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Sin categorizarVangelo e riflessione

Essere e fare discepoli.

By 25 Maggio, 2018No Comments
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di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei Missionari Identes
Commento al Vangelo dell’27-05- 2018, La SS.ma Trinità – Solennità , New YorK. (Deuteronomio 4, 32-34, 39-40; Romani 8, 14-17; Matteo 28, 16-20)

1. L’adorarono, ma alcuni dubitarono. Possiamo identificarci facilmente coi primi cristiani e con la loro difficoltà a credere nella resurrezione. Dubitarono molto; non credettero del tutto alla resurrezione di Gesù.
Ci rifiutiamo di credere per molte ragioni. Forse dubitiamo perché alcune delle nostre convinzioni intellettuali si vedono minacciate:
* Bertrand Russell stava dando una conferenza, difendendo il suo ateismo. Alla fine della conferenza, una donna si alzò e domandò: Sig. Russell, che cosa dirà lei quando si troverà in piedi davanti al trono di Dio, nel giorno del giudizio? Russell rispose: Dirò: Mi dispiace profondamente, ma non ci hai dato sufficienti evidenze. Non era disposto ad abbandonare le sue posizioni peculiari come filosofo analitico.
Altre volte, preferiamo non credere perché vediamo che qualche forma del nostro potere, reputazione o status sociale è in pericolo:
* Quando Cristo resuscitò Lazzaro dai morti ci furono differenti reazioni tra coloro che videro questo miracolo unico: Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui. Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto. Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: «Che facciamo? Quest’uomo compie molti segni. Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui…… ” (Gv 11, 45-48).
In altre occasioni, ci rifiutiamo di credere a causa della responsabilità che, credendo, ci toccherebbe:
* Una notte, una casa si incendiò ed un bambino dovette rifugiarsi sul tetto. Il padre si mise in piede nel giardino con le braccia aperte, chiamando suo figlio: Salta! ti prenderò io. Sapeva che il bambino doveva saltare per salvarsi la vita. Tutto quello che il bambino poteva vedere, tuttavia, erano fiamme, fumo ed oscurità. Come è facile immaginare, aveva paura di saltare dal tetto. Suo padre continuò a gridare: Salta! ti prenderò io. Ma il ragazzo rispose: Papà, non riesco a vederti. Il padre rispose: Ma io posso vederti e questa è l’unica cosa che importa. Questo esempio descrive, in un certo modo, la nostra poco generosa mancanza di fede nella provvidenza divina, nella sua misericordia.
A volte immaginiamo che la verità del Vangelo possa stabilirsi in modo conclusivo, (per noi e per gli altri) sia mediante argomenti a prova di bomba, sia per qualche miracolo spettacolare. È certo che offrire ragioni per credere in Dio (Apologetica) può aiutare. È anche certo che quando Dio fa un miracolo davanti ai nostri occhi, li può aprire. Ma il dono della fede deve essere accettato. L’azione ricettiva dell’essere umano è una condizione necessaria. A volte crediamo, ma in altri casi induriamo i nostri cuori all’evidenza dell’opera di Dio davanti a noi.
In qualsiasi caso, la fede non è un esercizio mentale o un sistema di credenze che la ragione costruisce. E la fede non è la stessa cosa che la credenza. Ricordiamo che S. Giacomo scrive nella sua Lettera che i demoni credono e tremano, ma questa credenza non conduce alla salvezza perché non è fede.
Inoltre, la nostra fede in Dio non si limita a riconoscere che Dio esiste, ma la fede è una risposta a quello che sentiamo. Dio comunica i Suoi pensieri attraverso la Sua Parola. Quando ci fa ascoltare quello che ci sta dicendo lo Spirito, produce in noi la convinzione che quello che Egli sta dicendo è verità e che è proprio per noi. La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo. (Rm 10, 17). Leggiamo negli Atti degli Apostoli come Filippo battezzò l’eunuco etiope. Mentre Filippo e l’eunuco andavano lungo la strada parlando della Parola arrivarono ad un ruscello, e l’eunuco disse: «Ecco qui c’è acqua; che cosa mi impedisce di essere battezzato?» Filippo rispose: Se credi veramente, sarai salvo. E fu battezzato.
Il nostro Padre Fondatore dice: L’esistenza di Dio ha solo una prova: tu stesso (Trasfigurazione). non è necessario cercare di ottenere una comprensione intellettuale più profonda di Dio, bensì, piuttosto a pensare a quello che Dio ha fatto per me, così come Mosè istruì il suo popolo.
La Prima Lettura di oggi ci invita a domandarci: Quale popolo ha udito la voce di Dio parlare dal fuoco, come l’hai udita tu, ed è rimasto vivo? Il segno della fede in una persona sono i miracoli, i miracoli di prima classe, che sono la conversione delle anime o, almeno, della nostra anima. Questi miracoli succedono continuamente e gli occhi della fede possono vederli, confermando le parole di Gesù del Vangelo di oggi: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra….. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo».
Chi dà questo potere a Cristo? Il nostro Padre Celeste.
Come si manifesta la presenza continua di Gesù? Attraverso lo Spirito Santo.
Questa è la nostra esperienza della Santissima Trinità.
Quello che la fede c’insegna è… a muovere le montagne. Quella è la risposta di Dio ad una fede matura che si esprime in scelte personali, chiare, convinte e coraggiose.
