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Sin categorizarVangelo e riflessione

Dio non creò né la morte, né la paura

By 30 Giugno, 2018No Comments

di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei Missionari Identes
Commento al Vangelo del 01-07-2018, XIII Domenica del Tempo Ordinario, New York. (Libro Sapienza 1,13-15.2,23-24; 2 Corinzi 8,7.9.13-15; Marco 5, 21-43.)

Che cos’è la morte? Probabilmente noi la sperimentiamo soprattutto come una separazione. La morte corporale è la separazione dell’anima dal corpo; è anche la separazione di persone che sono unite dall’amore e sappiamo che si tratta di qualcosa di temporale. Ma c’è di più, questa separazione non è assoluta e consiste, piuttosto, in una nuova forma di presenza: Cristo promise di rimanere coi discepoli fino alla fine dei tempi e per questo inviò il suo Spirito. Noi che abbiamo avuto la divina fortuna di conoscere il nostro Padre Fondatore, ricorderemo sempre le sue parole: Potrò aiutarli molto meglio dal cielo. Con un po’ di sensibilità ed attenzione, possiamo confermare che queste promesse si stanno realizzando.
Molti di noi vivono continuamente alla presenza di qualche persona amata: un nonno, un amico di famiglia… che non abbiamo mai conosciuto personalmente, ma che occupa un posto importante nelle nostre vite. E, naturalmente, abbiamo la Comunione dei Santi; la moltitudine nel cielo che c’ispira col suo esempio, ed è presente in noi in modi che noi stessi neanche sospettiamo. Passerò il mio tempo in cielo facendo il bene sulla terra, disse Santa Teresa di Lisieux poco prima della sua morte.
Nella lettura del Vangelo di oggi, Gesù conferma la “relatività” della morte, quando dice della figlia di Giairo che non è morta, ma addormentata. Questo miracolo ci introduce nel mondo reale, dell’eternità, del Regno di Dio, quello che possiamo vedere quando non siamo addormentati. Il proposito principale dei miracoli che Gesù fece solo in presenza dei discepoli, come la resurrezione della figlia di Giairo, fu il renderli capaci di percepire la presenza di Dio in Gesù e nelle loro stesse vite.
Abbiamo bisogno che ci venga ricordata la nostra vera identità di figlie e figli amati di Dio, di quello che realmente vogliamo, ed avere visione delle paure che ci stanno attanagliando. Questo ci permette di comprendere più chiaramente l’importanza di condividere le nostre esperienze spirituali, i nostri errori e le grazie ricevute, per essere confermati dalla comunità, dalla nostra famiglia religiosa.
Alfred Adler, uno dei primi seguaci di Freud, intervistò minuziosamente un futuro paziente, raccolse la sua dettagliata storia familiare e si fece un’idea la più approssimata possibile di quello che stava succedendo a quella persona. Alla fine del consulto, Adler domandò al paziente: Che cosa farebbe se fosse già guarito? L’uomo rispose. Adler rispose: Bene, allora vada e lo faccia. Quello fu il trattamento. Accettando la nostra vera identità, eliminiamo la paura e potremo usare i talenti che nostro Padre ci ha dato. Questa fu probabilmente la ragione per la quale il servo che seppellì il denaro nella Parabola dei Talenti non fu capace di usarlo e di vincere la sua paura: i suoi occhi erano accecati e non riuscivano a vedere la sua vera natura e non poteva fidarsi del suo maestro.
Toccare l’orlo del mantello di Cristo; sembra un atto di fede molto semplice. Ma fu sufficiente per potere andare in pace e guarita del suo male. Potrebbe quasi sembrare una superstizione, ma fu invece un potente messaggio della donna che fu accolto da Gesù e meritevole della sua risposta. Questo è il nostro caso: accogliendo e aggrappandoci all’Orazione, alla Parola di Dio e all’Eucaristia, realmente tocchiamo il mantello ed il cuore di Gesù: una forza spirituale uscirà da Lui.
