prega, si addormenta. Finirà col rassegnarsi e si adatterà, come tutti, all’oscurità della notte che avvolge il mondo. 

Quando l’orazione si converte in un compito in più, perde rapidamente la sua attrazione e si esaurisce in essa l’energia vitale. L’orazione è piuttosto come la respirazione. A volte possiamo esserne particolarmente coscienti. È necessario fare ogni tanto una pausa per centrare tutta la nostra attenzione sulla nostra respirazione spirituale.

Il fatto che Cristo nelle sue parabole si riferisca alla notte come al momento dell’arrivo del Signore non significa che Dio voglia sorprenderci, come se ci stesse tendendo una trappola. È il modo in cui rappresenta il nostro stato di letargo, con poca capacità per guardare la realtà, a volte abbagliati ed altre volte assorbiti dalle cose del mondo… o dalle religioni.