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Vangelo e riflessione

Regnare dalla Croce

By 23 Novembre, 2019No Comments
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por el p. Luis CASASUS, Superiore Generale de los misioneros Identes

2 Samuele 5, 1-3; Colossesi 1, 12-20; Luca 23, 35-43

Madrid, 24 novembre 2019

1. Dio ci dà solo quello di cui abbiamo bisogno. Nella Prima Lettura vediamo come Davide, un pastore intelligente e coraggioso, fu proclamato re della tribù di Giuda.

Riuscì a costruire un potente regno che suo figlio Salomone poi ereditò. Questi riuscì a mantenere unito il regno di suo padre, ma presto le tribù si separarono nuovamente e Israele tornò ad essere un popolo insignificante, ridicolizzato dalle forti tribù vicine.

Il sogno degli israeliti dell’epoca di Cristo era ricostruire un giorno il grande regno di Davide e trasformarsi nei governanti del mondo e pregavano continuamente il Signore affinché inviasse il suo Messia.

Gesù Cristo è la risposta di Dio alle preghiere ed aspettative del suo popolo. Come Davide, è un re pastore che cerca di raccogliere le pecore perdute.

Come sempre, la risposta di Dio va oltre le nostre richieste ed aspirazioni. Il buon ladrone chiese semplicemente a Gesù che lo ricordasse: Ricordati di me quando entrerai nel tuo Regno. Ma egli gli rispose: In verità ti dico, oggi sarai con me nel Paradiso.

Non possiamo capire completamente perché nostro Padre Celestiale ha scelto questo modo di salvarci, la Passione di suo Figlio. Forse Soren Kierkegaard (1813-1855), il celebre filosofo danese. che normalmente invitava i suoi lettori a scoprire il significato delle sue opere, può aiutarci.

Scrisse una storia su un re che si innamorò di una giovane contadina. Il re sapeva che era impossibile per lui sposarla. I re non si sposavano mai con campagnole. Si sposavano sempre con qualcuno nobile. Ma questo re era tanto potente che avrebbe potuto sposarsi con la giovane e stare con lei. Ma gli venne un pensiero. Se si sposava con la contadina e continuava ad essere re, sarebbe sempre mancato qualcosa nella sua relazione. Dato che egli era il re, pensava che ella avrebbe potuto ammirarlo e rispettarlo, ma in realtà non l’avrebbe mai amato. La breccia tra loro sarebbe stata troppo grande. Ella sarebbe stata sempre cosciente del fatto che egli era un nobile e lei una semplice ed umile contadina. Allora gli venne in mente un piano. Decise di rinunciare al suo regno e di diventare un umile contadino. Quindi egli le avrebbe manifestato il suo amore come un semplice contadino ad un’altra contadina. Buona idea. Ma il re infine si rese conto che, indipendentemente da quanto nobile potesse essere l’idea, avrebbe potuto risultare controproducente. Poteva perdere non solo il suo trono, ma anche la giovane. Ella avrebbe potuto respingerlo; specialmente se lo giudicava così stupido da fare qualcosa di tanto imprudente come rinunciare al suo trono e a tutti i benefici che implicava l’essere re.

Allora, che cosa avrebbe potuto fare? Alla fine, il re decise che amava tanto la contadina che avrebbe rischiato tutto per rendere possibile il vero amore tra loro.

Kierkegaard non raccontò mai come finì la storia, non disse mai se la giovane accettò l’amore del re o lo respinse, non disse mai se si sposarono e vissero felici per sempre. Senza dubbio, Kierkegaard aveva varie ragioni per non raccontare come finì la storia. Una ragione poteva essere che quello non è il punto chiave della storia. L’importante di quella storia è l’amore del re per l’umile contadina. Un’altra ragione per cui Kierkegaard mai raccontò come finì la storia è perché realmente non è finita … ancora continua. Si potrebbe dire che ognuno di noi sta ancora scrivendo il suo personale finale per quella storia. Ognuno di noi sta sulla strada di determinare se daremo accoglienza all’amore di Dio o lo respingeremo. Nel nostro caso, è una storia reale, il cui finale non è stato ancora scritto.

Da parte mia, credo che nostro Padre Celestiale era (ed è sempre) disposto a darci un segno chiaro e potente della Sua afflizione che desidera condividere con fiducia con noi, la sua vera e più profonda “emozione” spirituale: Ci sarà più gioia. in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione (Lc 15, 7). Questa è la base della sua decisione di avere permesso la Passione del suo amato Figlio. Inoltre, è per questo motivo che è appropriato chiamare Gesù un re pastore. Un buon pastore riunisce, non disperde. Riunire persone: senza dubbio, la cosa più difficile di questo mondo, perché la separazione è la strada più rapida e più percorsa verso l’allegria fugace e ingannevole.

