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Vangelo e riflessione

Emmaus: più che un episodio singolare | Vangelo del giorno, 14 aprile

By 10 Aprile, 2024No Comments
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Vangelo secondo San Luca 24,35-48:

In quel tempo, [i due discepoli che erano ritornati da Èmmaus] narravano [agli Undici e a quelli che erano con loro] ciò che era accaduto lungo la via e come avevano riconosciuto [Gesù] nello spezzare il pane. Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: «Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho». Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi. Ma poiché per la gioia non credevano ancora ed erano pieni di stupore, disse: «Avete qui qualche cosa da mangiare?». Gli offrirono una porzione di pesce arrostito; egli lo prese e lo mangiò davanti a loro.
Poi disse: «Sono queste le parole che io vi dissi quando ero ancora con voi: bisogna che si compiano tutte le cose scritte su di me nella legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi». Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture e disse loro: «Così sta scritto: il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno, e nel suo nome saranno predicati a tutti i popoli la conversione e il perdono dei peccati, cominciando da Gerusalemme. Di questo voi siete testimoni».

Emmaus: più che un episodio singolare

Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes

Roma, 14 aprile 2024 | III Domenica di Pasqua

Atti 3, 13-15.17-19; 1Giovanni 2, 1-5; Luca 24, 35-48

La morte e la vita, viste con occhi nuovi.  Un medico europeo si era trasferito in Tanzania per lavorare in un ospedale ai piedi del monte Kilimangiaro; sentiva il desiderio di conoscere quella famosa montagna, la più alta dell’Africa. Ma una volta arrivato, il cielo era nuvoloso e le montagne nascoste dietro spesse nuvole bianche.

Finalmente, al quarto giorno, il cielo si rasserenò e cercò la montagna, ma  senza poterla ancora vedere. Alla fine, si rese conto che il suo approccio era sbagliato: nel suo piccolo mondo, i picchi delle montagne che sembravano grandi, si vedono dove incominciano le nuvole. Ma il Kilimangiaro si alza quasi a sei chilometri nel cielo e, benché stesse guardando fissamente la cima coperta di neve, non poteva vederla. Credeva di stare vedendo l’enorme e voluminosa immagine bianca di alcune nuvole. Ma, quando finalmente i suoi occhi si adattarono a quella nuova realtà, la grandezza e la maestosità della montagna lo lasciarono senza fiato.

Così è il nostro modo di guardare. È come quando prendiamo una mela da un albero. Non è che rifiutiamo tutte le altre, il fatto è che siamo pienamente concentrati su quella mela, per assicurarci che non ci sia nessuna vespa al di sopra e che il suo stato sia buono per assaporarla con gusto. Quella è la nostra “attenzione selettiva”.

Forse i due discepoli che camminavano verso Emmaus erano tanto concentrati nella loro pena, in quello che consideravano il fallimento dei loro sogni, che tardarono molto nel riconoscere quel viaggiatore che parlava facendo ardere i loro cuori.

Da questo sorprendente episodio, dovremmo imparare qualcosa di importante sulla nostra relazione con Cristo: Come mai non sono capace di notare la Sua presenza nelle impressioni più profonde che mi commuovono ogni giorno?

Quando mi incontro con qualcuno che mi consola o mi inquieta.

Quando in qualche momento ho tradito quello che mi sembrava vero, bello, generoso.

Quando un evento è tanto violento, doloroso o inaspettato che produce una confusione nella mia mente e nel mio animo.

Non sono esperienze “individuali”; Cristo cammina con me in quelle occasioni, cerca di dirmi il senso di tutti gli eventi, di tutte le esperienze che vedo nella mia vita e nella vita di coloro che mi circondano. Vuole convertire quello che sembra più negativo, più vicino alla morte, in vita, una vita che inoltre si contagia.

I discepoli di Emmaus cercavano di dare un senso alle loro vite dopo un avvenimento così tragico e desolante. Il loro cammino verso Emmaus dovette sembrar loro una passeggiata nel deserto, nell’oscurità della morte, dove si era volatilizzata la speranza.

