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Madrid, 21 aprile 2019. Pasqua di Resurrezion                           

At 10,34.37-43; Col 3, 1-4; Gv 20, 1-9

1. Parlando della vita. Man mano che il mondo si è  evoluto, gradualmente sono apparse nuove forme di vita. Possiamo, in modo un po’ semplicistico, parlare di vita vegetale, vita animale, vita umana. Parliamo anche di vita virtuale, vita sintetica… e vita eterna. 

La maggioranza delle volte, si considera la vita eterna come qualcosa del futuro. Ma nel vangelo di San Giovanni leggiamo: 

In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita (Gv 5, 24). 

E lo stesso evangelista, nella sua prima Lettera, specifica, inoltre: Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, perché amiamo i fratelli. Chi non ama rimane nella morte (1 Gv 3, 14). 

Queste due citazioni ci portano ad una considerazione inevitabile: Come influisce oggi la Resurrezione sulle nostre vite? 

Papa Benedetto XVI aveva riflettuto su questo nella sua omelia della Veglia Pasquale del 2006: 

Ma in qualche modo la Resurrezione è collocata talmente al di fuori del nostro orizzonte, così al di fuori di tutte le nostre esperienze che, ritornando in noi stessi, ci troviamo a proseguire la disputa dei discepoli: In che cosa consiste propriamente il “risuscitare”? Che cosa significa per noi? Per il mondo e la storia nel loro insieme? Un teologo tedesco disse una volta con ironia che il miracolo di un cadavere rianimato – se questo era davvero avvenuto, cosa che lui però non credeva – sarebbe in fin dei conti irrilevante perché, appunto, non riguarderebbe noi. In effetti, se soltanto un qualcuno una volta fosse stato rianimato, e null’altro, in che modo questo dovrebbe riguardare noi? Ma la risurrezione di Cristo, appunto, è di più, è una cosa diversa. Essa è – se possiamo una volta usare il linguaggio della teoria dell’evoluzione – la più grande “mutazione”, il salto assolutamente più decisivo verso una dimensione totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia avuta: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne tutta la storia.

2. La nostra Resurrezione. Nella parabola del Figlio Prodigo, Gesù spiega come si relaziona intimamente la resurrezione con la realtà della vita quotidiana. Il giovane prese la sua eredità, fuggì dal paese e scialacquò la sua fortuna, cadendo nell’umiliazione e nella povertà. A tutti gli effetti, era come se fosse morto. Come sappiamo, infine il giovane ritornò a casa e fu ricevuto da suo padre: Portate il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato (Lc 15, 23-24). In questo modo, il giovane fu riportato alla sua famiglia e a Dio. Il ritorno del Figlio Prodigo è in realtà una parabola della resurrezione. Come la parabola del Figlio Prodigo, la storia della resurrezione di Cristo riflette gli schemi delle nostre vite. In questa nostra vita ci sono tutti quei cambi e ritorni che conducono dalla vita attraverso la valle delle ombre della morte verso una nuova creazione ed un felice ritorno a casa. 

Una delle lezioni che si possono estrarre da questa straordinaria parabola è che, oltre alla sua importanza nel futuro, possiamo sperimentare oggi stesso il potere della resurrezione. C’è una resurrezione del corpo ed una resurrezione del cuore. La resurrezione del corpo succederà l’ultimo giorno, quella del cuore succede, o può succedere, tutti i giorni. 

Possiamo illustrarlo con qualcosa che successe ad un bambino di circa sette anni che soffrì  un cancro fatale, aggressivo e in rapida crescita.

Era stato trattato con ogni tipo di terapia conosciuta. Niente più si poteva fare. Non c’era speranza reale di recupero. Cosicché la famiglia ed i medici si riunirono nella stanza dal bambino per una decisione finale sul suo trattamento. Avevano tentato quasi tutto, che cosa avrebbero potuto pensare ancora? Alla fine, il ragazzo disse con voce alta e chiara: Quello che realmente voglio fare è andare a casa e imparare ad andare in bicicletta. 

