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Vangelo e riflessione

Credi e Spera

By 6 Aprile, 2018No Comments
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di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei Missionari Identes
Commento al Vangelo dell’08-04- 2018 Seconda  Domenica di Pasqua (o della Divina Misericordia), New York. (Atti Apostoli 4, 32-35; 1° Lettera Giovanni 5, 1-6; Giovanni 20, 19-31)

Alcune persone non credono ai motti o agli slogan. Ovviamente, un motto deve essere utile come promemoria personale e/o come uno strumento per trasmettere un messaggio e relazionarsi con le persone. Forse il gran matematico tedesco Carl Friedrich  Gauss non utilizzò sempre correttamente il suo motto, Ut nihil amplius desiderandum relictum sit = Che non rimanga niente da fare. Quando l’interruppero mentre stava risolvendo un problema e gli dissero che sua moglie stava morendo, egli rispose: Ditele di aspettare fino a che io non abbia terminato questo.

In un altro contesto, alcune compagnie ed imprese sono ben conosciute per i loro motti. Uno di quelli che più hanno avuto successo: Just Do It!  (Semplicemente, fallo) (Nike). E, ovviamente, anche le istituzioni accademiche ed i paesi hanno i loro motti ufficiali.

Anche nella vita spirituale e religiosa, un motto è rilevante. Nell’epoca di Gesù, non esisteva questo concetto, ma Cristo stesso riassunse molte volte la sua missione, l’obiettivo della sua venuta al mondo in pochissime parole: Servire e non essere servito…. Curare … Cercare e salvare coloro che si sono persi…. Mostrarci l’amore del Padre…

Per qualche buona ragione, il nostro Padre Fondatore ci diede un motto di tre parole, Credi e Spera, circondato dall’anello dorato della Carità. Questa è una chiave per comprendere il significato e la portata della Fede e della Speranza. Nel testo del Vangelo di questa domenica, Gesù elogia coloro che credono senza vedere e, sia detto di passaggio, il Papa Benedetto XVI dice in Spe Salvi che la Fede è la sostanza della Speranza. Tanto la Fede come la Speranza possono essere viste anche come condizioni affinché la carità sia possibile in noi, dopo essere stata concessa come grazia di Dio.

Permettetemi di proporre una metafora marina: la Fede è il timone e la Speranza è la vela. Questo illustra il fatto che entrambe sono dinamiche ed interattive. È difficile pensare alla Fede senza Speranza e viceversa. I due doni sono così inseparabili come la Croce e l’amore di Dio. Sono più che tratti di una personalità, piuttosto essenzialmente sono regali, frutti dello Spirito Santo (Gal 5, 22-23) che dobbiamo accettare ed ai quali dobbiamo rispondere.

In che cosa dobbiamo credere? Tutti conosciamo la risposta: non è credere in qualcosa, bensì in qualcuno, nella persona di Gesù Cristo. Ma queste non possono essere solo parole vuote, accuratamente elaborate. Se dici che credi in Gesù Cristo, le tue azioni non dovrebbero essere conseguenza di ciò? Come posso dire che lo seguo se non faccio mai uno sforzo per imitarlo esplicitamente nelle mie decisioni e nel mio comportamento? San Giovanni parla oggi su questo punto col suo stile diretto: Il segno che amiamo i figli di Dio è che amiamo Dio e ne osserviamo i  comandamenti. 

Nel nostro Esame Ascetico e Mistico, la prima cosa che dichiariamo è la nostra risposta al dono della Fede (Raccoglimento) e al dono della Speranza (Quiete). Questo è così perché la fede e la speranza sono condizioni affinché la carità sia possibile. Se sfruttiamo la nostra metafora marina precedente, dobbiamo ricordare che l’amore dello Spirito Santo si concepisce e rappresenta come il vento nelle nostre vele. Ho la mia vela spiegata?

Il primo (e permanente) indicatore della mia accoglienza e risposta, generalmente incompleta, al dono della fede è la natura inutile, negativa od ossessiva dei miei  pensieri. Dobbiamo essere diligenti; perfino Gandhi, con la sua gran visione  spirituale, disse che un uomo non è altro che il prodotto dei suoi pensieri. Finisce  trasformandosi in quello che pensa.

D’altra parte, vista da una prospettiva positiva, la fede implica il credere in quello che abbiamo tra le mani, il credere che continuamente stiamo ricevendo una missione. Questo spiega perché il Papa Francesco descrisse la Chiesa come un ospedale da campo, nel quale si curano i malati e i feriti sul campo di battaglia. Così, il Papa ci sta spingendo a pregare ed a servire, a guardare in faccia la realtà della sofferenza intorno a noi. A poco a poco, ci viene dato il cuore e la mente di Cristo, per essere capaci di diagnosticare i preoccupazioni e le speranze che ogni persona nasconde nel cuore. Allora, sembra naturale farsi le quattro seguenti domande:

Credo in questa missione?

