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Sin categorizarVangelo e riflessione

Hai creato tu il Sole?

By 15 Giugno, 2018No Comments

di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei Missionari Identes
Commento al Vangelo del 17-06-201, XI Domenica del Tempo Ordinario, New YorK. (
Ezechiele 17, 22-24; 2Corinzi 5, 6-10; Marco 4, 26-34.)

Cristo spiega la vita del Regno di Dio attraverso due parabole. A volte, quando ascoltiamo parlare del Regno, pensiamo alla Chiesa universale, alla propagazione della Fede nel mondo o ai frutti della predicazione di Gesù, alla sua vita esemplare e alla sua Passione. Quando cominciò, il suo Regno era piccolo, pochi discepoli riuniti in una stanza la prima domenica di Pasqua, pieni di paura. Tuttavia, l’impatto di questo Regno sarebbe diventato inaspettato per la sua grandezza. Anche nella nostra vita personale, succedono grandi cose con inizi umili. Ecco qui una storia reale che illustra questo punto:
Un bambino di sette anni e la sua famiglia stavano per lasciare il loro paese natale come emigranti. Il giorno prima della loro partenza, il padre portò il bambino nella città dove vivevano Chiara e Pietro, una coppia di parenti anziani, affinché potesse ricevere una loro benedizione speciale. Dato che era tardi, essi invitarono il padre e il figlio a passare la notte nella loro casa. Chiara e Pietro prepararono un sofà affinché il bambino dormisse nello studio. Tuttavia, il bambino non riuscì a dormire, tanto rimase affascinato, vedendo tutti i libri della libreria. Durante la notte, sentì Chiara entrare nella stanza, ed allora finse di essere addormentato. Ella si avvicinò al bambino e sussurrò: Quanto sei dolce, bambino mio. Pensando che il bambino potesse avere freddo, si tolse lo scialle e lo appoggiò amorevolmente su di lui. Molto tempo dopo, quando il piccolo arrivò agli 80 anni, gli fu chiesto come aveva fatto ad essere tanto gentile e compassionevole, egli rispose di ricordare che, 73 anni prima, Chiara gli aveva mostrato amore e delicatezza, appoggiando il suo scialle su di lui per riscaldarlo. Ancora conservo il calore di quello scialle, disse l’uomo di 80 anni.
Quando parliamo, le nostre parole possono piantare un seme di successo o di fallimento nella mente e nella volontà dell’altro. Quando l’autore e poeta Robert Louis Stevenson aveva circa dodici anni, una notte era in piedi nell’oscurità della sua stanza, guardando dalla finestra un incaricato camminare per la strada accendendo i lampioni. La sua bambinaia, credendo stesse facendo marachelle nascosto nell’oscurità, entrò nella stanza e gli domandò: Robert, che cosa fai lì? Robert rispose: Sto guardando un uomo che fa dei buchi nell’oscurità. Un umile lampione, o una stella distante… sono anche simboli del potere dei nostri piccoli gesti concreti quando realmente li facciamo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo.
Ma esistono anche in molti modi i semi piantati direttamente dalla Provvidenza: la nostra compassione naturale, l’esempio di altre persone, la fame di Dio che molti hanno, anche quando non l’ammettono… Questo si conferma come una profezia nella Prima Lettura: ” Anch’io prenderò dalla cima del cedro, dalle punte dei suoi rami coglierò un ramoscello e lo pianterò sopra un monte alto, massiccio; lo pianterò sul monte alto d’Israele. …Io lo farò”.
Abbiamo anche esperienza personale di come l’avere fede in quel piccolo seme di senape delle opportunità di ogni giorno, realmente produce cambiamenti. Per esempio: Ascolterò questa persona inopportuna? Saluterò gentilmente questa persona che è brusca? e poi vedremo quello che Dio vuole fare. Può essere che non sapremo mai l’impatto di quelle cose. Questo sembra spiegare perché Gesù usa la stessa metafora in un’altra parte: Se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile. (Mt 17, 20).
Un po’ di valore può avere effetti di gran portata. Un atto di perdono e misericordia può mettere fine a tutta l’amarezza, l’odio ed il risentimento di uno o molti testimoni della nostra misericordia. Un padre ed una madre fedeli, un superiore religioso o un direttore spirituale diligente e paziente, un lavoratore o uno studente che crede e spera in Dio, stanno seminando dappertutto i semi del suo Regno.
Questo è qualcosa che osserviamo anche nella vita sociale, nell’educazione, nella scienza, nell’arte e in tutti i settori della creatività umana. Perfino nella psicologia dello sviluppo; per esempio, è un fatto ben conosciuto che quando un bambino ha 5 anni già si può iniziare a seminare in lui i semi di una futura violenza; per la stessa ragione, il seme dei valori si semina per sempre nelle menti tenere degli scolari a partire da un’età impressionabile di solamente 3 anni. Valori, vizi, abilità… ed il regno di Dio crescono silenziosamente, il miracolo della crescita sta avendo luogo dentro di noi. Come disse Víctor Hugo, niente è più potente di un’idea il cui momento è arrivato.
