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Vangelo e riflessione

Una cosa so, prima ero cieco e ora posso vedere

By 21 Marzo, 2020No Comments
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di p. Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes                                       

New York, 22 marzo 2020 | Quarta Domenica di Quaresima  

1Samuele 16, 1b.6-7.10-13a; Efesini 5, 8-14; S. Giovanni 9, 1-41.  

Nan Qi era situata in una remota zona montagnosa di Sichuan, Cina. L’acqua della montagna era molto dolce. Tuttavia, quelli che la bevevano sviluppavano il gozzo, il che portava ad un ingrandimento dal collo. Tutti gli abitanti di Nan Qi bevevano quest’acqua, cosicché tutti avevano il gozzo. Un giorno, uno straniero arrivò a Nan Qi. Tutti i campagnoli si meravigliarono della piccolezza del collo dello sconosciuto. Lo straniero disse ai campagnoli che soffrivano di una malattia chiamata gozzo e che dovevano vedere un medico il più presto possibile. Tuttavia, tutta la gente di Nan Qi rise di lui e disse: Tutti i nostri colli sono così. Perché dovremmo vedere un medico? È il tuo collo quello che ha il problema. 

Questa storia è simile al testo del Vangelo di oggi. Siamo ciechi? Se ammettiamo che siamo ciechi abbiamo l’opportunità di vedere la luce; se siamo egocentrici o arroganti, non avremo la stessa opportunità. Nel cuore di ognuno di noi ci sono molti angoli di cecità. Il nome di colui che recuperò la vista non fu mai conosciuto. Quell’uomo è ognuno di noi; siamo invitati a renderci conto che siamo in qualche modo ciechi e siamo disposti a ricevere la vista. I farisei chiedono a Gesù: Vuoi dire che anche noi siamo ciechi? E Cristo dice loro: «Se foste ciechi, [come l’uomo della storia], non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane».

La cecità è una condizione con la quale nasce l’uomo. Alcuni non vedono, altri non vogliono vedere, ed altri neppure pensano di guardare. Queste sono le tre forme possibili di cecità. 

La prima cecità si deve alla mancanza di sensibilità. Siamo ciechi perché siamo ignoranti e spiritualmente ottusi. L’uomo che Cristo conobbe nacque cieco, cioè, ignorante per il Peccato Originale. Abbiamo perso il dono preternaturale della conoscenza infusa. Se siamo sinceramente ignoranti della verità, Dio ci perdonerà. Perché questo è quello che disse Gesù Cristo: Se foste ciechi,  non avreste alcun peccato. Per questo motivo, sulla croce, chiese: Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno. Cosicché, quelli che ignorano la volontà di Dio ed i suoi piani, saranno perdonati. E, se rimaniamo aperti all’ispirazione divina, il perdono arriva immediatamente. Non dobbiamo aspettare il Giudizio Finale: sentiamo che Dio rende più acuta la nostra sensibilità e ci accoglie come collaboratori nei suoi piani, per la redenzione del nostro prossimo. 

In generale, soffrendo questa cecità, non vediamo il danno che facciamo alle persone col nostro cattivo esempio o le conseguenze di non avere un’orazione continua. Neanche vediamo le possibilità che lo Spirito Santo ci offre continuamente per consolare, servire e dare pace al nostro prossimo. 

Questo è quello che successe al ricco della Parabola di Lazzaro: era delicato con gli amici, organizzava banchetti che la gente apprezzava, ma non vedeva la realtà del povero che sedeva alla porta di casa sua. Era insensibile, indifferente, ed un “grande abisso” lo separava da Lazzaro… già quando stavano in questo mondo. 

Un altro sintomo di questo tipo di cecità sono i nostri giudizi miopi sulle persone: ci abbagliano le loro virtù e talenti o le loro limitazioni e difetti. Perfino il profeta Samuele, nella Prima Lettura, quando sta per scegliere il futuro re d’Israele, un figlio di Iesse, mette i suoi occhi su Eliab, il primogenito, per la sua forza fisica ed il suo aspetto gradevole ed intelligente. Ma Dio fa sapere a Samuele che l’eletto sarà David, il più giovane, che era ancora adolescente ed immaturo. 