Credo che quella cura è indispensabile ed urgente per tutti ed ognuno dei miei simili?

Voglio guarire il mio nemico ferito?

Realmente sto andando al campo di battaglia per cercare le persone, là dove stiano, per conoscere il loro dolore, la loro lotta, la loro sofferenza e camminare con loro?

Se veramente vogliamo aiutare a guarire le ferite degli altri, dobbiamo accettare il fatto che anche noi siamo profondamente feriti. Questo è uno dei frutti del Sacramento della Riconciliazione e della nostra direzione spirituale in comune. questa è la ragione per la quale il commento del Papa Francesco circa la Sacra Eucaristia risulta molto certo: la Sacra Comunione non è un premio per i perfetti.

C’è una tendenza umana naturale a sentirsi indegni alla presenza del Signore. Quando San Pietro si incontra con Gesù e si rende conto di chi sia, si inginocchia di fronte a Lui e gli dice: Allontanati da me, Signore, perché sono un uomo peccatore. Ma invece di lasciarlo, Gesù lo invita ad essere un apostolo.

Forse, la prima cosa che dobbiamo fare è vedere il figlio prodigo, la pecora perduta, le persone difficili ed i nostri nemici come esseri feriti e malati. Principalmente, perché né loro né noi siamo a casa nostra. Questo mi ricorda gli ospedali che si costruirono per i pellegrini del Cammino di Santiago (anche in Terra Santa e a Roma). Erano necessari, non solo perché la strada era dura e pericolosa, ma anche perché molte persone che facevano il pellegrinaggio erano già malate quando cominciarono. La malattia era parte della vita, sorgeva da condizioni insalubri ed una dieta insufficiente. Ma la malattia interna ed esterna è, oggi e sempre, parte inevitabile delle nostre vite.

Come Paolo incoraggia i Corinzi: Pertanto, miei amati fratelli, siate fermi, perseveranti, abbondando sempre nell’opera del Signore, sapendo che il vostro lavoro nel Signore non è invano. 

In primo luogo, perché lo Spirito Santo farà la sua parte (quello che si può sempre chiamare un miracolo). Se con fede ci arrendiamo al suo potere, lo Spirito darà testimonianza, come ci dice oggi San Giovanni.

Tutti ricordiamo la storia della povera vedova che donò due piccole monete, tutto quello che aveva. Forse il dettaglio più significativo è che la povera vedova non fu cosciente di niente, neppure del fatto che il suo gesto fosse lodato. Gesù non le dice niente. La gratuità del suo gesto diventa ancora più evidente. Gesù indica ai suoi discepoli questa donna che non sa nulla della sua grandezza. Li incoraggia a vivere il rinnegamento di coloro che non agiscono per essere lodati dagli uomini. Questa immagine rimase impressa nei loro cuori ed entrarono più a fondo nel modo di vedere di Gesù: Allora i giusti splenderanno come il sole nel Regno del Padre loro (Mt 13, 43). Nel cielo, si possono avere sorprese. I posti d’onore più elevati possono essere occupati da anime semplici il cui lavoro in questo mondo è stato appena notato.

In secondo luogo, perché ogni piccolo sforzo, come respingere un pensiero negativo o uno sguardo lussurioso, ha sempre una risposta divina: un nuovo ed incoraggiante segno di fiducia, una nuova missione che arriva poco dopo. Questo fu il caso dei primi discepoli, in tale misura che poterono fare quello che il loro Maestro non poté fare. Per esempio, Tommaso viaggiò verso l’Est per diffondere il vangelo tra i Parti, in Persia ed India. San Giacomo predicò il vangelo in Iberia (la Spagna di oggi), ed ambedue soffrirono il martirio.

In altre parole, l’esperienza divina ed umana è che chi fa bene e tutto il possibile nel poco che gli è affidato all’inizio, farà anche bene e continuerà sforzandosi al limite, quando gli sarà dato molto di più (Lc 16, 10).

Ed anche in senso contrario, risulta certo. Colui che è ingiusto su temi piccoli sarà ingiusto anche su temi maggiori. Pertanto, non si può donare a quella persona più cose, e Dio non affiderà a quel tipo di persone nessuna altra missione.

Giovanni ci dice la ragione per la quale scrisse il suo vangelo: Affinché credano che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio; ed affinché, credendo, abbiano vita nel suo nome. Giovanni scrisse il suo vangelo a persone, come te e come me, che non videro mai Gesù stesso. Quelli che ricevettero il vangelo di Giovanni non ebbero mai l’opportunità di vedere i suoi miracoli. Non arrivarono mai ad ascoltare quello che Gesù disse. Ma Giovanni scrisse tutto affinché le persone sapessero chi era Gesù, affinché credessero in Lui e affinché avessero vita in Lui.

