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Sin categorizarVangelo e riflessione

Pensavo che la santità fosse un’altra cosa.

By 23 Dicembre, 2020No Comments

di p. Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.

New York/Parigi, 27 dicembre 2020 | La Sacra Famiglia

Genesi 15, 1-6. 21, 1-3; Ebrei 11, 8-11-12.17-19; Luca 2, 22-40.

Possiamo credere che la santità significhi una serie di nobili sforzi da parte di ognuno di noi per evitare le seduzioni del mondo e per accogliere la continua chiamata divina a fare il bene. Chi potrebbe negare questo? Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo. (Giacomo1, 27). 

Ma Dio ci sorprende sempre con qualcosa di più, con qualcosa di nuovo. I cosiddetti giusti e i cosiddetti peccatori. Come sorprese Maria e Giuseppe con qualcosa di impossibile da predire e capire totalmente. 

Tutti abbiamo esperienze di fede molto diverse, ma ognuno può identificare persone che in modi molto differenti ci hanno portato a Dio e continuano, aiutandoci nel cammino della perfezione. Alcuni stanno vicino a noi nelle nostre attività quotidiane, altri ancora più vicino: nel cielo e nella memoria del nostro cuore. Allo stesso tempo, nonostante la nostra mediocrità e mancanza di fedeltà, la Provvidenza ci permette di vedere come a volte serviamo come umili strumenti per avvicinare le persone a Dio. Lo strumento è sempre umile, ma il compito ed i frutti sono sublimi ed imperituri.

Perché diciamo che Gesù, Maria e Giuseppe formano una famiglia che è santa o sacra? Sicuramente, oggi è la festa più appropriata per porci questa domanda e scoprire che si tratta di qualcosa di più che una famiglia equilibrata, devota ed armoniosa, come molte altre famiglie di credenti e non credenti. 

Così come diciamo che un santo è una persona che Dio vuole allontanare dalla schiavitù del mondo per dedicarsi ai compiti del regno dei cieli, pure una famiglia o una comunità sarà santa se accettano unanimemente che sono stati convocati dalla Provvidenza per una missione difficile e privilegiata. Non sono riuniti semplicemente per una decisione propria. Neppure rimarranno uniti nelle difficoltà esterne ed interne per una qualche forza speciale al loro interno. 

Perfino il famoso filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) affermò che l’amicizia perdura nella misura in cui due amici si innamorano insieme di un terzo trascendente. Una amicizia durerà solo nella misura in cui i due amici si innamorino, non tanto l’uno dell’altro, bensì entrambi, di un terzo trascendente. Di qualcosa di buono che va oltre loro due. Allora la relazione sarà realmente duratura. Come disse C.S Lewis, la condizione di avere amici è che desideriamo qualcosa di più che amici. L’amicizia deve essere su qualcosa …o qualcuno. 

Nel nostro caso, l’unico “terzo trascendente” possibile è lo stesso Cristo, il cui amore ci attrae l’amore degli altri. Egli fu molto coerente con quello che disse. Ci mostrò, e non lasciò alcun dubbio di quello che voleva dire con “come io li ho amati”. Quello che io dovrei cercare è la volontà di Dio, il piano di Dio. Poi trovare qualcuno che sia tanto innamorato di questo proposito come me. In questo modo incontro qualcuno da amare e con cui vivere.

Anche questo è certo nel caso di Dio. L’amore tra il Padre ed il Figlio non è riservato dentro loro stessi, ma il loro amore mutuo si sparge nel mondo attraverso lo Spirito Santo, lo Spirito di amore. Una famiglia o comunità cattolica non è quella che guarda dentro di sé, ma arriva agli altri con amore, nutrendo la grande famiglia umana. 

“Innamorarsi l’uno dell’altro” può essere solo… egoismo condiviso. Se semplicemente trattiamo di stabilire relazioni tra di noi, tenderanno a trasformarsi in discussioni e infine in divisione, in guerra. Questo è quello che inevitabilmente succede nelle famiglie e comunità religiose: se non c’è un progetto comune esplicito ed unico che è servire Dio ed il prossimo, le difficoltà finiscono con il rovinare la comunità. Ogni membro seguirà più o meno una strada nobile, ma quell’opportunità, che Dio stesso offre, di trasformarsi in una famiglia santa, una comunità santa, rimane tristemente sterile. 

