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Vangelo e riflessione

La Croce tridimensionale

By 8 Settembre, 2019No Comments
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di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei missionari Identes
Libro della Sapienza 9, 13-18; Lettera a Filemone 1, 9-10.12-17; Luca 14, 25-33.

Ogni progetto importante comincia con una stima dei costi. Essere un discepolo di Cristo è un progetto importante che deve cominciare con un calcolo contabile ed un presupposto spirituale. Come un’impresa che programma un grande progetto di costruzione o un paese che programma un assedio in guerra, un futuro discepolo affronta la sfida di pianificare in anticipo perché, alla fine, ciò gli esigerà un alto costo.

Questo non è difficile da capire. Ma quando pensiamo a noi stessi, il nostro ragionamento è incerto. Cerchiamo la vita, non la morte. Vogliamo evitare tutto quello che ci fa soffrire e, sfortunatamente, la croce non evoca l’idea della salvezza. La logica della croce non è quella del mondo. L’uomo nasce e cresce per assimilare la logica del mondo. Non aspiriamo immediatamente al dolore, ma all’amore. Tuttavia, quando l’amore si “vive fino alla fine “(Gv 13, 1), il suo frutto è la vita. Per questo, la croce, essendo in primo luogo un segno di morte, si converte nel simbolo della vita.

Fino alla fine del secolo III, i simboli cristiani erano l’ancora, il pescatore ed il pesce, ma mai la croce. Solo a partire dal secolo IV, con la famosa scoperta dello strumento di esecuzione di Gesù da parte di S. Elena, la croce si trasformerà nel simbolo della vittoria sulla morte e su tutto quello che causa la morte. Scegliere la croce è scegliere la vita. Ma questo non è tanto facile da capire.

Questo spiega perché le Letture di oggi includono il Libro della Sapienza dove comprendiamo che, benché passiamo le nostre vite cercando risposta alle domande sul significato della vita, solo attraverso la fede e la fiducia in Dio possiamo arrivare ad una risposta soddisfacente. Solo Dio può svelarci la verità.

Oggi il primo versetto nel testo della Sapienza è: Quale uomo può conoscere il volere di Dio? Chi può immaginare che cosa vuole il Signore? Dall’inizio del libro, ci viene detto che solo attraverso lo Spirito di Dio (lo Spirito Santo) possiamo trovare qualche elemento di comprensione e, pertanto, di sapienza. E, più tardi, Paolo si lamenta: E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani (1 Cor 1, 22-23).

Siamo troppo condizionati dal nostro corpo corruttibile che pesa sulla mente. Come dice il Libro della Sapienza, se già le cose della terra sono difficili da capire, come scoprirà l’uomo i pensieri di Dio? Ma Cristo, come fa sempre, insegna il modo pratico e concreto di seguirlo. Nella Seconda Lettura, quando Paolo invita il suo amico ed i cristiani di Colossi a non lasciarsi guidare da considerazioni umane, ci viene offerto un esempio commovente del contrasto tra la logica e la giustizia di questo mondo e la misericordia di Dio. Sappiamo che succedono miracoli inaspettati quando cerchiamo di adattarci e sottometterci alla misericordia divina.

Come finì la storia di Onesimo? Non abbiamo notizie sicure, ma i segni indicano che fu accolto molto bene perché, alcuni anni dopo, nella sua lettera ai colossesi, Paolo parla ancora di Onesimo, il nostro fedele e caro fratello, uno dei vostri (Col 4, 9). Cinquant’anni dopo, Ignazio di Antiochia ricorda un certo Onesimo, vescovo di Efeso… potrebbe essere la stessa persona.

Gesù formula tre esigenze molto difficili che finiscono con la stessa rigorosa diagnosi: non può essere mio discepolo.

I. Prima condizione: Se vieni a me e non sei disposto a sacrificare il tuo amore per tuo padre e tua madre, il tuo coniuge e i figli, i tuoi fratelli e sorelle, ed in verità te stesso, non puoi essere mio discepolo.