2. Il Segno della Croce. Ogni volta che facciamo il segno della croce, lo facciamo in nome della Trinità. Le parole “nel Nome” invece che “nei nomi” esprimono la verità fondamentale della trinità di Dio; Dio è uno e Dio è una famiglia.
Il Segno della Croce è una chiamata al cielo fatta nel Nome di Colui che si sottomise alla volontà di Suo Padre, umiliò Se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. (Fil 2, 8). Dire con quel segno che anche noi saremmo disposti a morire per Lui, è un modo di dire che vogliamo fare tutto nel Suo nome, rappresentando Lui, alla Sua maniera: pensieri, desideri, azioni e piani…. Ma è proprio così? Questo è lo Spirito del Vangelo. Questa è la ragione per la quale il segno della croce è una potente dichiarazione, una preghiera esigente e compromettente: nel farla mettiamo la nostra vita sulla linea del fuoco. In particolare, ogni volta che facciamo quel segno, dobbiamo ricordare il nostro battesimo.
La nostra coscienza della presenza Trinitaria cresce realmente ogni giorno.
La prova più forte che siamo fatti ad immagine della Trinità è questa: solo l’amore ci rende felici, perché viviamo in una relazione, e viviamo per amare ed essere amati. Prendendo un’analogia dalla biologia, potremmo dire che, l’essere umano porta impresso nel suo “genoma” un segno profondo della Trinità, di Dio come Amore (Benedetto XVI, 7 giugno 2009).
Il Segno della Croce rivela il mistero della Santissima Trinità nella morte di Cristo sulla Croce. All’inizio della Messa, riassume tutto quello che succederà in quella celebrazione. Siamo uniti perché condividiamo la stessa fede. Questa è la ragione per la quale l’eucaristia comincia con l’invocazione del nome della Santissima Trinità. Ogni riunione di cristiani, nell’orazione o nell’apostolato, non è un incontro sociale o politico, ma piuttosto di fede in Cristo.
Come il Vangelo c’insegna oggi, la Chiesa, per sua natura, è missionaria. Siamo chiamati a portare altri alla comunione col Padre attraverso il Figlio nello Spirito Santo. È per questo motivo che, al principio della messa, il celebrante ci saluta dicendo: La grazia del Signore nostro Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi.
Un uomo fu ferito in un incidente e perse la memoria. Dimenticò tutti i particolari della sua vita: il suo nome, i suoi amici, perfino la sua famiglia. Ci vollero mesi rimettersi dalle sue ferite. Durante quel tempo, un’infermiera in particolare lo curò con maggiore dedicazione. Al principio, egli la conosceva solo come la “sua infermiera”. Ma presto imparò il suo nome, e poi il suo orario, e poi la sua personalità. Spesso passavano del tempo insieme, ridendo e parlando. Un giorno, durante una di queste visite, il paziente recuperò la memoria e, improvvisamente riconobbe l’infermiera. Con gioia di entrambi, esclamò: Ora ti ricordo. Sei mia moglie! Ed ovviamente, era lei.
In qualche modo, questa storia riflette la nostra relazione con le Tre Persone della Sacra Trinidad. Dio, attraverso lo Spirito Santo, ci sta curando sempre fedelmente. Ma a volte pensiamo solo in termini di coscienza, bontà morale o processi psicologici…. Perdiamo l’opportunità di un contatto e di un dialogo trinitario con le Persone Divine.
3. Sei un Discepolo o un Alunno? Un alunno è semplicemente interessato ad ottenere la conoscenza che il suo maestro ha, mentre un discepolo cerca di trasformarsi in quello che il suo maestro è. Quando vai alla scuola primaria, sei lì semplicemente per acquisire una conoscenza, non necessariamente per diventare come il maestro, benché questo occasionalmente possa succedere. Devo confessare che quando avevo cinque anni volevo sposare la mia maestra Gloria (ed io non ero il suo unico pretendente).
Un maestro spirituale fa discepoli, non alunni. Perfino gli scienziati più distaccati (con alcune eccezioni) fanno discepoli: Bohr, Pasteur, Poincaré, Koch, Severo Ochoa, Freud, Maxwell…. Quando qualcuno si impegna a seguire un maestro, lascia tutto e vive la sua vita con lui. Di fatto, un discepolo di Gesù assomiglia tanto a Lui che la gente sa chi è il suo Maestro, perfino quando i due non stanno fisicamente insieme.
– Non necessariamente un alunno deve essere trasformato, un discepolo sì.
– Un discepolo condivide il destino del Maestro: coloro che seguirono Gesù, dovettero impegnarsi a rimanere con lui nella tentazione (Lc 22, 28), e nella persecuzione (Gv 15, 20) e dovettero essere disposti a prendere la croce e morire con Lui.
– Ma, come discepoli suoi, anche noi ereditiamo una missione, la stessa missione di Gesù: …Siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, (Seconda Lettura).
Non finiamo mai di essere discepoli. Dobbiamo sottolineare una volta di più l’importanza del nostro discepolato spirituale; non possiamo aver fiducia nella nostra esperienza, buona volontà o talenti… ed inoltre quello non ci farebbe felici. Un giorno, dopo avere visto che molti seguaci si allontanavano, Gesù domandò ai Suoi discepoli: «Forse anche voi volete andarvene?». Egli domandava loro così per vedere se sarebbero rimasti come veri discepoli. Simon Pietro gli diede una risposta ispirata: «Signore, da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna»
La nostra forza come comunità di discepoli radica nel vivere una vita di unità, non nonostante, bensì a motivo della nostra diversità. Solo se siamo sostenuti dallo Spirito che il Padre ci inviò per mezzo del Figlio, tutti potremo essere uno, Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato (Gv 17, 21).