Nella Bibbia, Anna, la madre del profeta Samuele, supplicò Dio per poter avere un bambino solo per donare a Dio il bambino per cui aveva pregato. La relazione di suo figlio col Signore le importava più di tutto. Oggi il Vangelo ci dice che la prima cosa che fecero Maria e Giuseppe fu presentare il neonato al Tempio. 

Maria e Giuseppe subordinarono il loro amore mutuo al loro amore per Dio. E questo è quello che fa la sua famiglia santa. Giuseppe, nonostante il pericolo di viaggiare lontano con un neonato e sua moglie che aveva appena partorito, obbedì al messaggio dell’angelo e partì per l’Egitto. Con Maria, ascoltò attentamente Simeone ed Anna, per sapere quale fosse il desiderio di Dio per suo figlio. Questo fa sì che una famiglia, una comunità, sia santa: ognuno si mette al servizio della volontà di Dio per gli altri, al di sopra dell’attivismo e di qualunque interesse personale o collettivo. 

Anche noi possiamo vivere così se vediamo e siamo coscienti della connessione tra le nostre azioni e quello che è più grande di noi, i piani di Dio. Questo succede quando non mettiamo la nostra relazione con gli altri al di sopra della nostra relazione con Dio, bensì piuttosto quando vediamo la nostra relazione con Dio riflessa in tutte le nostre interazioni con gli altri esseri. 

Questo è qualcosa che lo stesso Dio ci concede e che si chiama Ispirazione. Per vivere questa Ispirazione, dobbiamo accettare di essere purificati in modo speciale: dobbiamo riconoscere che il nostro cuore è diviso e che l’unità è possibile solo alla presenza di Dio. Questo va oltre l’evitare di commettere mancanze, oltre al vivere la virtù, il che è certamente necessario. Solo lo Spirito Santo può rivelarci il significato delle piccole cose, dei piccoli o grandi avvenimenti di ogni giorno e contemporaneamente non essere assorbiti o schiavizzati dai nostri compiti, sofferenze, successi o peccati. 

La legge ebraica richiedeva che tutti i primogeniti fossero offerti a Dio. Maria e Giuseppe si sottomisero a questa disposizione e all’osservanza della Legge. Potremmo dire che l’ispirazione che ognuno di noi riceve in una moltitudine di piccoli segni, è la nuova Legge, la migliore pista che lo Spirito ci offre continuamente per seguire la volontà di Dio. 

Pertanto, è un buon giorno per domandarci: Che parte della mia vita non è relazionata con Cristo? Un’amicizia, o una relazione? Il mio matrimonio? La mia relazione con i nostri figli? Il mio lavoro professionale? Il momento di raccontare una barzelletta? Le occasioni in cui devo fare una correzione fraterna? 

Dal punto di vista della testimonianza apostolica, è certo che molte virtù, molti valori, possono essere trasmessi solo da una comunità santa, una famiglia santa. Se dovessi spiegare questo ai bambini, userei la seguente storia: 

C’era una volta una chiesa, costruita sulle montagne più alte della Svizzera. Era una bella chiesa, fatta con molta attenzione dai campagnoli che vivevano vicino. Ma c’era una cosa che la chiesa non aveva. Non aveva nessuna luce. Non si poteva entrare nella chiesa ed accendere le luci come si fa in molti posti. Tuttavia, ogni domenica sera, la gente che viveva nel pendio della montagna di fronte alla piccola chiesa vedeva che succedeva qualcosa di magico. La campana della chiesa suonava ed i fedeli salivano per il pendio della montagna verso la chiesa. Entravano in chiesa e, improvvisamente, la chiesa si illuminava con una luce brillante. Le persone dovevano portare la luce con loro, cosicché portavano lampade. Quando arrivavano alla chiesa accendevano le loro lampade e le appendevano attorno alla chiesa su bastoni collocati alle pareti, in modo che la luce si estendesse per tutto l’ambiente. Se una sola persona andava in chiesa la luce era molto tenue. Ma quando veniva molta gente, in chiesa c’era molta luce. Dopo la messa, i campagnoli portavano le loro torce a casa. In quel momento, per coloro che guardavano da lontano, era come se un getto di luce uscisse dalla chiesa e si estendesse per il pendio della montagna. Per molti era un segno che tutto andava bene. La luce di Dio era con loro e in loro. L’unica volta che la piccola chiesa si illuminava era quando la gente si riuniva e si univa nel Signore. Mentre presentavano la loro vita e la loro luce, Dio veniva a presentarsi e ad unirsi a loro.