La morte di Gesù sulla croce fu il culmine di tutte le contraddizioni e del male, perché se c’era una soluzione e un fine per la nostra disperazione, sarebbe stata nelle mani del Salvatore che Dio ci aveva inviato. Ma per quel che riguardava i discepoli, Egli era morto. Ma se il nostro Salvatore è morto, allora non c’è più speranza.

La ragione per la quale questa storia risuona in molti di noi è perché siamo stati anche noi, in qualche modo, in quel luogo oscuro, camminando, trascinando i piedi per la valle della morte e delle lacrime. Questa è la condizione dell’umanità, incapace di trovare speranza quando non incontra Cristo Risorto. Ma la sua Resurrezione si trasforma nella nostra; comprovo che nella mia vita lo Spirito Santo opera cambiamenti che possono ben chiamarsi resurrezione, nuova vita. Come diceva San Paolo, una nuova creazione:

Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove (2Cor 5, 17).

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Un noto romanzo raccontava la storia di una donna ricca che viaggiava per tutto il mondo, visitando musei e gallerie d’arte, conoscendo gente e contemplando i luoghi interessanti. Ma presto si annoiò completamente di tutto. Conobbe allora un uomo che non possedeva nessuno dei beni del mondo, ma aveva un grande amore per la bellezza ed una sincera stima per lei. In sua compagnia, tutto le sembrava completamente diverso. In un dato momento, ella gli disse: Non ho mai saputo come fossero le cose fino a che tu mi hai insegnato a guardarle. In ogni storia d’ amore arriva un momento in cui l’amante dice questo alla persona amata.

Nella Prima Lettura di oggi, vediamo come Pietro propone agli israeliti, di fronte alla resurrezione, un modo diverso di guardare Cristo.  E, naturalmente, Gesù insegna ai discepoli di Emmaus a contemplare in un modo nuovo, tutta la Passione e la Croce: come qualcosa di necessario per la glorificazione, (cfr. Lc 24, 25-27). il testo è preso dal discorso di Pietro, dopo avere curato un paralitico nel Tempio. Nei discepoli, il cambiamento è stato tanto grande che porta i testimoni a domandarsi: chi sono questi uomini? Come dice la Seconda Lettura, le azioni, la fedeltà del vero discepolo, lo trasformano in testimone credibile.

La relazione intima con Cristo è tutta una scoperta, qualcosa di inaspettato, in particolare, un modo di ricevere la misericordia e la possibilità di donarla nello stesso modo. È realmente un altro modo di contemplare la misericordia, sulla quale, la maggioranza di noi, ha un’idea povera, limitata ad un sentimento di compassione o empatia. Mi viene in mente il racconto commovente de Il gobbo di Notre Dame, il famoso romanzo di Victor Hugo.

Quasimodo, un uomo col viso deforme, gobbo, storto e zoppo, si innamora di Esmeralda, che non corrisponde al suo amore. Esmeralda è una donna sorprendentemente bella, mentre Quasimodo è un uomo deforme, ma il suo amore per Esmeralda non è mera attrazione fisica. Esmeralda è l’unica persona che ha mostrato bontà umana verso il gobbo; gli porta acqua quando muore di sete dopo essere stato frustato e umiliato pubblicamente. Di fatto, Esmeralda affascina il suo cuore così completamente che, quando viene impiccata per un crimine che non ha commesso, lui va al cimitero, abbraccia il suo corpo e non lo lascia più, finché non muore di stenti.

Nella celebrazione dell’Eucaristia, commemoriamo precisamente quello che succede ai discepoli di Emmaus: conoscono Cristo ed immediatamente sono inviati e si vedono spinti ad invitare tutti a conoscerlo. Questo è essere testimoni.

Questo lo comprese molto bene una bambina di New York, alla quale uno dei nostri fratelli che era il suo catechista, domandò quale fosse, secondo lei, la parte più importante della Messa. Senza battere ciglio, la bambina rispose: Potete andare in pace, la Messa è terminata. Al principio, il catechista pensò che la bambina stesse scherzando, ma parlava totalmente sul serio e voleva dire esattamente quello che aveva detto.

