Skip to main content
Vangelo e riflessione

Platone, Michelangelo …e Gesù Cristo.

By 16 Agosto, 2020No Comments
Print Friendly, PDF & Email

di  p. Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes

New York,  16 agosto 2020 | XX Domenica Tempo Ord.

Isaia 56, 1.6-7; Lettera Romani 11, 13-15.29-32; S. Matteo 15, 21-28 

Molti autori hanno segnalato la similitudine tra i così detti Dialoghi Socratici di Platone e il modo in cui Gesù insegnò ed aiutò a capire la verità. Fino al giorno d’oggi, il “Metodo Socratico” si intende come insegnare rispondendo alle domande della gente con domande, aiutandoli a scoprire la verità da se stessi, e scoprendo quello che è già in essi. L’educazione significa letteralmente “guidare verso fuori”, un modo di modellare la nostra estasi. 

Nel Vangelo di oggi, troviamo un mirabile incontro di Gesù con una donna generosa e coraggiosa che Cristo utilizza per mostrare a lei, e soprattutto ai suoi discepoli, quale sia la nostra vera relazione con Dio, come ci ami paternamente, nonostante il nostro comportamento o l’immagine negativa che abbiamo di noi stessi. 

I discepoli volevano che la donna cananea, non israelita, fosse mandata via. Ella stava facendo una scenata, gridando dietro di loro. I discepoli erano ovviamente imbarazzati: «Esaudiscila, vedi come ci grida dietro».

Non appena Gesù incomincia a parlare, la donna si inginocchia ai suoi piedi, cosicché Gesù dovette vedere la sua fermezza e, quella che poi dirà che è la sua fede. Mentre Gesù le risponde, parla di quegli atteggiamenti della sua epoca che erano accettati da molti: dà voce al fanatismo tra ebrei e gentili; eletti e non eletti e comincia a dare le motivazioni per le quali non dovrebbe aiutare questa donna non ebrea. In altre parole, comincia a dire quello che altri starebbero già pensando. Gli israeliti sono le pecore; i gentili sono i cani. L’uso del diminutivo mitiga, ma non di molto, la durezza dell’offesa. Nell’antico Medio Oriente, “cane” era l’insulto più crudele. Era il soprannome col quale gli ebrei chiamavano i pagani. 

Gesù svolge il ruolo dell’israelita integrale e puro per mostrare quanto fosse ridicola ed insensata la mentalità separatista coltivata dal suo popolo. 

Tutti noi abbiamo qualche tratto di discriminazione, di parzialità. Non è facile per noi amare tutti allo stesso modo, trattare tutti con la stessa considerazione. L’età, il sesso, la cultura, il carattere, la religione, la nazionalità, le disabilità… sono  molti i fattori che ci condizionano ed è necessario avere una vera grazia, un profondo stato spirituale per non lasciarsi influenzare da tante etichette e pregiudizi che ci portano a discriminare e ad avere accezione di persone. 

Cristo era abituato a soffrire discriminazione sulla sua pelle: Non è questo il figlio di Maria e del falegname? Come può un profeta uscire da Nazaret? Inoltre, durante il suo ministero pubblico, fu respinto da molte città, per esempio, dalla Samaria. 

Non tutti i libri di Storia dell’Arte riportano il seguente episodio: 

Per 35 anni “il Gigante” rimase abbandonato nel patio della cattedrale di Firenze. Il Gigante era un blocco di marmo bianco puro, di 5 metri di altezza e varie tonnellate di peso. Tuttavia, un gran buco che penetrava profondamente nel fianco della colonna lo rendeva virtualmente inutile. Molti scultori avevano esaminato il Gigante, con la speranza di poterlo usare, ma alla fine tutti lo rifiutarono perché non riuscirono a trovare un modo di lavorare attorno al buco. Tuttavia, quando Michelangelo vide il Gigante, vide una magnifica pietra, dalla quale avrebbe potuto scolpire quella che si sarebbe convertita nella sua opera maestra, Davide, il giustiziere di Giganti. 

Nel 1501, la sua richiesta di scolpire il Gigante fu accolta. Come Irving Stone scrisse nel suo libro “L’Agonia e l’Estasi”, Michelangelo risolse il problema del buco inclinando la figura di venti gradi dentro la colonna… affinché il lato sinistro di Davide potesse entrare nel marmo restante. Con il martello ed il cesello nella mano, attese impaziente il primo momento nel quale brillò uno scintillio di un’immagine sepolta, quando il blocco si convertì in una fonte di vita che comunicava con lui. 

