di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei Missionari Identes
Commento al Vangelo del 22 ottobre 2017, XXIX Domenica del Tempo Ordinario (Libro Isaia 45, 1.4-6; 1Tessalonicesi 1, 1-5b; Matteo 22, 15-21)
Quando Cristo parla di dare qualcosa a Dio e di dare qualcosa a Cesare, non si riferisce ad una presunta “separazione della Chiesa e dello Stato”. Pretendeva di andare oltre la semplice politica umana. Cristo sta facendo una distinzione (non una opposizione) su quello che appartiene alla credenza religiosa e quello che è semplicemente proprio della morale o della cultura secolare.
Questa è la sfida universale, in ogni epoca. È anche la nostra sfida personale. Sicuramente, molte volte centriamo i nostri sforzi nel compiere obblighi come fare un lavoro duro ed onesto, non discriminare nessuno, essere leali, trattare bene le persone, etc. Ma non è necessario seguire Cristo per compiere certe esigenze morali minime. Se hai certi obblighi secolari e sono giusti, devi compierli come ogni cittadino onesto, ma il “tuo cuore, la tua anima e la tua mente” non appartengono allo stato, né al tuo lavoro, né alla tua attività preferita. Appartieni a Cristo e Cristo appartiene a Dio (1Corinzi 3: 23).
Sant’Ignazio di Loyola diventò cosciente di questa realtà dopo essere stato ferito nella Battaglia di Pamplona, nel 1521. Durante la convalescenza, fu ispirato a lasciare la vita militare e dedicarsi a lavorare per Dio. Nei suoi Esercizi Spirituali, incluse la frase seguente, che i gesuiti utilizzano nella loro formula di professione dei voti: Prendete, Signore, e ricevete tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà, tutto il mio avere e il mio possedere; Voi me lo avete dato, a Voi Signore, lo ritorno; tutto è vostro, disponete tutto alla vostra volontà; datemi il vostro amore e e la vostra grazia che questa mi basta (Esercizi Spirituali #234).
Il Nostro padre Fondatore lo esprime col concetto di Spirito Evangelico: di fatto, tutti i nostri momenti, tutti i nostri pensieri e desideri, tutte le nostre azioni, dovrebbero appartenere a Dio. Quando ho intenzioni e motivazioni differenti (moralmente buone o no) non riuscirò a dare a Dio quello che appartiene a Lui. Questo è anche il messaggio della prima lettura: Io sono il Signore. Non ce n’è un altro.
Sapendo che siamo occupati negli obblighi (compresi quelli religiosi ed apostolici) di questo mondo, Cristo ci chiede di donare a Dio quello che appartiene a Dio. Tutti gli impegni di questo mondo sono passeggeri. Per molto ci preoccupiamo per l’economia, le guerre e tutti i problemi del nostro mondo, in fin dei conti tutte quelle cose non hanno peso. Sì, è molto importante essere attivi nel nostro mondo ed essere responsabili di quello che ci è stato affidato. Tuttavia, tutto quello che c’è nel mondo viene da Dio ed a Lui lo dobbiamo restituire, specialmente tutto quello che ci ha dato, la missione di badare al nostro prossimo. Altrimenti, dovremo dire con la poetessa:
Per tutto il bene che non feci….
Perdonami, Perdonami (Katharine Towers).
Perfino il Cesare appartiene a Dio, perché egli (come Ciro) è chiamato da Dio a rivelare i suoi piani di salvezza, in maniera insospettata per lo stesso Cesare. Essi sono e noi siamo strumenti di Dio. Perfino quando a Lui ci ribelliamo frontalmente, è capace di agire creativamente per includere la nostra ribellione nei suoi piani e poi darci la possibilità di fare un bene.
Ma questo è molto positivo ed incoraggiante; possiamo sentirci umili e grati per le benedizioni che Dio ci ha dato affinché li utilizziamo nei suoi piani divini. San Paolo lascia molto chiaro che questo Dio che è Padre deve manifestarsi nel modo in cui viviamo tutta la nostra vita. Ricordava ai tessalonicesi che avrebbero dovuto dimostrare la loro fede in azione, agendo per amore e con la speranza nel Nostro Signore Gesù Cristo.
Il regno dei cieli abbraccia tutte le dimensioni della vita. Questo regno può realizzarsi in me solo quando tutta la mia vita si adatta alle regole divine, alle regole dei valori del Vangelo. Questa non è una possibilità tra le altre. Questa è la legge: solo una vita di completa dedicazione, di totale distacco, può proclamare che Dio vive in noi e noi in Lui. In modo che, quando NON viviamo una doppia vita, una di fede ed un’altra mondana, Dio ci dona anime e l’ispirazione necessaria per portarle a Lui.