Quello che ci dice il Vangelo di oggi non è un racconto: Simeone ed Anna, nel Tempio, furono luce per Maria e Giuseppe, fecero loro capire che Dio sarebbe stato sempre con loro, in mezzo al dolore e alla spada che avrebbe attraversato il cuore di Maria e al dolore che avrebbe sperimentato Giuseppe. Gli anziani non si sentono mai inutili quando vivono aspettando l’arrivo del Signore. Possono realizzare sempre servizi umili che portano allegria agli altri. Hanno, soprattutto, come Anna e Simeone, il compito di parlare di Cristo a coloro che cercano una strada nella loro vita. Si sono arricchiti con l’esperienza spirituale. Questa è l’eredità più preziosa che deve essere trasmessa alle generazioni future. 

La Sacra Famiglia ci mostra che il vero amore richiede sempre sofferenza. Questo non significa che tutta la sofferenza provenga dal vero amore, ma tutto il vero amore richiede sofferenza… ed il dolore che proviene dal vero amore è redentore. Partecipa della sofferenza di Dio stesso diventando umano, perché vibra con la volontà di Dio: salvare. 

Ma c’è un altro tipo di sofferenza che è molto comune. È una sofferenza che proviene dall’egoismo, di cercare di farsi i fatti propri, della piccolezza dell’essere e dei nostri propositi. Il Vangelo ci sfida costantemente ad imparare a discernere la differenza tra la sofferenza redentrice, radicata nel vero amore, e la sofferenza inutile che è solo radicata nella nostra natura umana, più o meno egocentrica. Orbene, qualunque comportamento motivato dal vero amore rifletterà sempre il segno della libertà. Sottomettere gli altri, tentare di controllarli, non è realmente animato dai migliori aneliti personali; pertanto, non è vero amore. Perfino Maria e Giuseppe dovettero imparare, si potrebbe dire nella maniera più difficile, a come vivere quell’amore. 

L’amore possessivo è un compagno della paura, specialmente della paura della morte. La paura della morte implica la paura di ogni perdita. Si dice nella Lettera agli Ebrei che il diavolo ha tenuto il mondo prigioniero con la paura della morte. Questa è una forma di compulsione. È una schiavitù e crea dipendenza. L’amore che è così, timoroso, compulsivo, schiavizzante, controllante, non è vero amore. È una prigione. Ci impedisce di vivere la vita nello Spirito di Cristo che è lo Spirito del vero amore, sempre libero e che cerca sempre il migliore interesse dell’amato. L’amore possessivo che è molto comune nel nostro mondo ed è la base di quasi tutti i romanzi, i film ed altre forme di divertimento, è fino ad un certo punto naturale, data la nostra natura umana decaduta. 

Nasciamo con esso, ma non è salutare. Non è vivificante. L’amore salutare e vivificante è un dono soprannaturale che viene come grazia redentrice di Dio attraverso Cristo, e richiede la nostra volontà di essere aperti a lui, di cercare Dio, di riconoscere il nostro egoismo, e poi soffrire le esigenze del vero amore. 

Ognuno di noi nasce in qualche modo con una vocazione per servire Dio, per essergli utile, per propagare il suo regno, in una famiglia o in qualche altra forma di vita comunitaria e lavorare per lo stesso di Cristo, la propagazione del regno di Dio. Gesù, Figlio di Dio, ebbe un senso unico e potente di ciò, fin da un’età molto precoce. 

Cercando di servire Dio, dobbiamo permettere che gli altri crescano ed imparino. Sottometterli non è amore. In questo giorno di festa, vediamo che le nostre vite sono molto differenti da Gesù, Maria e Giuseppe che sono unici e peculiari; ma, contemporaneamente, le loro vite sono destinate ad essere un modello per la nostra. Il dilemma è: Soffriremo le esigenze dell’amore o soffriremo i risultati del nostro egoismo? Soffriremo, questo non possiamo evitarlo. Questo dolore aiuterà gli altri a crescere? Servirà a Dio? Questa è la nostra scelta. Questa è la riflessione che ci permetterà di vivere come una famiglia, come una comunità di santi.