Ovviamente, abbiamo una visione molto povera dei nostri simili, simile a quella dei discepoli che accompagnarono Gesù nell’evento di oggi. Dio è l’artista supremo che guarda oltre i nostri difetti e vede l’immagine sepolta dentro, che sta aspettando di essere rivelata. Vuole eliminare quello che in realtà non le appartiene. Forse un peccato nella nostra vita, una cattiva abitudine, o un atteggiamento negativo che ci impedisce di essere quello che Dio vuole che siamo. Vediamo difetti e ricordiamo errori ed offese. Lo Spirito Santo vede opportunità, occasioni per avvicinarsi a noi. Entrambi i punti di vista sono reali. Sono universi paralleli. 

San Francesco di Sales dice: 

In generale, preferiamo i ricchi ai poveri… preferiamo perfino coloro che sono meglio vestiti. Esigiamo rigorosamente i nostri propri diritti, ma vogliamo che gli altri siano giudicati quando insistono nei loro. Ci lamentiamo facilmente dei nostri simili, ma speriamo che essi mai si lamentino di noi. Quello che facciamo per gli altri sembra sempre molto grande, ma quello che gli altri fanno per noi ci sembra un nulla. In sintesi, abbiamo due cuori. Abbiamo un atteggiamento delicato, gentile e cortese verso noi stessi, ma un comportamento completamente differente, duro, severo e inflessibile, verso gli altri (Introduzione alla vita devota). 

A sud di Gerusalemme, il “Campo del Vasaio” fu comprato con le monete d’argento restituite da Giuda ai sacerdoti del tempio. Essere seppelliti lì veniva considerato il colmo dell’ignominia. Era un cimitero in cui seppellire gli stranieri. I gentili impuri e immondi dovevano mantenersi separati dai figli di Abramo perfino dopo la morte. 

La tendenza alla discriminazione, ad erigere barriere tra il bene e il male, il puro e l’impuro, i santi ed i peccatori sono profondamente radicate nel nostro cuore. Si manifestano in diversi modi: paura del confronto, incapacità di mantenere un dialogo aperto, sereno e rispettoso con coloro che hanno opinioni differenti, ecc. A volte questi impulsi si nascondono dietro il lamento di pericoli reali, del sincretismo, della perdita di identità, o della rinuncia ai propri valori. 

La Psicologia e la Sociologia hanno esplorato le radici della discriminazione e i possibili modi di evitarla, con un successo solo relativo. Il Vangelo di oggi, con il modo di agire di Cristo, ci mostra che Dio si preoccupa per tutti ed ognuno degli esseri umani. E la conclusione è chiara: Come posso lasciare qualcuno senza il mio amore? Sulla stessa linea, San Paolo parlò della sua missione coi gentili: “Pertanto, ecco che cosa dico a voi, Gentili: come apostolo dei Gentili, io faccio onore al mio ministero…” (Rm 11, 13). E non smette di sorprenderci che già nella Prima Lettura di oggi, nell’Antico Testamento, otto secoli prima di Cristo, Isaia ci dice che gli stranieri che onorano il Signore e mettono in pratica i suoi comandamenti saranno portati al suo tempio. Offriranno sacrifici ed eleveranno preghiere. Nella casa di Dio, nessuno sarà considerato straniero. 

È certo che la fede è un dono, qualcosa che riceviamo senza meritarlo. È anche certo che non tutti noi che la riceviamo l’usiamo adeguatamente. Gesù dice che quanto più riceverai, più ti sarà richiesto. Per questo motivo possiamo dire che Dio non fa accezione di persone. 

L’argomento spirituale per non avere pregiudizi contro le persone, per non discriminarle o trattarle in modo differente non è che abbiano virtù meravigliose, ma che Dio Padre le ha affidate allo Spirito Santo affinché lavori la loro anima, per scolpirle meticolosamente e misteriosamente come fece Michelangelo con la roccia del “Gigante”. La verità è che tutti siamo indegni. Tuttavia, nonostante la nostra indegnità, Dio desidera e lavora affinché la nostra entrata nel regno dei cieli cominci subito. Questo è uno dei potenti messaggi che ci trasmettono le Beatitudini. 