Questo missionario approfittò per spiegare che, effettivamente, il proposito della Messa è alimentarci spiritualmente: in primo luogo, con la Parola di Dio nella Liturgia della Parola, e secondo, con la Vita di Dio nella Liturgia dell’Eucaristia. E Dio ci alimenta affinché possiamo uscire e dare testimonianza di Lui con la nostra vita, le nostre parole e le nostre azioni. Il missionario aggiunse: L’Eucaristia non finisce col Rito di saluto. Al contrario, comincia lì. Come quei due discepoli di Emmaus, dobbiamo uscire e raccontare agli altri quello che il Signore Gesù ha fatto in noi.  

Nella nostra piccolezza, come successe ai primi discepoli, diventa visibile il potere della resurrezione (Fil 3, 10), senza necessità di dover operare prodigi. Non lascia di essere curioso che, dopo aver camminato varie miglia con Gesù, lo riconobbero in un dettaglio piccolo, non in qualcosa di spettacolare: il suo modo di ripartire il pane che, con Lui e per noi, si trasforma in sacramento.

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Tutti noi abbiamo il desiderio di raccontare le nostre storie. Sentiamo la necessità di condividere le nostre esperienze con gli altri. Ai genitori piace condividere le storie della loro vita coi loro figli.  Raccontano  quello che hanno passato e come vissero le loro allegrie e le loro pene, le loro lotte e le loro conquiste. Tutti abbiamo necessità di condividere le nostre storie con qualcuno, perché vogliamo che gli altri condividano le nostre pene, le nostre sofferenze, le nostre allegrie ed i nostri successi.

Cosicché, raccontare storie forma parte del processo dell’ essere umano. Raccontandole ci sentiamo compresi, apprezzati, empatici e fortificati. Ancora di più quando siamo feriti e malati.  Raccontare le nostre storie ai nostri buoni amici, consiglieri o persone con sensibilità spirituale, è una parte necessaria del processo di cura. Inoltre, il semplice fatto di articolare le nostre preoccupazioni, paure ed ansietà, ci aiuta a cristallizzare il fondamento e la portata di quelle preoccupazioni. A questa inclinazione risponde Gesù istituendo il Sacramento della Confessione.

Questo fu quello che successe ai discepoli di Emmaus.  Anche loro dovevano raccontare la loro storia, una storia profondamente spirituale. Avevano passato momenti difficili. Gesù, che chiamavano il loro maestro, era un uomo che amavano profondamente. Furono testimoni della sua compassione per i poveri e per quelli che soffrivano, la sua misericordia verso i peccatori, il suo amore appassionato per suo Padre e la sua obbedienza nel fare la sua volontà. Predicava con autorità, a differenza degli scribi e dei farisei. Realizzò miracoli di guarigione, e dimostrò il suo potere perfino sulla natura. Moltiplicò cinque pani per più di 5000 persone… Per tutto quello che fece, risvegliò la gelosia dei dirigenti religiosi. Congiurati tra loro, istigarono la moltitudine ad andare contro Gesù e infine gli diedero una morte crudele ed ingiusta sulla croce. Erano attoniti e confusi per la triste fine. Questo fu quello che disse Pietro: A questo uomo che fu posto in vostro potere per intenzione deliberata e prescienza di Dio, lo presero e lo fecero crocifiggere da uomini estranei alla Legge. Voi lo avete ucciso. I discepoli di Emmaus si fecero eco degli stessi sentimenti.

È nella comunione del Corpo e del Sangue di Cristo dove Lui si dona pienamente a loro. È nella comunione di questo Corpo spezzato dove possono trovarsi veramente con Cristo risorto. Dopo, può già sparire in presenza dei discepoli.

Preghiamo oggi affinché, come i privilegiati che siamo, riusciamo sempre a riconoscerlo nel  ripartire il pane e nel condividere il suo Corpo ed il suo Sangue.

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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis CASASUS

Presidente