La seconda cecità è causata dalla paura. 

Nel 2008 alcuni ricercatori realizzarono un esperimento sulla cima di una collina, utilizzando un monopattino, una piccola scatola e molti partecipanti che non conoscevano la natura della prova. Ad un gruppo fu chiesto di fermarsi in cima alla collina su una piccola scatola della stessa altezza di un monopattino. All’altro gruppo fu chiesto di fermarsi sul monopattino (che era stato assicurato affinché non rotolasse). 

Ad entrambi i gruppi di volontari fu chiesto di calcolare la distanza fino alla parte bassa della collina. Senza eccezione, i partecipanti che si fermarono sul monopattino stimarono che la collina era molto più ripida e la cima era più lontana dal piede. La squadra di ricerca giunse alla conclusione che le persone che stavano in piedi sul monopattino avevano una sensazione naturale di pericolo e, pertanto, la loro percezione era  “disturbata” dalla paura. 

Abbiamo paura di vedere l’azione di Dio nelle nostre vite. Perfino se è qualcosa di molto evidente. Questo successe ai genitori del cieco che Cristo guarì: «Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco; come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; …». Temevano i leader religiosi che avevano già concordato di espellere dalla sinagoga chiunque avesse riconosciuto Gesù come il Messia. Questo è il caso di molti cattolici che si vergognano di essere riconosciuti come credenti per timore di essere ridicolizzati ed esclusi dai circoli sociali. 

In altre occasioni, temiamo lo sforzo che suppone l’essere fedeli a Dio, l’abbandonare certe abitudini o l’intraprendere atti di servizio generoso che la Provvidenza ci chiede di realizzare con una chiarezza indiscutibile. Non ci rendiamo conto di come siamo continuamente perdonati ed accolti da Dio. Non sappiamo che cosa fare coi nostri peccati. Sentiamo solo vergogna, paura, scoraggiamento o perfino disperazione. In molte occasioni, siamo realmente perduti nella nostra relazione con Dio. Un santo disse che  c’è una doppia paura che spia nel cuore dell’uomo e che può ostacolare le sue relazioni con Dio: la paura di non essere sufficientemente amato da Dio, cioè, di non essere degno di essere amato, e, paradossalmente, la paura di essere amato in eccesso, con un amore troppo esigente e possessivo. 

Alcuni giorni fa, Papa Francesco raccontava la storia di un santo che era scoraggiato. Non importava quello che facesse, sentiva sempre che Dio non era soddisfatto. Cosicché domandò a Dio che cosa gli mancasse. Dammi i tuoi peccati. Questo è quello che manca, rispose il Signore. Il peccato fa sì che ci chiudiamo in noi stessi, ma Dio vuole parlare. Come Adamo ed Eva, tendiamo a nasconderci per la vergogna e la paura che sentiamo per le cose che abbiamo fatto. Il peccato fa sì che ci rinchiudiamo in noi stessi. Tuttavia, Dio ci chiama affinché parliamo di ciò con Lui. E questo è perché, in particolare, vuole mostrarci il suo perdono. 

Può succedere che non comprendiamo come si sviluppano i piani divini nelle nostre vite. Ma se cooperiamo con Lui, vedremo la sua sapienza e la sua misericordia. Dobbiamo fare un passo avanti ogni volta, rispondendo alla sua volontà. Unendoci alla sua volontà, un giorno, quando arriveremo alla fine, saremo capaci di collegare i punti nelle nostre vite. Allora vedremo, e non potremo fare altro che meravigliarci dei piani di Dio. 

La terza cecità è il risultato di essere accecati dalle esigenze, dalle prove o dalle ambizioni mondane. Le nostre necessità di salute, risorse economiche e affetto sono spesso opprimenti e dolorose. È qualcosa che Cristo descrive nella Parabola del Seminatore, quando parla del seme che cade in terra poco profonda, tra spine o tra pietre. L’urgenza ci divora. Non abbiamo neanche tempo per guardare ciò che è più importante nelle nostre vite. 

