di p Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.
New York, 26 aprile 2020 | III Domenica di Pasqua
Atti Apostoli 2, 14.22-33; 1 Lettera Pietro 1, 17-21; S. Luca 24, 13-35
I discepoli di Emmaus erano più che scoraggiati, più che depressi, più che sconsolati. Avevano perso il proposito della loro vita, il sogno per il quale avevano rischiato tutto era sparito. In quel momento, le loro vite sembravano non avere più senso.
Nel suo libro ispiratore L’uomo alla ricerca di senso, lo psichiatra e neurologo Viktor Frankl scrisse sulla sua terribile esperienza come prigioniero di un campo di concentramento durante la Seconda Guerra Mondiale.
Frankl scoprì che coloro che sopravvivevano più tempo nei campi di concentramento non erano quelli fisicamente più forti, bensì quelli che conservavano un senso di controllo sul loro ambiente. Quelli che, perfino nelle circostanze più assurde, dolorose e scoraggianti, scoprono che alla vita e alla sofferenza si può dare un senso.
La vita nel campo di concentramento gli insegnò che il nostro principale impulso o motivazione nella vita non è né il piacere, come Freud aveva creduto, né il potere, come pensava Adler, bensì il senso. D’accordo con Frankl, il senso può trovarsi attraverso:
– lo sperimentare autenticamente la realtà interagendo con l’ambiente e con gli altri.
– il donare qualcosa al mondo attraverso la creatività e l’auto-espressione, e,
– il cambiare il nostro atteggiamento di fronte ad una situazione che non possiamo cambiare.
Ovviamente, i discepoli di Emmaus non potevano portare a termine queste tre “misure” da soli, con le loro forza. In primo luogo, abbandonarono la comunità i cui membri continuavano a cercare una risposta a quanto successo. Di fatto, preferirono andarsene per loro conto, convinti che nessuno può dare senso a certe tragedie. Per esempio, non verificarono l’esperienza raccontata dalle donne, il che avrebbe potuto essere chiarificatore per loro.
Quando siamo delusi, la prima cosa che ci viene in mente è cercare una via di fuga. Vogliamo uscire dalla situazione che sia: una relazione, un lavoro… o la nostra vita. La delusione di solito è accompagnata dall’ira, e l’ira ci acceca. Per questo, scappando da una situazione frustrante, neppure siamo sicuri di dove andare.
Questo è quello che succede nel Vangelo di oggi. Due discepoli si allontanano dal luogo dove avevano sperimentato la più profonda storia d’amore, come per cancellare tutto quello che era successo.
Noi siamo come loro. Cerchiamo di fuggire anche quando le nostre relazioni si fanno difficili. Cerchiamo di evitare la sofferenza che implicano. Scappiamo, come questi due discepoli, senza sapere dove andare. Vogliamo solo fuggire. Ritornare ad Emmaus allora è come ritornare al passato, pretendendo che non sia successo niente.
Ma è certo che il nostro cuore può ardere, come fece quello dei discepoli nel Vangelo di oggi. Sentendo l’amore, come San Pietro quando ricevette il perdono di Cristo o come chiunque di noi quando ci sentiamo accolti da una comunità e da Dio in persona.
Che cosa significa che il cuore comincia ad ardere?
È un’espressione molto convincente, perché significa che i vecchi fantasmi sono stati gettati nel fuoco e, allo stesso tempo, che una nuova luce brilla in quella che fu l’oscurità.
Non pensiamo che sia un fenomeno inusuale o riservato a certe persone. Do un esempio banale di una persona ordinaria. Io stesso.
Quando ero adolescente ed ascoltavo la lezione, per me terribilmente noiosa, di latino del venerdì pomeriggio, in un istante il mio cuore mi trascinava al giorno dopo, al sabato, al momento in cui avremmo giocato una partita di pallacanestro. E così, la mia immaginazione volava, il sorriso tornava sul mio volto (con lo stupore del professore) ed il tedio si trasformava in allegria.
