di p. Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.
New York/Parigi, 25 ottobre 2020 | XXX Domenica Tempo Ord.
Esodo 22, 20-26; 1Lettera Tessalonicesi 1, 5c-10; San Matteo 22, 34-40
Nel suo famoso inno alla carità (1Cor 13, 4–8) San Paolo dice ciò che è il vero amore – paziente, gentile, duraturo – come anche quello che non è: invidioso, fanfarone, gonfiato, grossolano, che si adira.
Senza dubbio, capì e visse quello che Cristo ci dice oggi nella sua risposta al giurista fariseo che cercò di approfittare della sgridata data da Gesù ai sadducei, per guadagnare prestigio personale e dare un beneficio al suo gruppo.
Mentre lo Spirito Santo continua aprendo nuovi cammini e dandoci opportunità per vivere la carità, è importante che riflettiamo continuamente su ciò che questo significa, nello spirito delle Letture di oggi.
1. La vera carità esige sempre il donare qualcosa della nostra vita, qualcosa di intimo, al di là degli oggetti, del denaro, delle parole, delle opere, delle lezioni o delle attività, che spesso sono strumenti necessari per questa virtù. Si può mancare alla carità perfino quando si “fa carità”. Se noi non ci accontentiamo di un amore superficiale e incostante, la stessa cosa succede a Dio.
Il medico guardò la bambina nel letto dell’ospedale. Sapeva che la sua unica speranza era ricevere sangue di qualcuno che era guarito dalla stessa malattia. Rapidamente il dottore si trovò con la famiglia ansiosa, e si inginocchiò di fianco a un bambino piccolo. “Marianito“, disse, “tua sorella ha bisogno del tuo tipo di sangue per guarire. Saresti disposto a dare il tuo sangue affinché ella possa vivere?” Gli occhi di Marianito si fecero grandi. Il medico li guardò con timore, ma il bambino dubitò solo quanto bastava per inghiottire il nodo in gola. “Certamente, dottore, lo farò”, rispose.
Dopo che gli fu estratta la quantità necessaria di sangue dal piccolo braccio, Marianito, rimase tranquillo per alcuni minuti, così come gli era stato indicato. Quindi si alzò e domandò a voce bassa: “Bene, Dottore, quand’è che morirò?” Solo allora il dottore si rese conto della grandezza del sacrificio del bambino. Marianito aveva offerto la sua vita per salvare sua sorella, Gesù dichiarò che non c’è amore più grande.
Questo tratto della carità, l’autentico disinteresse, è particolarmente evidente quando siamo sicuri che il nostro atto d’amore non ci darà nessuna soddisfazione. Per esempio, sappiamo che la persona che aiutiamo non ci ringrazierà, e forse sarà più esigente o si irriterà. Inoltre, siamo disposti a non presenziare a nessuna “conversione” animata dalla nostra presunta generosità. Ovviamente, dobbiamo essere preparati a vedere che la persona a cui facciamo del bene NON vorrà unirsi al nostro gruppo, istituzione, chiesa o comunità, in nessun modo. Poi dobbiamo pregare per sapere come continuare ad amarla. Perfino se è a distanza. Inoltre, prepariamoci a reagire con mitezza se la nostra azione risulterà inadeguata agli occhi di qualche autorità, o causerà invidia ad altri.
2. Non dimentichiamo la dimensione mistica della carità: Dio risponde immediatamente a ogni atto di amore.
Non dimentichiamoci che lo Spirito Santo spinge dolcemente, ma continuamente tutti gli esseri umani ad amare il nostro prossimo. Per questo motivo, possiamo trovare atti eroici d’amore in persone che non sentirono mai parlare di Gesù, come quando nella centrale nucleare giapponese di Fukushima, distrutta dopo il terribile tsunami del 2011, alcuni tecnici già in pensione, pur sapendo che andavano incontro ad una morte sicura, chiesero ai tecnici più giovani di abbandonare la centrale nucleare per tentare loro stessi di raffreddarla. Quei tecnici pensionati non hanno potuto essere ufficialmente cristiani; molti possono perfino non avere conosciuto niente di Gesù. Tuttavia, accettarono una morte sicura semplicemente per salvare la vita dei loro colleghi più giovani che ancora stavano allevando bambini piccoli.
Dio è amore e amore è quello che ci ispira. Per fare ciò, utilizza i nostri istinti, i nostri errori, la nostra compassione naturale, l’esempio di molte persone, il perdono che riceviamo ogni giorno e, soprattutto, la testimonianza unica di suo Figlio.