Siccome questa cecità si produce camminando per le strade di questo mondo, sia colpevole o no, questa cecità in verità è auto-inflitta. Questa cecità comincia con la mancanza di prospettiva e produce una perdita di perseveranza. Ha varie forme e gradi. 

Ovviamente, i farisei, apertamente e senza giri di parole, rifiutano di ammettere la verità. L’orgoglio impedisce loro di essere aperti alla realtà della situazione ed a Gesù che curò il cieco. Il loro orgoglio era un peccato deliberato. Una persona che sceglie di non vedere è colpevole e sta commettendo il peccato contro lo Spirito Santo. 

I farisei non volevano vedere l’intenzione di Cristo nel realizzare questo miracolo precisamente durante il Sabbath. Non voleva con ciò sfidare la Legge o le tradizioni, bensì mostrare che le malattie, come la cecità dell’uomo che nacque senza vedere, non si devono al piano di Dio. Si devono al fatto che Dio non ha finito la grande opera della creazione. E, pertanto, nel giorno di riposo divino, Gesù, nel nome del Padre, assume il compito di finire questa grande opera della creazione. La lezione è chiara per tutti noi: Il discepolo non può riposare fino a che la creazione non brilli con la gloria della perfezione. 

Il cieco, immediatamente dopo essere stato guarito, non riconobbe Cristo. Come i discepoli di Emmaus, come Maria Maddalena o come gli apostoli dopo la Resurrezione. Ma quello che importa non sono i nomi o le definizioni, il dire che Gesù è un profeta, il Messia, o un uomo di Dio, senza renderci conto, come fece il cieco, che Egli può darci la vista, aprire i nostri occhi continuamente a quello che deve realmente essere la nostra vita, ai piani di Dio. 

Nelle Letture di oggi abbiamo l’immagine della  luce e della vista. Ma, ovviamente, è più  che un’immagine o un simbolo. Il tema centrale delle Letture di oggi è che Dio rende tutto nuovo in ed attraverso Gesù Cristo. Siamo figli della luce battezzati nella gloria che è Cristo. Siamo figli della luce battezzati nella gloria che è Cristo. Ci trasfiguriamo nella vita di Cristo che è la luce del mondo. Entrando nella seconda parte del tempo di Quaresima, siamo chiamati a riconoscere che solo Cristo, che è il nostro Buon Pastore, può tirarci fuori dalla valle delle tenebre curandoci della nostra cecità. Illuminato da Gesù, il cieco se ne ritorna irriconoscibile e cambia completamente. Perfino i vicini che per anni hanno vissuto al suo fianco, si domandano: «È questo è il mendicante che normalmente sedeva qui o è un altro? ». 

Nell’atteggiamento del cieco appena guarito, possiamo apprezzare alcune delle caratteristiche che distinguono coloro che sono trasfigurati come Cristo: 

È libero e non si lascia intimorire da coloro che abusano del loro potere, quando insultano, minacciano e ricorrono alla violenza. È sincero: non rinuncia a dire la verità, perfino quando questa è scomoda o non è accolta da coloro che sono abituati ad ottenere approvazione ed applausi dagli adulatori. Diventa semplice come una colomba, ma anche astuto come un serpente. Le autorità tentano di prenderlo, forzandolo ad ammettere che sta dalla parte di colui che “non osserva il sabato” ma sfugge alla trappola. Riconosce sempre i suoi limiti: «Dov’è questo tale?». Rispose: «Non lo so». Ammette di non sapere molto su Gesù. 

Ma, in qualsiasi caso, si trasforma in testimone di quello che Dio aveva fatto in lui attraverso Cristo. Questo è quello che è essere un apostolo.

Oggi, chiediamo a Dio che ci apra gli occhi affinché possiamo vedere tutte le cose che Egli vuole che vediamo. Che la nostra orazione per questa quaresima sia semplicemente: Signore, fa’ che io veda.