La bicicletta era stata un regalo di Natale. Aveva montate quelle due piccole ruote dell’apprendistato. Ma prima che il bambino avesse guadagnato sufficiente fiducia per togliere le ruote dell’apprendistato, il cancro l’attaccò e fu rimandato all’ospedale. Imparare ad andare in bicicletta era l’ultima cosa che potevano pensare i medici o i genitori. Il bambino era già fisicamente indebolito, perché incoraggiarlo a fare qualcosa che chiaramente non avrebbe potuto fare per molto tempo, anche se avesse potuto cominciare con successo? Ma il bambino insistette e la resistenza dei medici e dei suoi genitori si sciolse davanti alla sicurezza dei suoi chiari occhi castani. 

E tornarono a casa. Appena trenta minuti dopo essere arrivato, uscirono nel cortile, il bambino insistette che suo padre gli togliesse le ruote di apprendistato e lo lasciasse andare. Ubbidiente, ma con ansia, suo padre tolse le ruote di apprendistato e, con sorpresa, dopo solo due tentativi falliti ed una caduta, il bambino poté guidare la bicicletta, anche se in modo ancora un po’ instabile per essere tranquilli…. Ed ora, disse con voce sicura, ora voglio circolare da solo attorno all’isolato. Prima che qualcuno potesse fermarlo, era fuori, per strada, girando l’angolo. Ci furono alcuni minuti di suspense mentre i genitori e sua sorella piccola, aspettavano di vederlo apparire all’altro estremo del blocco, e dopo quello che sembrò un’eternità, lì apparve, dirigendosi verso casa, con una gigantesca espressione di trionfo e soddisfazione stampata in viso. 

Quando si calmò l’emozione, il bambino si ritirò nella sua stanza e domandò se poteva rimanere solo con sua sorella piccola. Volle che suo padre portasse la bicicletta azzurra brillante nella camera da letto. Era seduto in un angolo, un simbolo brillante della vita. Poi, il bambino si girò verso sua sorella piccola e le disse: Non avrò più bisogno della bicicletta. Voglio che la prenda tu per il tuo compleanno. Spero che te la possa godere tanto quanto me. 

Normalmente si dice che Dio ci chiede fare cose straordinarie quando siamo nel momento più basso della nostra vita spirituale. In quei momenti, siamo realmente morti, lontano da Dio, vivendo una vita che neanche merita il nome di vita. Al contrario di quello che uno potrebbe pensare a prima vista, questo non è molto raro nella nostra esperienza mistica e ascetica. Come nella parabola del Figlio Prodigo, questo può succedere in due modi. 

Un modo è agire come il fratello minore: allontanarsi dall’amore del Padre ed andare via verso un paese lontano. Vogliamo libertà per esplorare le seduzioni (legittime o no) del mondo. Questo primo atteggiamento rimane ben descritto come attaccamento al mondo, alla vita mondana. 

La seconda è ancora più pericolosa e profonda. Si tratta del nostro attaccamento all’ego e alla fama. 

Quando pensiamo all’attaccamento alla fama, generalmente ci riferiamo a quello che gli altri pensano di quello che facciamo, ma possiamo essere realmente morti proprio a causa della nostra auto-immagine di perfezione. Siamo orgogliosi del fatto che compiamo sempre il nostro dovere. Il nostro orgoglio ci fa sentire che il Padre ci deve qualcosa. Allora, aspettiamo solo di usare Dio per ottenere quello che vogliamo, celebrare la nostra festa con i nostri amici. In quelle circostanze, inevitabilmente, disprezziamo e non vogliamo avere niente a che vedere con quelli che sono affondati a causa del loro peccato. Vogliamo che Dio li giudichi e ci separiamo da essi. Non siamo misericordiosi, né con i non misericordiosi… né con le loro vittime. 