La risposta divina ad un atto d’amore verso il prossimo è differente da quello che noi esseri umani intendiamo come ricompensa o soddisfazione per il dovere compiuto. Dio risponde chiedendoci ancora di più. Questo può sembrare sorprendente, ma Gesù l’aveva già detto chiaramente: Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori (Mt 5: 43-44).
Inoltre, chi potrebbe negare che a Gesù furono chiesti atti d’amore sempre più esigenti nel suo passaggio per questo mondo?
Quando era bambino, soffrì, ma si trovava nella eccezionale compagnia di Maria e Giuseppe. Nella sua vita da adulto, nonostante i momenti difficili, fu almeno testimone della conversione e della dedicazione di molte persone, specialmente dei suoi primi discepoli. Ma più tardi, durante la Passione, fu totalmente abbandonato e davanti ai suoi occhi umani non ci fu nessun segno di successo.
Così, il vero discepolo vive in un autentico dialogo, non di parole, bensì di successivi e continui gesti d’amore che hanno come risposta il dono della pietà che ci rende capaci di amare in un modo sempre nuovo ed inspiegabile. E quelli che ci circondano si rendono conto di ciò:
Una suora fu destinata a servire in un ospedale. Un giorno in particolare, stava tentando di lavare un paziente aggressivo e prepotente. Fu notata da qualcuno che sottolineò con un sussurro: Io quello non lo farei per tutto l’oro del mondo. La suora, sentendo il commento, guardò la persona e disse: Neppure io.
In questo modo, Dio ci fa sempre di più somiglianti a Lui, più simili alla forma in cui ci ha sognati. San Giovanni Paolo II l’espresse così:
La carità cristiana si nutre di questa fonte d’amore che è Gesù, il Figlio di Dio offerto per noi. La capacità di amare come Dio ama si concede ad ogni cristiano come frutto del mistero pasquale della sua Morte e Resurrezione. La Chiesa ha espresso questa sublime realtà insegnando che la carità è una virtù teologale, il che significa una virtù che si riferisce direttamente a Dio e permette alle creature umane di entrare nel circuito dell’amore Trinitario. In effetti, Dio Padre ci ama come ama Cristo, vedendo in noi la sua immagine (Redemptoris Missio).
Lo Spirito Santo, in primo luogo, trasforma delicatamente la nostra intelligenza e la nostra volontà (Raccoglimento e Quiete), e ci fa contemplare che quando tendiamo la mano per aiutare i deboli e i bisognosi, ciò si basa sul fatto che noi stessi una volta ci siamo trovati al loro posto e siamo stati liberati da Dio, sia della povertà materiale, sia dell’inutilità della vita, sia della povertà spirituale: Non molesterai il forestiero né lo opprimerai, perché voi siete stati forestieri nel paese d’Egitto (Prima Lettura). Solo quando saremo coscienti che siamo stati peccatori ed indifesi, potremo allora, dall’amore di Dio in noi, arrivare agli altri.
Perfino nelle persone più prepotenti, possiamo vedere Dio. Vedere Dio in tutti coloro che incontriamo è più facile da dire che da fare. Non è una questione di immaginazione, bensì di rimanere uniti a Cristo, al suo sguardo.
Un’illustrazione di questo doppio amore, cioè, per Cristo e per il prossimo, si può vedere nella vita di Madre Teresa di Calcutta. Una volta le domandarono: Dove trova la forza per occuparsi di tutti i casi difficili che incontra ogni giorno? La gente moribonda e indifesa delle strade di Calcutta. I lebbrosi. I neonati abbandonati. I senza tetto e gli affamati. La santa fondatrice rispose con la sua semplice ma profonda saggezza: Comincio ogni giorno andando a messa e ricevendo Gesù nella Santa Comunione, nascosto sotto la semplice forma del pane. Quindi esco nelle strade ed incontro lo stesso Gesù nascosto negli indigenti moribondi, nei lebbrosi, nei neonati abbandonati, nei senza tetto e negli affamati. È lo stesso Gesù. Così pure, in noi, le opere di misericordia devono essere il frutto della nostra orazione, in particolare, della nostra orazione davanti all’Eucaristia.
La Santa Eucaristia che è “la fonte e il culmine della vita cristiana” come la descrisse il Concilio Vaticano II, ci porta dall’unione sacramentale con Cristo nel suo Corpo Eucaristico all’unione con Cristo nel suo Corpo Mistico, nel più piccolo dei suoi fratelli e sorelle. Non pensiamo che la nostra creatività o la nostra energia ed esperienza siano sufficienti. L’amore evangelico deve essere necessariamente e continuamente ispirato dallo Spirito Santo. Altrimenti, sarà pieno di alti e bassi, di discriminazioni, di condizionamenti.