2. Se la risposta di Dio è esattamente quella di cui abbiamo bisogno, perché non è stata accettata dagli israeliti e neanche da noi stessi?

Troviamo la risposta nel Vangelo di oggi. I tre tipi di persone che si trovavano vicino alla croce di Cristo rappresentano bene i nostri atteggiamenti verso la Parola di Dio.

* Ci sono persone che non si rendono conto di quello che sta succedendo. Non capiscono come può essere che un uomo giusto, che sta morendo senza reagire, possa essere il tanto atteso re. Non capiscono perché Dio non intervenga a salvarlo ed ad aiutarli.

Queste persone perplesse al piede della croce non sono responsabili della morte di Gesù, ma rappresentano i poveri di spirito; si sentono impotenti ed abbandonati: Tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto (Lc 23, 48).

Essi rappresentano tutte le persone ben disposte che vorrebbero capire il piano di Dio, ma non possono perché quelli (tu ed io) che dovrebbero accompagnarli ed illuminarli, a loro volta, sono ciechi ed insensibili, forse li abbiamo considerati un caso impossibile o abbiamo perso la pazienza con loro. Non sanno come fare il bene ai loro simili; nessuno glielo ha detto.

Molti di essi, come i Colossesi nella Seconda Lettura, e anche molti di noi, ricorriamo disperatamente ad idoli di molti tipi, alcuni non intrinsecamente cattivi, ma potenzialmente capaci di distruggere la nostra libertà emozionale e spirituale e trascinarci a dimenticare quello che significa l’amore. Il consumismo, l’ossessione per mantenerci giovani e belli ed un desiderio incontrollabile di nuove esperienze sono esempi contemporanei ben conosciuti.

Oggigiorno, queste minacce sono più gravi e serie che nel 1925, quando Pio XI istituì la Festa di Cristo Re, perché queste minacce si presentano ora sotto l’apparenza di tolleranza, secolarizzazione e neutralità.

Nell’Unione Formulativa, nella contemplazione della vita di Cristo, meditando sullo Spirito del Vangelo, lì è dove gradualmente troviamo quello che possiamo fare di fronte alle acque turbolente delle nostre passioni e degli eventi incontrollabili che ci circondano. E in particolare, come possiamo offrire un perdono incondizionato a tutti quelli che ci fanno male. Così si realizza il dominio di Cristo nella nostra anima.

Dovremmo applicare a noi le parole del nemico quando si prende gioco di Cristo: Salva te stesso per primo, se vuoi salvare altri. Se non siamo salvi, se non siamo liberi dalla schiavitù del peccato, nessuno crederà che Cristo è il nostro salvatore.

Parlare di Gesù come il nostro re e Signore significa che Cristo regna nella mia mente, nella mia volontà, nella mia anima.

* Il secondo tipo di persone è realmente crudele e spietato. La perversa banda dei farisei e dei soldati romani. Tutti si prendono gioco di Lui. Ridono di Cristo: è un perdente, incapace di salvarsi e non può scendere dalla croce.

Ma Gesù non dà la prova che gli chiedono. Non discende dalla croce per convincere tutti. Se scendesse dalla croce, tradirebbe la sua missione; starebbe confermando la falsa idea di Dio che i leader spirituali della gente avevano in mente, un Dio potente che sconfigge e umilia i nemici che sarebbe come i potenti di questo mondo, forte, arrogante e vendicativo.

Dio è onnipotente perché ama immensamente, si mette senza limiti e condizioni al servizio delle persone. La sua onnipotenza è rispetto al servizio. L’abbiamo visto in Gesù che si china a lavare i piedi dei discepoli: quello è il viso autentico del Dio onnipotente, il Re dell’universo.

Possiamo aspirare ad avere influenza sulla vita delle persone crudeli e spietate? Decisamente si. Ricordiamo la narrazione di San Marco: Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: «Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!». (Mc 15, 39).

Presto o tardi, magari alla fine della nostra vita, o quando il nostro prossimo arriverà davanti a Dio, la nostra umile testimonianza sarà il mezzo attraverso il quale la misericordia divina sarà abbracciata dalle persone apparentemente irredimibili e spietate.

C’è una storia particolarmente famosa che illustra questa verità:

C’era un sacerdote che era a Roma, a completare i suoi studi, e ogni giorno visitava una chiesa, in particolare per pregare. Una volta, fuori da una chiesa, normalmente si riuniva un gruppo di persone senza tetto, e dopo alcuni istanti, uno degli uomini richiamò la sua attenzione. Si avvicinò a lui per parlare e gli domandò se i due si erano conosciuti prima.

L’uomo senza tetto lo guardò e disse: Sì, fummo ordinati insieme. All’apparenza, quell’uomo senza tetto aveva attraversato momenti difficili come sacerdote e aveva lasciato il sacerdozio.