I due figli della parabola erano morti per il loro padre, ma solo uno si rese conto di ciò. 

Credo che Dio desidera approfittare di questi momenti per mostrarci la sua fiducia e vicinanza e, contemporaneamente, dare una chiara testimonianza della sua capacità di resuscitare coloro che sono morti in vita. 

Tale cambiamento in qualunque persona è possibile solo perché Gesù Cristo morì per i nostri peccati e risorse alla vita. Per fortificare la fede nei cristiani rispetto alla prossima trasfigurazione del corpo, San Paolo si riferisce ad un fatto ben conosciuto: Ma qualcuno dirà: «Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?». Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore; e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere. E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo. (1Cor 15, 35-38). 

Appoggiando la stessa idea, i Padri della Chiesa segnalano il fatto che in realtà niente si distrugge, né sparisce, ma si trasforma in qualcosa con nuove proprietà e,  certamente, Dio ha potere per restaurare e trasformare tutto quello che creò. Trovarono in ciò molte similitudini con la resurrezione: la germinazione di una pianta a partire da un seme sepolto nella terra che si decompone; la rinnovazione annuale della natura durante la primavera; la formazione iniziale dell’uomo dalla polvere; ed altri fenomeni simili. 

Nel nostro esame ascetico-mistico, è nella Supplica Beatifica dove probabilmente si manifesta più chiaramente la resurrezione del cuore. 

Il supplicare normalmente non è qualcosa di allegro. Quando chiediamo un aumento di stipendio, o quando ci scusiamo per qualche errore, normalmente non godiamo di quella esperienza. Ma nella nostra relazione con le persone divine è quello che forse meglio definisce la nostra condizione filiale, la nostra natura di essere un figlio o una figlia di Dio: abbiamo un bisogno costante della grazia, abbiamo l’esperienza di avere ricevuto sempre una risposta, (generalmente inaspettata) e, pertanto, ci vediamo sospinti a continuare gioiosamente il nostro atto di supplica. 

Le due manifestazioni della Supplica Beatifica sono l’Espirazione e la Stigmatizzazione.  Abbiamo sempre qualche esperienza di questo, ma la maggioranza delle volte non la identifichiamo adeguatamente e, di conseguenza, perdiamo il suo prezioso potere trasformatore. 

* L’espirazione (= esalazione, dal latino exhalare = espirare) si manifesta come Beatitudine nella nostra supplica, una pace immutabile, la sicurezza della vittoria di Dio in mezzo alle difficoltà più gravi: Cristo sta con noi nella barca durante il temporale. 

* La stigmatizzazione (dal latino stigma = segno, marchio) si manifesta come una Afflizione, un sentimento intimo di dolore (non amarezza), di malinconia causata dalla coscienza che Venne fra la sua gente, ma i suoi non l’hanno accolto. (Gv 1, 11). Questa coscienza è alimentata dalla mia mediocrità, dall’ignoranza di Cristo in molte persone, dalla sofferenza del mio prossimo. Ma questo segno registrato a fuoco nel mio spirito è capace di svegliare tutti i miei talenti nascosti e metterli al servizio di Dio e degli altri. 

Questa Beatitudine e questa Afflizione ci incoraggiano ad accogliere la grazia di contemplare la nostra necessità disperata del Suo amore incondizionato, a lasciare il nostro peccato e ritornare al Padre per lavorare con Lui e con i fratelli, nonostante la mia mediocrità e la mediocrità degli altri. Allora, Egli ci accoglie con allegria. Quell’allegria non si trova in un paese lontano, festeggiando con gli amici mondani. La vera gioia non si trova lavorando come schiavo nelcampo per Dio, mentre sei arrabbiato ed amareggiato perché pensi che Lui o il tuo prossimo non ti trattano bene. La vera allegria si trova quando ritorni dal Padre con vero pentimento. Allegramente egli dà il benvenuto al banchetto ad ogni peccatore pentito. 