La morte spirituale, come suggerisce la Prima lettura, è la nostra separazione da Dio. Può essere permanente, ma principalmente la sperimentiamo temporaneamente, come Gesù insegna nella Parabola del Figlio Prodigo: Tuo fratello, era morto, ed è tornato in vita. Se la morte è separazione, per conseguenza il vero significato della vita è l’unione. Questo spiega perché Gesù dice di Se stesso: Io sono la Vita. Ed è per questo motivo che sperimentiamo una resurrezione costante, che ci restituisce non solo la vita nell’ultimo giorno, ma anche oggi stesso, liberandoci da quello che ci opprime. E ci domandiamo come può essere che sorga il pentimento una ed un’altra volta nella nostra anima, e nelle vite di tutti quelli che sono peccatori, ma non arroganti. Questo è l’effetto quotidiano della resurrezione, quando accettiamo la sfida di vivere in uno stato permanente di Orazione Purificativa, la risposta ai piccoli e sottili comandamenti nel nostro cuore, il vivere la tripla ribellione spirituale contro il mio ego, il mio difetto dominante ed i miei attaccamenti.
Non è un’esagerazione dire che l’Orazione Purificativa ci porta ad una nuova vita, ad una resurrezione. Ricordiamo che la lucerna del corpo è l’occhio … ma se il tuo occhio è malato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra! (Mt 6, 22-23). Inconsciamente siamo plasmati da storie che stiamo raccontando a noi stessi. Siamo posseduti da un’idea o da un desiderio. Coscientemente o no, quelle idee e quei desideri guidano le nostre mete, piani ed azioni come una bussola… questo non è altro che un’autentica possessione, perché ci identifichiamo con una versione falsa di chi siamo.
Sappiamo che la paura ci debilita, si trasforma nel nostro maggiore nemico, principalmente perché normalmente è invisibile. Tutti soffriamo di qualche paura, conosciuta o sconosciuta.
Quando ci sentiamo dominati dalla paura, corriamo il rischio di non essere fedeli ai nostri valori e principi per il timore di come ci percepiscono gli altri. Tutti vogliamo essere amati ed accettati. Perché temiamo di essere rifiutati ed ignorati? Perché siamo disposti a cedere ed a compromettere i nostri valori solo per “essere parte del gruppo”?. Perché al centro di tutte le nostre insicurezze sta la paura della solitudine, vogliamo essere parte del gruppo; la separazione somiglia molto alla morte. Il vero potere della paura giace nella solitudine che c’impone.
La nostra paura (sia quella che sia) nasce dalla nostra sensazione di isolamento. Quando le cose non vanno bene, ci scoraggiamo e ci diamo per vinti facilmente … non crediamo di meritare stima; o quando siamo sfidati dagli altri, ci sentiamo feriti e addolorati perché sentiamo che siamo rifiutati, esclusi.
Nei due miracoli di oggi, Cristo parla della paura:
– La donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Gesù rispose: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male».
– Gesù disse al capo della sinagoga: «Non temere, continua solo ad aver fede!».
Qual è il contrario della paura? No; non sono né il valore né il coraggio. Dobbiamo aver paura per essere coraggiosi. Se guardiamo attentamente alla nostra esperienza, concludiamo che il risposta corretta è l’accettazione, o nell’ambito spirituale, la fede. Per esempio, alcuni anziani sperimentano la paura della morte e, eventualmente, quella paura diminuisce con qualche forma di accettazione della morte. Al di là di questo commento psicologico, l’opposto alle nostre paure più profonde è la fede, perché la fede rappresenta l’accettazione di Cristo, delle sue parole e delle sue opere. Questo è quello che entrambe le citazioni precedenti ci dicono chiaramente. Sentiamo molte volte Gesù dire alla gente di non avere paura: Ma egli disse loro: «Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede?» (Mc 4, 40). Gesù sapeva che la presenza della paura significa poca fede. La fede e la paura non vanno insieme: quando la fede è presente, la paura non ha spazio.