Il primo sacerdote ebbe l’opportunità di avere un’udienza con Papa Giovanni Paolo II. Allora, gli disse: Santo Padre, c’ è un sacerdote che vive in strada qui a Roma. Se c’è qualcosa che possa fare, per favore l’aiuti.

Un paio di giorni dopo, il sacerdote ricevette un invito del Papa Giovanni Paolo II per cenare insieme all’uomo senza casa. Man mano che si avvicinava la notte, il Papa domandò se poteva parlare in privato con l’indigente. Dopo 20 minuti ritornarono, notevolmente emozionati. Salutarono, ed il sacerdote accompagnò l’uomo senza tetto e gli domandò che cosa era successo nella sua udienza privata.

L’indigente gli disse: Il Papa mi ha chiesto di confessarlo. Il Papa gli offrì di reincardinarlo come sacerdote se lo desiderava. L’indigente accettò ed ascoltò la confessione del Papa. Allora il Papa ascoltò la sua e lo incaricò di seguire le persone senza casa nella chiesa dove normalmente prima mendicava.

Cristo sa bene che i soldati erano persone ignoranti e povere, preoccupati per le loro famiglie ed inviati, per poco denaro, a commettere atti di violenza contro genti di differente lingua, costume e religione.

Erano solo capaci di ripetere le parole che avevano ascoltato pronunciare dai loro leader: Se sei il re degli ebrei, salva te stesso. Realmente non sapevano quello che facevano. Ignoravano tutta la portata e le conseguenze delle loro azioni.

Nel nostro linguaggio spirituale, diremmo che le persone di questo secondo gruppo sono schiavi del loro Difetto Dominante, generalmente qualche manifestazione di orgoglio e di paura. Molti di noi stiamo vivendo nel peccato, ma poiché siamo anestetizzati dal mondo, siamo arrivati a vivere coi nostri peccati, pensando che è qualcosa di normale. Senza una coscienza reale del peccato, come possiamo distinguere quello che è buono da quello che è male? Questo è il modo in cui il nostro Difetto Dominante ci schiavizza.

* Il buon ladrone rappresenta le persone che piangono i loro peccati, che veramente si pentono di essi. Questo secondo ladrone chiama Gesù per nome. Lo considera un amico, l’amico di chi ha avuto una vita disgraziata. Non lo considera semplicemente una “persona importante”, bensì un compagno di viaggio, qualcuno che ha accettato di sottomettersi, nonostante l’essere giusto, al destino dei malvagi.

Il buon ladrone ha fatto esattamente quello che doveva fare: riconoscere ed abbandonare il peccato che lo schiavizzò. Al contrario, molti di noi abbiamo un’idea vaga dei nostri peccati, perfino quando possiamo dare con precisione una definizione teologica astratta del peccato.

Come la maggioranza delle persone che circondano il crocifisso, i leader religiosi, i soldati ed uno dei ladroni, non possiamo accogliere e riconoscere le continue opportunità che ci vengono date per vivere la libertà del regno di Dio, per servire, per donare la nostra libertà a Dio e per essere riempiti dalla sua grazia.

Come Cristo c’insegna nella parabola del Servo Inutile, solo quando possiamo servire con i talenti e la salute che ci sono stati dati, riceviamo la maggiore ricompensa possibile e ci trasformiamo sempre di più nell’immagine e somiglianza del Dio che ci ha creati. Quando diamo, da una parte, riceviamo l’allegria di dare e vedere qualcuno che si sente amato e, dall’altra, cresciamo nella capacità di dare e condividere di Dio. Non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti. (Mt 20, 28).

Il buon ladrone riuscì ad offrire la sua vita a Cristo all’ultimo minuto.

Si rese conto che nella storia umana c’era di più di quello che vediamo, sperimentiamo e capiamo. Si rese conto che Gesù aveva le chiavi di un Regno molto più grande del nostro universo personale di pensieri e desideri. Sentì che il Regno di Cristo avrebbe potuto cominciare sulla terra, per mezzo della fede, della speranza e dell’obbedienza, ma che ne avrebbe raggiunta la pienezza solo in cielo.

Ed il Buon Ladrone, ancora appeso sulla croce, morendo con un dolore insopportabile, era felice perché si era messo sotto la protezione del Re.

Forse la lezione più pratica che possiamo imparare in questa Festa di Cristo Re è che, perfino nelle mie ore più oscure, quando sento che il mondo si è rivoltato contro di me, in tempi di disperazione emozionale, posso (e frequentemente mi viene chiesto) aiutare qualcuno più bisognoso, perdonare o incoraggiare un altro, dare un anticipo piccolo e decisivo di quello che è la vita eterna.