Una delle cose che ci succedono quando cominciamo a camminare con Cristo o quando accettiamo la triste realtà del nostro orgoglio è un cambiamento sostanziale. Ci sentiamo come una nuova persona, in un senso reale. È una genuina resurrezione. Non è che prima di Cristo io fossi estroverso ed ora sono introverso. Non è che prima mi piacesse divertirmi ed ora divento serio e parlo del cielo. Ci succede che le cose che desideriamo fare cambiano drasticamente. Sperimentiamo il desiderio di conoscere Dio e la sua volontà… servirlo … fare cambiamenti nel mondo… usare i nostri talenti per Lui… e non voler cadere in tutto quel peccato che ha diretto la nostra vita. È una forma completamente nuova di esistenza. In poche parole, vediamo tutto il nostro essere inquieto per Dio e camminando con lui. 

3. Ostacoli alla nostra Resurrezione. 

Nel nostro Esame Ascetico-mistico o, se mi permettete questo paragone, negli Alcolisti Anonimi, dove i partecipanti realizzano un “inventario morale audace ed intrepido” di se stessi, consideriamo tutti gli ostacoli per la resurrezione o una vita di completa  pienezza ed unione manifesta, precisamente quando la nostra vita morale o il nostro stato d’animo si trova nel suo punto più basso. La domanda si traduce così: che cosa deve morire affinché il mio vero essere viva in pienezza? 

Quando consideriamo con coscienza questa domanda, le nostre risposte sono abbastanza superficiali. C’è una lunga lista di ostacoli mentali ed emozionali che impediscono un risveglio totale. Menzioniamo solo tre: 

Le nostre ferite che determinano come ci relazioniamo con le persone con le quali ci  risulta difficile convivere.

La nostra memoria. Che può essere un mondo ideale che vogliamo ricreare o il mondo corrotto che vogliamo cambiare. Ambedue sono una distrazione della pace sempre presente della resurrezione, che è sempre viva nel momento presente. 

La nostra presunta Identità; chi penso di essere. Così è come ci differenziamo dagli  altri, uno dei passatempi favoriti dell’ego. Percepiamo e valutiamo automaticamente, per metterci contro, o sotto, o sopra agli altri.

L’essere un risuscitato è uno stato al quale siamo invitati. Ma sappiamo che ci sono cose che dobbiamo abbandonare se vogliamo morire alla vita come lo fa Cristo. Temiamo queste morti perché immaginiamo che la distruzione dei nostri piani emozionali per essere felici ci renda disgraziati. Possiamo chiamarlo aerofobia spirituale, la paura o la forte avversione a volare. 

Le persone con aerofobia non diventano ansiose solo volando. Subito, sperimentano un sentimento estremo ed opprimente di paura associata a stare in un aeroplano, elicottero o un altro veicolo volante. Spesso le persone con questa fobia evitano di volare o, se non hanno un’altra opzione, sperimentano un forte panico durante i voli. Questa fobia fa sì che le persone temano qualunque volo ed evitino di volare, perfino quando ciò interferisce con la loro capacità di vedere amici e familiari o di fare il loro lavoro.

In una delle sue omelie (9 aprile 2019), riflettendo sulla Prima Lettura del giorno,  presa dal Libro dei Numeri, Papa Francesco osservò che a volte i cristiani  “preferiscono il fallimento”, lasciando spazio per il lamento e l’insoddisfazione. Un terreno perfetto, disse, affinché il diavolo semini i suoi semi. 

Secondo la Lettura, il popolo di Dio non poteva sopportare il viaggio: il suo entusiasmo e la speranza al fuggire dalla schiavitù in Egitto svanirono gradualmente, la sua pazienza si esaurì e cominciarono a mormorare e lamentarsi con Dio: Perché ci hai tirati fuori dall’Egitto? Per farci morire in questo deserto? 