Ovviamente, quella è solo una caricatura di ciò che succede quando arde il cuore. Nel vita spirituale, quando il cuore è in fiamme, ci sono conseguenze inaspettate. Per esempio, il testo del Vangelo dice che i discepoli partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme…. non è totalmente in contraddizione col piano che i discepoli avevano per riposarsi? In realtà, avevano detto a Cristo: «Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino». Avevano pianificato di rimanere a Emmaus e dormire lì per la notte, ma si alzarono in quello stesso istante e ritornarono camminando per una strada sinuosa e difficile… cosicché dovettero aver camminato tutta la notte, qualcosa che era significativamente più pericoloso allora di quello che è ancora oggi. Misero le loro vite a rischio perché i loro cuori erano in fiamme.
Questo è un esempio perfetto di quello che il nostro padre Fondatore chiama Aspirazione nella nostra vita mistica. Il fuoco dello Spirito Santo non è sempre una fiamma discreta; a volte viene come un soffio forte ed ardente che chiamiamo Espirazione e provoca in noi risposte energiche, risvegliando virtù addormentate e, soprattutto, creando in noi quello che il mondo chiama un rinnovato Progetto di Vita e nella nostra esperienza spirituale lo conosciamo come Aspirazione. Invece di ritornare alle nostre sicurezze, al nostro Emmaus, torniamo a Gerusalemme con una maggiore chiarezza su come offrire la nostra vita.
Gli studiosi della Bibbia non sanno realmente dove si trova Emmaus. Non potendo localizzarlo, possiamo aprirci alla possibilità che Emmaus sia…in tutte le parti. Dovunque siamo durante il cammino e in ogni pasto, Cristo viene a noi, pieno di energia e nuove possibilità, e con la gioia della resurrezione.
Ogni volta che dedichiamo un po’ di tempo ad ascoltare lo Spirito Santo e andiamo dove Dio ci porta (a volte Dio ci porta in posti abbastanza strani e ad incontrarci con gente abbastanza strana) allora il nostro cuore arde. Un cuore ardente è un cuore con una nuova speranza ed un nuovo senso della fede che torna a nascere. Ora, i discepoli avrebbero potuto fare qualunque cosa. Un cuore ri-acceso è capace di unirsi ad un gruppo di altri cuori ardenti.
Come ricorda San Giovanni Paolo II in Dolentium Hominum (1985), lo Spirito Santo sparge nei nostri cuori quella compassione che il Cristo medico ci presenta come il cuore ardente della vocazione del medico (Rm 5, 5). Quello che Gesù esprime davanti ai nostri occhi, come modello da seguire, lo Spirito lo imprime in noi come una forza efficace.
Il nostro cammino per Emmaus non è un viaggio unico, bensì un costante processo, di tutta la vita, per poter scoprire le persone divine che stanno camminando al nostro fianco.
Certamente, ai discepoli di Emmaus costò molto lavoro rendersi conto che era Cristo colui che li accompagnava. Anche noi abbiamo questa esperienza, per esempio, quando stiamo con persone poco gentili o prepotenti, o in altre occasioni, quando qualcuno mostra una mancanza di sensibilità che ci ferisce.
Anche i discepoli di Emmaus credevano che il viandante che li accompagnava era ignorante…. Il nostro compito è vedere come Cristo lotta nell’anima del nostro prossimo, come nella nostra, per essere ascoltato. Egli vuole spiegarci il significato del dolore e della morte e, benché non possiamo comprenderlo pienamente, ci permette di vedere come la sofferenza di una persona cambia la sensibilità degli altri e, se sono accompagnati da un discepolo di Gesù, il loro cuore comincerà ad ardere.
Dio non gioca con gli esseri umani, non si nasconde. Ma ha bisogno della collaborazione degli operai della sua vigna per arrivare alla gente. Questa è la sua volontà, questa è la sua fiducia in noi… e la nostra responsabilità. È un vero miracolo perché, in realtà, abbiamo una visione spirituale molto corta e non possiamo immaginare facilmente in che punto si trova la vita del nostro prossimo. Forse una piccola storia, non senza umorismo, ci può aiutare a ricordare questo.