Cristo, ovviamente, non esige che letteralmente odiamo la nostra famiglia, ma piuttosto che non permettiamo mai che le relazioni umane abbiano la priorità e priorità sulla nostra relazione con Dio. Spesso l’idolo più difficile da rinunciare non è la ricchezza o anche la nostra volontà, bensì il nostro attaccamento al nostro coniuge, ai figli e agli amici, specialmente quando quelle amicizie non sono sane.

Molti di noi dedicano molto tempo alle relazioni umane, ma poiché non riusciamo a fondare le nostre relazioni su Cristo, tali relazioni tendono ad essere egoiste, egocentriche, possessive, insicure e manipolatrici. Odiare è avere il coraggio di rompere perfino i legami più cari quando costituiscono un impedimento a seguire Cristo. Solo quando la nostra relazione è radicata in Cristo, può essere compassionevole, comprensiva e liberatrice, poiché, sentendoci sicuri nell’amore di Cristo, non abbiamo bisogno di cercare di controllare la persona che amiamo.

Questo può portare a separarsi, ad opporci in ogni senso a quello che è contrario al Vangelo, anche quando ciò significa essere in disaccordo con un amico, oppure offendere la sensibilità di qualche famiglia, o rinunciare a certi impegni.

Dobbiamo aggiungere che, con questa prima condizione, Gesù segnala anche la possibilità di rinunciare al nostro proposito lecito e naturale di creare una famiglia ed essere madri e padri. Si riferisce alla vocazione religiosa.

Questo è un atteggiamento che Madre Teresa visse da quando era una bambina. Sua madre, Drana, era una donna fortemente religiosa che insegnò ai suoi figli a confidare in Dio in tutte le circostanze.

La stessa fede di Drana non fu scossa neppure dopo che suo marito, Nikola, fu assassinato a causa delle sue ferme credenze politiche. Al contrario, continuò insegnando agli altri suoi figli l’importanza di seguire la volontà di Dio. A diciotto anni, Teresa si era convinta che Dio la stava chiamando non solo ad essere suora, ma anche a servire come missionaria in India. Seguendo quello che le aveva insegnato sua madre, accettò la missione malgrado questo significasse abbandonare la sua amata famiglia e la sua patria.

La decisione non fu facile e piena di sfide. Tra queste c’era il fatto che il fratello di Madre Teresa, Lazar, era inorridito che sua sorella volesse “seppellirsi” (come scrisse in una lettera) in un convento. Inoltre, il suo impegno con l’India alzò barriere geografiche tra lei e la sua patria, ed i cambiamenti politici resero presto impossibile il ritornare nella sua città natale. Benché in quel momento non lo sapesse, la partenza dalla sua casa all’età di diciotto anni fu l’ultima volta che Madre Teresa vide sua madre e sua sorella in vita. Anche così, non dubitò mai di avere preso la decisione corretta; e durante tutta la vita, onorò la memoria di sua madre cercando di vivere come la serva di Dio che Drana l’aveva incoraggiata ad essere.

II. La seconda condizione non negoziabile è portare la nostra propria croce. Cristo è molto cosciente delle nostre difficoltà per essere perseveranti in questa risoluzione e forse per questo ci dà due esempi:

La prima breve parabola è su un uomo che, volendo proteggere il raccolto da ladri ed animali, decide di costruire una torre nel suo campo per mettere lì una guardia. Non comincia a lavorare senza aver prima calcolato la quantità necessaria per completare il lavoro.

La seconda illustrazione parla di un re che vuole cominciare una guerra. Anche lui si siede e valuta le forze del suo esercito.

Le due parabole costituiscono un invito a ricordare la serietà e l’impegno che la vocazione cristiana comporta. Questo è qualcosa su cui dobbiamo meditare tutti i giorni ed è anche una realtà che dobbiamo indicare chiaramente ai giovani aspiranti ad essere discepoli missionari.

Gli impulsi e l’entusiasmo iniziali non sono sufficienti, la costanza nell’orazione, la coscienza di quale sia la nostra croce e l’aiuto di una comunità sono necessari per perseverare.