Papa Francesco si dispiacque del fatto che questa è la vita di molti cristiani: vivono  lamentandosi, vivono criticando, mormorano e sono insoddisfatti. Il popolo di Dio non poteva sopportare il viaggio. Noi cristiani spesso non possiamo sopportare il viaggio. Preferiamo il fallimento, cioè, la desolazione. Questa è l’aerofobia spirituale alla quale mi riferivo. Il nostro Padre Fondatore illustrò questo atteggiamento con l’esempio di una persona che ha l’opportunità di essere architetto, ma la respinge, scegliendo di essere un lavoratore della costruzione non qualificato. 

4. Il Cammino verso la nostra Resurrezione. 

Ovviamente, Cristo non ebbe contatto col peccato, ma sperimentò alcuni momenti di esigenze estreme da parte di suo e nostro Padre Celestiale, occasioni nelle quali -come  uomo – dovette condividere la sofferenza e l’afflizione della Prima Persona della Santissima Trinità. La sua risposta fu, come sappiamo, il rinnegamento. Invece di fuggire e fare la sua volontà, Gesù si diresse al Padre in orazione. 

Inoltre, non decise di lottare da solo; nell’Orto del Getsemaní, chiese a Pietro, Giacomo e Giovanni di pregare con lui. Te lo immagini essere Pietro, Giacomo o Juan ed avere questo peso su di te? I discepoli avevano pregato per altre persone; non erano lontani dall’orazione. Ma pregare per Gesù in una situazione di crisi era qualcosa di completamente nuovo e, senza dubbio, terrificante per loro. Questa è l’afflizione, questa è la nostra migliore orazione, l’orazione più importante che mai abbiamo pregato, alla quale ci chiama lo Spirito Santo. La cosa più lontana da noi in quel momento sarebbe fare un pisolino. Tuttavia, quando Gesù ritornò da loro dopo essere andato via un po’ a pregare, trovò tutti addormentati. 

Non perdiamo queste opportunità per sperimentare questo vincolo profondo tra la vita  ascetica e mistica, questa esperienza di resurrezione, che ci viene presentata quando siamo  stanchi o scoraggiati come i discepoli in Emmaus, come le sorelle del morto  Lazzaro o gli apostoli nel Getsemaní. 

La vita eterna di Dio, la vita divina posseduta unicamente da Lui, è letteralmente una vita che va oltre il biologico. Io sono la resurrezione e la vita

Quando Gesù dice che venne affinché noi abbiamo vita e l’abbiamo in abbondanza, stava  parlando di questa altra idea di quello che è la vita. 

La Resurrezione di Gesù colpisce il nostro destino finale, ma riguarda anche enormemente ogni cambio e vicissitudine della nostra vita nel nostro viaggio verso l’unione beatifica. Il Papa Francesco, in una delle sue udienze giornaliere (3 aprile 2013) , disse che la Resurrezione di Gesù ci porta a vivere la nostra vita quotidiana con più fiducia, ad affrontare ogni giorno con coraggio e impegno. La resurrezione di Cristo getta  nuova luce sulle nostre realtà quotidiane. La resurrezione di Cristo è la nostra forza! 

Chi di noi non ha bisogno di più forza per amare le persone nella nostra vita, per  perdonare a coloro che ci hanno feriti, per compiere le esigenze dei nostri doveri quotidiani nel lavoro e nella casa, per combattere con la malattia, la tristezza, il dolore e la sofferenza? Per lasciare da parte i risentimenti e l’odio, per centrarsi sulle necessità degli altri prima che sulle nostre e, in ultima istanza, amare Dio ed il prossimo in maniera più profonda e completa? 

Siamo chiamati a seguire Gesù attraverso la croce della nostra umiliazione delle false idee sulla nostra vita e delle nostre false aspettative sul futuro, compresa l’identità del Messia. P Solo così potremo conoscere per propria esperienza la resurrezione, una esperienza abbastanza sorprendente. Sì, la resurrezione è la tremenda esperienza di essere completamente vivo, nonostante e grazie a questa morte completa delle nostre bugie.