Simon Pietro, nell’orto della valle di Cedrón, tirò fuori la spada per attaccare uno quelli che venivano per catturare Gesù, tagliandogli l’orecchio, e Gesù lo curò subito miracolosamente. Ma, piuttosto, stava guarendo la paura di Pietro. Dobbiamo sempre essere guidati per superare le nostre paure:
Una persona matura si avvicinò a Daniel Gabriel Rossetti, artista del secolo XIX. Portava la sua collezione di bozzetti e chiese al grande artista di valutarli. Rossetti esaminò accuratamente il lavoro del visitatore. Quindi chiuse la cartelletta e, gentilmente, ma fermamente, gli disse che le immagini avevano poco valore. Il povero uomo era scoraggiato, ma chiese a Rossetti un altro favore. Gli disse: Potrebbe esaminare anche una collezione di disegni di un giovane studente? perché mi piacerebbe che valutasse anche questi. Rossetti acconsentì e cominciò a guardare la seconda collezione. Mentre lo faceva, cresceva la sua ammirazione: Sono eccellenti. Una vera promessa. Bisogna incoraggiare questo allievo. Chi è questo giovane? È suo figlio? L’anziano rispose con tristezza: No. Questi sono i miei lavori, che disegnai quaranta anni fa. Mi sarebbe piaciuto ascoltare la tua affermazione, perché non conoscendola, mi scoraggiai. Mi arresi troppo presto.
La malattia è associata alla morte. Spesso è un preludio della nostra partenza da questo mondo. O la persona malata è in pericolo di morte, o data la sua condizione non sta realmente vivendo. Essere guarito significa potere godere di una vita piena, ricca e felice. Inoltre, Gesù si riferisce a se stesso come a un medico quando risponde ai farisei che sono i malati quelli che hanno bisogno di un medico, non i sani, ed ordina ai suoi discepoli di mangiare con le persone a cui predicano e che guariscono.
Nel Vangelo di oggi, Gesù cura la donna affetta da emorragia. D’accordo con le leggi di purezza dell’Antico Testamento (Levitico), una persona con un problema di sangue doveva rimanere isolata. Inoltre, chiunque tocchi queste cose sarà impuro; laverà i suoi vestiti e si laverà in acqua, e sarà impuro fino alla sera. La donna tocca Gesù, è un atto coraggioso e pericoloso, poiché avrebbe potuto trasformare Gesù in una persona impura. Nella sua disperazione, ella mostra una fede notevole rischiando di subire le conseguenze di aver rotto una regola sacra, entrando deliberatamente in contatto con altre persone. Ma la sua fede la rende pulita.
Ella non poteva partecipare alla vita ordinaria della sua società, ma Gesù effettivamente la restaura perché si possa reintegrare pienamente nella comunità. Pertanto, recuperò la salute fisica, psicologica, sociale e spirituale.
Gesù frena la paura che germoglia nel cuore di Giairo: Non temere; continua solo ad aver fede ed ella starà bene. Interrompendo la cura della figlia di Giairo, l’apparizione della donna con emorragia non fu semplicemente una prova di pazienza per Giairo. L’interruzione significò un’occasione per incoraggiarlo, aiutandolo a fortificare la fede che aveva già mostrato, anche perché sua figlia era morta in quei momenti.
Come capo della sinagoga, sapeva che i farisei e gli scribi consideravano Gesù come un maestro degenerato e non avrebbe dovuto essere accettato. Ma di fronte alla morte imminente di sua figlia, era disposto a sacrificare la sua immagine e la sua posizione per curarla. Il suo gesto è uno personificazione della nostra Sacra Martiriale: avvicinare altri a Cristo col sacrificio della nostra vita e della nostra fama.
Dopo avere resuscitato la bambina, Gesù diede ordini stretti di non parlare con nessuno di tutto ciò. L’obiettivo di Cristo nel fare miracoli non era stupire coloro che erano presenti, piuttosto era il modo che aveva nostro Padre di autenticare la missione di suo Figlio davanti all’umanità. Le guarigioni fisiche sono una metafora della cura spirituale, e provano come Gesù spera che anche noi cerchiamo coloro che hanno bisogno della cura spirituale delle loro anime. Crediamo noi che sia lo Spirito Santo colui che ci porta alla presenza del nostro prossimo?