In generale, vogliamo prove tangibili e risultati rapidi; desideriamo vedere i frutti dei nostri sforzi, grandi e piccoli. E speriamo di ricevere approvazione dal cielo e dalla terra, complimenti o, almeno, apprezzamenti e comprensione dei nostri generosi sforzi. Questa è la ragione per la quale spesso siamo vittime del nostro Istinto di Felicità. Che cosa è questo istinto? Un’attrazione verso il successo, l’ansia di essere un “vincitore in serie” ed assaporare i frutti dello sforzo. Ma il crescere, normalmente, è accompagnato da esperienze scomode.
Si tratta di qualcosa di molto più reale e profondo dell’istinto (o principio) del piacere di Freud, considerato solo come un impulso di soddisfare necessità biologiche e psicologiche, e la cui esistenza stessa è negata oggi da molti autori. Un uso sbagliato del nostro istinto di felicità ci spinge all’autoaffermazione costante ed esagerata, ad un desiderio sfrenato di controllare tutto, di essere gli unici protagonisti della storia della nostra vita, con un finale felice… in ogni capitolo.
Un religioso erudito andò a Calcutta, India, per lavorare nella ” casa dei moribondi” con Madre Teresa. Questo faceva parte di una sincera ricerca di direzione personale nella sua vita. Il primo giorno andò da Madre Teresa ed ella gli domandò che cosa poteva fare per lui. Egli le chiese di pregare per lui. Per quale motivo vuoi che preghi? domandò Madre Teresa. Egli rispose spiegando che aveva viaggiato per migliaia di chilometri per trovare la direzione e il senso della sua vita. Poi le disse: Per favore, preghi affinché io possa trovare chiarezza. Ella rispose fermamente a quella richiesta: No, questo non lo farò. La chiarezza è l’ultima cosa alla quale ti dovresti aggrappare e te ne devi dimenticare. Egli rispose che ella sembrava avere sempre chiarezza in quello che stava facendo ed anelava quel tipo di chiarezza nella sua vita. Ella rise e disse: Non ho mai avuto chiarezza; quella che ho sempre avuto è la fiducia. Quindi pregherò perché tu abbia fiducia in Dio.
Una saggia risposta. Siamo chiamati ad essere pazienti, a seminare il buon seme e lasciare il resto a Dio. Paolo oggi ci dice che finché abitiamo nel corpo siamo in esilio lontano dal Signore, camminiamo nella fede e non ancora in visione. Non abbiamo creato il Sole, né la pioggia, né il miracolo genetico del DNA contenuto in un seme. Se infine si scopre che la teoria cosmologico del Big-Bang è certa, tutto nell’universo (o universi) è cominciato con un evento locale, un “seme” di altissima densità. Ovviamente, le parabole di oggi non sono un invito alla passività o alla omissione: il nostro lavoro umile ma indispensabile è seminare, dare testimonianza della presenza di Dio nelle nostre vite.
Davanti alla sfida delle nostre debolezze personali, dell’opposizione da tutte le parti e della sofferenza degli innocenti, ci domandiamo: Perché sembra che a Dio non importi nulla?
Non dobbiamo perdere di vista il fatto che Gesù termina la parabola del seme di senape spiegando quale sia la vera vittoria finale di quella pianta di senape: Estendere tanto i suoi rami che gli uccelli del cielo possono ripararsi alla sua ombra. Questo è più che una vittoria mondana egocentrica, come il riconoscimento, l’evaporazione di tutti i problemi, la vittoria sul nemico o una sensazione di forza. Piuttosto, anche noi possiamo trasformarci in un rifugio per tutti, come cittadini della Città di Dio, pellegrini in questo mondo.
In primo luogo, diventando noi una profezia viva e credibile della vittoria di Dio, anticipata gradualmente dai cambiamenti (i germogli teneri) nelle nostre vite. Il segno principale dell’opera della grazia è la nostra misericordia, manifestata dal nostro amore per i nostri nemici e per il prossimo dal cuore indurito. Questo è quello che il Sacro Cuore di Gesù ci insegnava nella festa che abbiamo celebrato alcuni giorni fa.
Questo è rappresentato nella Prima Lettura dal maestoso cedro del Libano, perché nell’Antico Testamento l’albero rappresenta protezione e sicurezza e, in ultima istanza, la presenza di Dio. Ricordiamo che il Libro di Ezechiele annuncia il glorioso futuro di un paese di Dio veramente universale, al di là di tutte le “abominazioni” dei capi e del popolo eletto. A volte condanniamo gli altri e noi stessi e perdiamo il nostro entusiasmo, ma le Sue strade non sono le nostre strade.
In secondo luogo, quando realmente rinunciamo alla nostra fama e quando non ci vantiamo dei nostri sforzi, ci trasformiamo nei rami frondosi che trasmettono speranza e ispirazione nel cammino spirituale degli altri. La nostra umiltà dimostrerà che Dio sta dietro a tutto e che noi abbiamo fiducia nei Suoi piani.
In realtà, questi sono i due tratti chiave della personalità di Gesù, secondo la sua stessa descrizione: Un uomo mite ed umile di cuore.