Che cosa significa prendere ogni giorno la nostra croce? In primo luogo, dobbiamo esaminare che cosa si intende per la nostra Croce.

L’esperienza differente e varia dei santi ci permette di distinguere tre dimensioni della nostra croce.

* In primo luogo, le prove e le tribolazioni della nostra vita. Come disse un monaco russo: Sono le pene, le disgrazie, la perdita di esseri amati, i fallimenti nel lavoro, ogni tipo di privazioni e perdite, i problemi familiari, le contrarietà relazionate con circostanze esterne, gli insulti, le offese, le accuse false e, in generale, le nostre tribolazioni terrene…. Nessuna distinzione, né ricchezza, né gloria, nessuna classe di grandezza terrena ci libererà da esse.

Queste difficoltà ci permettono di vivere sulla terra, non come qualcuno in casa sua, bensì come un estraneo o un forestiero in terra straniera. Come stranieri, dobbiamo cercare il nostro ritorno al Suo regno. Questo fu il caso di Adamo ed Eva: all’inizio vivevano nel Paradiso in unione con Dio. Ma gli disubbidirono e soffrirono le conseguenze della morte, della tristezza e della malattia, essendo stati cacciati dal Paradiso.

Sopportare le nostre pene con fede è quello che significa portare la nostra croce personale, coscienti che la stiamo portando in un modo che porterà salvezza.

* La seconda dimensione della nostra croce è la lotta contro le passioni. San Paolo dice: Quelli che sono di Cristo Gesù hanno crocifisso la loro carne con le sue passioni e i suoi desideri. (Gal 5, 24). Ancora di più, noi siamo chiamati a rinunciare al nostro ego e al nostro orgoglio. Molti di noi sono disposti a servire Dio e gli altri. Ci uniamo alla Chiesa o ad altre organizzazioni come volontari, per prestare i nostri servizi gratuitamente. In sé, questo è qualcosa nobile. Ma una cosa più difficile è rinunciare al nostro ego. Ci risulta difficile sottometterci ai nostri superiori o alla volontà della comunità. Un’opposizione frontale alle passioni è letteralmente impossibile. Questo è quello che conferma l’esperienza ed è per questo che il consiglio del nostro Fondatore è stato sempre di evitare il dialogo e la negoziazione con le nostre passioni o, in altre parole, digiunare da esse.

* La terza dimensione della Croce è esattamente descritta da queste parole di Gesù nell’Orto del Getsemani: Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà (Lc 22, 42)

Cristo, come uomo, legò la sua volontà a quella di Dio. È come dice Paolo: Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. (Gal 2, 20). Questo è il principio dello stato futuro dopo la resurrezione, quando Dio sarà tutto in tutti (1 Cor 15, 28).

III. La terza condizione per essere un discepolo di Cristo si stabilisce alla fine del testo del Vangelo di oggi: Così chiunque di voi non rinunzia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo. Questa dovrebbe essere la virtù più basilare del vuoto di me stesso che devo coltivare. Se non posso rinunciare alle cose materiali, non potrò progredire ad un livello superiore di rinunciare a me stesso. Questo è solo il livello elementare. Fino a che punto siamo affezionati alle cose di questo mondo, alle comodità a cui siamo abituati? Di fatto, se prendiamo sul serio la nostra crescita spirituale, dobbiamo prendere il cammino del rinnegamento delle cose materiali. Non è che tali cose siano cattive in loro stesse, ma non possiamo stare sotto il loro controllo. Condividere le nostre risorse con altri assicurerà che abbiamo la libertà di amare. L’attaccamento alla nostra ricchezza è spesso la causa dell’insensibilità verso altri che hanno bisogno del nostro aiuto.

Certamente, la decisione di seguire Cristo implica una relazione completamente nuova con noi stessi e col nostro prossimo, e perfino a volte contro i beni di questo mondo. Sì, c’è un costo per essere un discepolo di Gesù, ma costa ancora di più respingerlo.