Ci sono due tipi di scettici: quelli che hanno domande oneste e vogliono credere e quelli che vogliono solo discutere. Tommaso aveva una tendenza a dubitare, ma voleva credere. Questa è la vera apertura. Altre persone si nascondono dietro i loro dubbi. Prendono la decisione di non credere e di imporsi costantemente agli altri, ma sentono la necessità di continuare a fare domande per sembrare di avere una mente aperta.

San Tommaso di Aquino affermò che per colui che ha fede, non è necessaria nessuna spiegazione, e per colui che non ha fede, non c’è spiegazione possibile.

La vera fede è più che una semplice aspettativa. Ma l’aspettativa e la fede condividono proprietà simili. Per esempio, entrambe sono contagiose, realmente si trasmettono:

C’è una storia, spesso attribuita a Robert Louis Stevenson, di una nave incappata in un terribile temporale di fronte ad una costa rocciosa. I venti  come di uragano, la pioggia torrenziale e le onde agitate minacciavano di portare la nave ed i suoi passeggeri alla distruzione. In mezzo al terrore, un viaggiatore audace salì su per la scivolosa scala della cantina della nave e andò in coperta, timoroso di quello che avrebbe visto. La nave era scossa bruscamente; gli scricchiolii perforavano il continuo ruggito del mare infuriato. La luce della luna sotto la forte pioggia non permetteva di vedere molto, ma il viaggiatore si aggrappò rapidamente e guardò attraverso la coperta verso il timone dell’imbarcazione. Lì vide il pilota al suo posto che teneva con forza il timone, e a poco a poco portava avanti la nave attraverso il mare. Il pilota vide il passeggero terrorizzato e gli sorrise. Impressionato, il passeggero ritornò alla cantina e diede la notizia: Ho visto il viso del pilota, ed egli mi ha sorriso. Tutto sta andando bene. 

Questo giorno si chiama anche Domenica della Divina Misericordia Celebriamo il potere della misericordia divina ed umana. Gli esseri umani non si convertono semplicemente per la predicazione e le dottrine, bensì per l’esperienza concreta della misericordia e della compassione di Dio.

Questa Misericordia si mostrò in modo spettacolare quando i discepoli stavano insieme, con le porte chiuse, e successe qualcosa di straordinario. Colui che avevano abbandonato la notte del suo arresto, ora stava con loro. Riesci a immaginare la sgridata che avrebbero potuto ricevere?  Invece, Gesù dice loro: Che la pace sia con voi! 

Più tardi, Gesù non condannò neppure Tommaso; al contrario, parla della credenza di Tommaso e loda coloro che possono credere senza vedere. Come un maestro spirituale saggio e misericordioso, diede a Tommaso quello di cui aveva bisogno in quel momento della sua vita, approfittando dell’opportunità per insegnarci a tutti una verità importante attraverso le parole di Tommaso: Signore mio e Dio mio,… non solo mio amato amico e maestro Gesù. Usiamo queste parole in silenzio nella consacrazione del pane ed il vino, quando crediamo che si trasformano nel corpo e sangue di Cristo. Non possiamo vedere Gesù, ma crediamo che Egli é realmente lì.

Un ultimo pensiero. Quando Gesù apparve al gruppo, San Tommaso non era lì. Pertanto, non poté godere della presenza di Cristo. Che cosa stava facendo Tommaso quando Gesù apparve alla comunità di discepoli? Non lo sapremo mai. Ma sappiamo che quello che fece fu allontanarsi dal gruppo. Si separò dalla comunità. Concludiamo che, quando siamo tristi o disincantati dal nostro prossimo, forse dopo uno scandalo o un malinteso, non dobbiamo separarci dalla comunità. La presenza di  Cristo è sempre differente dentro la nostra comunità cristiana. E la prima lettura di oggi è un esempio brillante di ciò.

Molti sentono che Dio li ha abbandonati nelle loro difficoltà, sofferenze, fallimenti nello studio o nel lavoro, malattie, conflitti familiari o nelle sfide di curare gli anziani, genitori con demenza e persone con severe limitazioni. Allora, si domandano, dove sta la misericordia di Cristo? La causa principale di quello ateismo nel mondo è l’esperienza della sofferenza e la mancanza di incontro con la misericordia di Dio.

Ma l’allegria della Pasqua non significa che non abbiamo problemi, sofferenze o sfide nella vita quotidiana. Piuttosto, proviene dal sentimento che Dio sta con noi nelle nostre difficoltà: Sarò con voi fino alla fine dei tempi. La nostra esperienza continua e varia dell’azione dello Spirito Santo conferma che Gesù mantiene la sua promessa.

Ma, inoltre, Egli ci ha resi emissari del Suo perdono e pace: Come il Padre mi ha mandato, così io mando voi. 

Tuttavia, la maggiore prova della sua misericordia è la Resurrezione di Cristo, a motivo della quale sappiamo che la sua sofferenza e la nostra non finiranno in tragedia o nella mancanza di senso.