Non molto tempo fa, in un quartiere conflittuale, un’anziana signora andò al supermercato a fare alcuni acquisti. Quando ritornò alla sua auto, notò che quattro uomini si erano introdotti in essa. La donna lasciò cadere le sue borse di acquisti, mise la mano nella borsetta e tirò fuori una piccola pistola che portava per proteggersi. Corse verso la sua auto, puntò la pistola contro gli uomini e cominciò a gridare a tutta forza. Ordinò loro di uscire dall’auto e li avvisò che, se non lo facevano, avrebbe fatto saltare le loro cervella: So come usare questa pistola, e non crediate che non lo farò! gridò. I quattro uomini non dubitarono. Aprirono le porte dell’auto, uscirono correndo ed incominciarono a correre più rapidamente che potevano.
La donna tremava, ma mantenne il sangue freddo. Quando fu sicura che gli uomini erano andati via, tornò a mettere l’arma nella sua borsetta, raccolse le sue borse e le caricò sul sedile posteriore dell’auto. Quindi salì al posto del conducente e decise di andare immediatamente al commissariato di polizia per denunciare l’incidente. Ma c’era un piccolo problema. La sua chiave non entrava nell’accensione. Una rapida occhiata all’interno confermò che era nell’automobile sbagliata! Il suo veicolo era parcheggiato a quattro spazi di distanza nello stesso corridoio di quel parcheggio. Caricò le sue borse nella sua vera auto e si diresse al commissariato per confessare quello che aveva fatto. Quando raccontò la sua storia, il sergente non poté trattenere una risata. Indicò solo l’altro estremo del banco dove quattro uomini molto agitati stavano denunciando… il furto di un’auto da parte di un’anziana pazza.
Né quello che l’anziana immaginava dei giovani, né quello che questi pensavano della donna si avvicinava alla realtà. Molti di noi abbiamo la tendenza a pensare il peggio della gente e a guardare solo i suoi difetti.
Come speriamo di essere più sensibili dei discepoli di Emmaus alla presenza di Cristo nelle loro vite o nelle nostre?
Come il testo del Vangelo, anche la Prima e la Seconda Lettura ci ricordano il potere unico della Croce e della Resurrezione di Cristo per cambiare la nostra visione e le nostre vite. I primi apostoli erano coscienti dell’ignoranza delle prime comunità e per questo San Pietro scusò la gente per la sua ignoranza. Non era arrabbiato con loro, né cercava di vendicarsi di loro. Ora, fratelli, io so che, uccidendo Gesù, voi avete agito per ignoranza, così come i vostri capi; Dio però ha adempiuto così ciò che aveva annunziato per bocca di tutti i profeti, che cioè il suo Cristo sarebbe morto. (Atti 3, 17-18).
Nella storia dei discepoli di Emmaus, gli elementi della celebrazione dell’Eucaristia sono presenti: Quelli che camminano insieme per la strada si riuniscono e si incontrano con Gesù, poi viene la Liturgia dalla Parola con l’omelia e, infine la frazione del pane. Solo nel momento della comunione eucaristica gli occhi si aprono ed i discepoli si rendono conto che il Risorto è in mezzo a loro, ma notano che, senza la Parola, non sarebbero arrivati a scoprire il Signore nel pane eucaristico. Questa esperienza centrale ci porta a partecipare al lavoro di proclamare il messaggio di Cristo e a condividere la nostra esperienza con altri affinché anch’essi la vivano.
La sofferenza e la morte non hanno senso nella nostra vita se li vediamo come eventi isolati. Quando vediamo gli eventi della nostra vita come avvenimenti senza relazione, allora non troviamo senso. Senza fede nella resurrezione, le sconfitte sono sconfitte, la vita finisce con la morte, ed è una tragedia inutile. Il cammino della croce è inconcepibile e assurdo per il mondo. È necessario che qualcuno lo spieghi, non come chi trasmette una cultura teologica arida, bensì come qualcuno che brucia i cuori.
Probabilmente, è opportuno finire ricordando la condizione necessaria per infiammare il cuore del nostro prossimo:
Da questo sappiamo d’averlo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Lo conosco» e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui; ma chi osserva la sua parola, in lui l’amore di Dio è veramente perfetto. Da questo conosciamo di essere in lui (1Gv 2, 3-5).
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Tuo fratello nei sacri cuori di Gesù, Maria e Giuseppe