Oggi è un momento appropriato per ricordare che Dio ha un piano (… e lo segue accuratamente!) per ogni essere umano. Un’altra cosa è che, a causa della mia limitata sensibilità ed impazienza, io non lo percepisca. In questo impressionante incontro di Gesù con la madre cananea, ci viene insegnato che l’amore di Dio è per tutte le persone. Se altre persone ci dicono che non siamo degni, o se noi diciamo a noi stessi che non lo siamo, questo non cambia l’atteggiamento di Dio verso di noi. 

Per continuare con il grande Michelangelo, una volta disse: 

In ogni blocco di marmo, io vedo una statua tanto chiara come se stesse davanti a me, con la sua forma e perfetta nell’atteggiamento e nell’azione. Devo solo strappare le aspre pareti che imprigionano quella bella apparizione per rivelarla agli altri occhi così come la vedo io. 

Quelli di noi che permetteranno che lo Spirito Santo strappi ciò che non appartiene alle nostre vite, alla fine scopriranno che anche noi siamo stati liberati. Liberi di essere il nostro vero io, figli e figlie, scolpiti ad immagine e somiglianza di Gesù. Così come Michelangelo vedeva la statua prima di incominciare a scolpire, Dio ci vede, già   formati e perfetti nell’atteggiamento e nell’azione. Tutto quello che fa è un accurato ritagliare quello che ancora c’imprigiona nell’oscurità del marmo. 

Questa analogia ci deve ricordare che ogni purificazione è realmente necessaria, spesso dolorosa e sempre con risultati sorprendenti, tanto per colui che si purifica come per coloro che lo circondano. Ma l’obiettivo centrale di ogni purificazione è una nuova forma di unione con le persone divine, quello che sarebbe impossibile senza permettere che la mano del Grande Scultore lavori in me. 

È per questo che il Raccoglimento e la Quiete Mistici sono tanto essenziali ed universali. Ricordiamo che non sono proprietà privata dei cristiani. La donna cananea aprì la sua intelligenza, il suo sentimento ed il suo cuore, mettendo da parte la sua condizione di gentile per avvicinarsi a Colui che l’invitava, senza parole, ma con fatti visibili, a condividere con Lui il suo dolore e la sua generosità. 

Gli ebrei respinsero il Vangelo e la sua chiamata ad essere la luce delle nazioni. Poiché il loro rifiuto significava la riconciliazione del mondo, sanno quello che significherà l’ammetterlo? Niente meno che una resurrezione dai morti! Di fatto, con troppa frequenza, molti di noi prendono la nostra fede, l’Eucaristia ed i sacramenti nella Chiesa per qualcosa di scontato. E’ una tragedia per coloro che sono stati benedetti col dono della salvezza, ma poi non ne fanno tesoro. 

Nella nostra orazione ascetica, uno degli sforzi da realizzare è riflettere su come utilizzare le nostre risorse, talenti, abilità. Questo fa parte del contenuto dell’Unione Formulativa, come la chiama il nostro padre Fondatore Fernando Rielo. Molti di noi semplicemente rimangono nella “prima fase”, nell’evitare il loro deterioramento, come il pauroso servo della parabola che seppellì il talento ricevuto dal suo padrone. 

Un insegnamento molto chiaro del generoso e coraggioso atteggiamento della donna cananea è che Dio ci ha scelti e benedetti per la gloria ed il servizio di Dio e dell’umanità: «Mio servo tu sei, Israele, sul quale manifesterò la mia gloria» (Isaia 49,3). Tutto quello che abbiamo, i nostri talenti, le nostre risorse e la nostra fede sono destinate agli altri. Se li accaparriamo per noi stessi, ci saremo fatti un debole favore perché i doni saranno sprecati in noi ed altri saranno privati delle nostre benedizioni. Per questo motivo i cristiani sono chiamati ad essere evangelizzatori e missionari di Cristo. 

Allo stesso modo, ci insegna che la perseveranza nella nostra orazione non è per “convincere” Dio a cambiare opinione o ad accogliere i nostri desideri, bensì per auto-convincerci della nostra piccolezza, della necessità reale che abbiamo della sua mano. Perseveriamo, perché non sempre comprenderemo come Dio risponde alle nostre orazioni; perseveriamo, perché solo col tempo incominceremo a vedere le cose da una prospettiva divina, invece che solo dalla nostra personale prospettiva, che può essere accecata e limitata dall’angoscia e dall’egoismo, spesso, forse, senza che ce ne rendiamo conto.