Sì, Dio risponde ai nostri atti d’amore chiedendoci ancora di più. Forse questo può essere spiegato dalla Teologia o dall’Antropologia. Da parte mia, posso dire solo che è stato qualcosa che è successo anche a me. Quando avevo 16 anni ed un amico mi chiese aiuto per un gruppo di bambini che facevano attività all’aperto, essi mi diedero la loro fiducia, condivisero con me le loro difficoltà e, a poco a poco, mi sentii obbligato ad aiutarli nei loro conflitti, nei loro studi, nella loro vita emozionale… fino a che mi resi conto che avevano bisogno di vedere in me qualcuno che fosse un modello da seguire. Non bastava far passare un buon momento nel fine settimana. Allo stesso tempo, mi resi conto che non avevano più nessuno al loro fianco disposto a farlo. Questo mi portò a domandare a Cristo come avrei potuto cambiare io per fare la differenza nelle loro vite, per aiutarli sempre più profondamente… in realtà, ancora oggi sono nella stessa situazione.
3. Che cosa significa amare con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la mente? Nel nostro linguaggio attuale, possiamo capire che il nostro amore per Dio deve necessariamente mettere in gioco tutti i nostri desideri (volontà), intenzioni e motivazioni (facoltà unitiva) e pensieri (mente).
Riempiamo la nostra mente con quello che l’amore per Dio ispira, invece di quello che lo diminuisce. Quello che facciamo con la nostra mente tocca in larga misura la nostra capacità di amare. Se riempiamo la nostra mente con le cose appropriate, la nostra capacità di amare Cristo aumenta; se riempiamo la nostra mente con idee inutili o negative, la nostra capacità di amare Cristo diminuisce. La nostra mente è un vasto universo dentro di noi che mai più si può trattenere. Non possiamo spegnere le immagini della nostra mente, ma possiamo reindirizzarle. Possiamo rimpiazzare i pensieri oscuri con altri differenti.
Dobbiamo includere le nostre emozioni nel nostro amore per Dio. Abbiamo un ruolo importante nel decidere come si sviluppano le nostre emozioni nel corso del tempo. Possiamo coltivare maggiori affetti per Dio mettendo il nostro cuore a crescere in questo. Possiamo “fissare” il nostro amore o affetto su qualunque cosa che decidiamo. Le nostre emozioni eventualmente seguono qualunque cosa che ci proponiamo. Man mano che cambiamo la nostra mente, lo Spirito cambia il nostro cuore (emozioni). Mettiamo il cuore nell’amore di Dio e le nostre emozioni ed affetti seguiranno quella stessa strada. Lo salverò, perché a me si è affidato; lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome… (Salmo 90, 14). Salvaguardiamo il nostro cuore non permettendo che le nostre emozioni si colleghino in modo inappropriato alla reputazione, a relazioni sbagliate, ad assuefazioni peccaminose, all’amarezza, alle offese, ecc.
La motivazione per amare va oltre l’identificarsi col prossimo nella sua sofferenza, bensì piuttosto è dovuta al Cristo che c’è in lui. Vedendo l’immagine di Cristo nel prossimo, lo ameremo come lo stesso Dio. Vedremo gli altri non solo con necessità materiali ma anche con fame emozionale e spirituale. Dobbiamo vedere la necessità di servire la persona integralmente; come qualcuno che ha bisogno del nostro amore e compassione. Se non li vedremo come un’estensione dell’Eucaristia, del Corpo di Cristo, non avremo lo stesso rispetto per gli altri.
Siamo uniti a Gesù non per la grandezza del nostro amore bensì per il “tutto” del nostro amore. Benché il nostro “tutto” sia piccolo, la cosa importante è che è il nostro “tutto”. E come incominciamo ad amare? Senza dubbio, col perdono. Gesù lo fece, dimostrando che desiderava avvicinarsi ai peccatori. Non aspettò che venissero, ma si avvicinò a loro.
Amare Dio con tutto il nostro cuore, tutta la nostra anima e tutta la nostra mente significa, pertanto, sottomettere tutta la nostra vita a Lui. L’amore è più che una risposta emozionale; significa confidare in Lui completamente e vivere secondo il modo che Lui ci ha insegnato.