Uno degli esempi più chiari ed anche più sottili è il rischio che abbiamo di limitarci ad una morale secolare in quanto all’uso del tempo
Essere un buon amministratore del tempo che Dio ci dà non è semplicemente una questione di sfruttare ogni minuto per essere più produttivi. L’obiettivo in questa amministrazione non è che un cristiano sia più occupato. Non cerchiamo di vivere una vita con più attività. Quello che pretendiamo è di usare bene il tempo che abbiamo, secondo una visione spirituale ed apostolica dello stesso.
Sì; siamo figli di Dio e cittadini del cielo in esilio, pellegrini. Coloro che appartengono al mondo, d’altra parte, vivono sulla terra come creature di questo mondo, cercando il senso e significato della vita solo nelle cose del mondo. Per un discepolo di Cristo, San Paolo ci ricorda che viviamo in un tempo di oscurità, in un’età perversa, la cui forma passerà. Tutto in questo mondo è diretto a farci pensare che questo mondo è il nostro fine ultimo. Ma siamo qui per essere ambasciatori di Cristo in una missione universale, dove dobbiamo fare discepoli di Gesù in tutte le nazioni: Sia dunque che mangiate sia che beviate sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio. (Corinzi 10,31).
Tuttavia, se lo pensiamo accuratamente, senza Dio non c’è base alcuna per la morale, perché tutto sarebbe relativo. Senza Dio, non ci può essere una donazione totale a niente, perché non ci sarebbe niente a cui arrendersi.
Se la fede non illumina il significato di tutta la nostra vita, possiamo essere sicuri che stiamo adorando un’immagine falsa di Dio. C’è chi forgia una fede del tipo “faccia lei lo stesso” che riduce Dio al limitato spazio dei suoi desideri personali e delle sue proprie convinzioni. Altri riducono Dio ad un falso idolo; usando il suo santo nome per giustificare i propri interessi o perfino per incitare all’odio e alla violenza (Papa Francesco).
C.S Lewis scrisse:
Ci sono tre immagini nella mia mente che devo abbandonare costantemente e cambiarle con altre migliori: un’immagine falsa di Dio, la falsa immagine del mio prossimo e la falsa immagine di me stesso.
In alcuni occasioni, possono sorgere conflitti tra le leggi umane ed i mandati di Dio. Allora, può essere utile ricordare la storia di San Thomas More (Tommaso Moro), il martire inglese:
Re Enrico VIII d’Inghilterra era validamente sposato. Si appellò a Roma per annullare il suo matrimonio. Ma non c’era una base obiettiva per farlo; Roma si negò a ciò. Allora, egli dichiarò se stesso Capo della Chiesa in Inghilterra e si risposò. Poi, ordinò che tutti i suoi amici ed autorità firmassero un documento dichiarando che erano d’accordo con la decisione del re. Molti degli amici di Thomas More firmarono, ma egli si rifiutò di farlo. Il re lo minacciò con la prigione, un giudizio per tradimento e l’esecuzione. Ma More continuò a negarsi.
Aveva due obblighi, uno con Dio ed un altro col suo paese. Quando essi entrarono in conflitto, More non vacillò nel rimanere fedele al primo. Mentre stava per essere giustiziato nel 1534, More incoraggiava tutti a rimanere fermi nella fede. Le sue ultime parole furono: Muoio essendo un buon servitore del Re, ma Dio viene per primo.
Il Vangelo di oggi ci ricorda che siamo cittadini del mondo, ma soprattutto del cielo. Abbiamo un impegno ed un obbligo con entrambi. Speriamo che questi obblighi non si scontrino, ma se lo fanno dobbiamo prendere una decisione come quella di San Thomas More, senza mettere da parte né Dio, né la nostra coscienza.
Una sfida essenziale delle tre letture di oggi è il mantenere gli occhi ben aperti all’atto permanente dello Spirito Santo, per renderci conto che facilmente possiamo farci degli idoli con le realtà di questo secolo e che siamo chiamati ad essere purificati ed ad unirci sempre più strettamente a Lui.
Egli ci invita ad essere sempre più coscienti dell’opera di Dio in tutta la nostra vita ed in tutti gli eventi intorno a noi. Non possiamo avere uno sguardo stretto e vedere quello che è santo e divino solo in quello che così sembra alla società ed ai nostri amici. Dio trascende tutto; è presente in tutto. Questa coscienza si chiama Ispirazione e, come elemento della nostra vita mistica, dovrebbe essere continua, e di fatto lo è, quando apriamo le nostre porte alle persone divine. L’essere convinto della presenza e dell’azione di Dio nel mondo è qualcosa di centrale nella nostra fede, per molto debole che questa sia.