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Vangelo e riflessione

A sua immagine e somiglianza | Vangelo del giorno, 4 giugno

By 31 Maggio, 2023No Comments
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Vangelo secondo San Giovanni 3,16-18

In quel tempo, disse Gesù a Nicodèmo: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio, unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio».

A sua immagine e somiglianza

Luis CASASUS, presidente missionarie e missionari identes

Roma, 04 giugno 2023 | Santissima Trinità

Es 34,4b-6.8-9; 2Cor 13,11-13; Gv 3,16-18

Quando San Patrizio annunciò il Vangelo agli irlandesi nel V secolo, cercò un’illustrazione per spiegare la Trinità. Secondo la leggenda, scelse un trifoglio. Indicando ciascuna delle sue foglie, mostrando come il trifoglio sia composto da tre foglie distinte, spiegò che anche Dio è composto da tre foglie distinte. Allo stesso modo, spiegava, Dio è composto da tre persone distinte: Padre, Figlio e Spirito Santo.

Nella teologia e nella vita dei santi non mancano spiegazioni molto suggestive della Trinità, e di solito ci fanno capire che c’è qualcosa di più urgente e necessario che arrivare a una chiarezza razionale su questo mistero. Infatti, rendersi conto che Dio è una famiglia, come è stato in qualche modo intuito in molte religioni e rivelato da Cristo, è una luce incomparabile per il nostro cammino in questo mondo. Oggi è un giorno opportuno per meditare su alcune implicazioni di questo mistero nella nostra vita, senz’altro più utili ed essenziali per tutti noi, che non cercare di sapere com’è “Dio dentro”.

A questo proposito, ricordiamo la storia di un prete russo di campagna che si trovò di fronte a un eminente scienziato. Quest’ultimo espose argomenti apparentemente devastanti contro l’esistenza di Dio e dichiarò: “Io non credo in Dio”. Il sacerdote illetterato replicò rapidamente: “Oh, non importa… Dio crede in te”. Ecco un modo pratico di comprendere ciò che ci interessa sapere sulla Trinità.

In una delle sue prime omelie da Papa, San Giovanni Paolo II sollevò la cosa più importante che dobbiamo sapere nella nostra vita terrena: chi è Dio e il mistero della Santissima Trinità. Giovanni Paolo II spiegò: “Dio, nel suo mistero più profondo, non è una solitudine, non è un solitario, è una famiglia, perché ha in sé la paternità, la filiazione e l’essenza dell’amore familiare, che è lo Spirito Santo”.

Se l’antica sapienza della Genesi ci ricorda che Dio disse: “Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza”, certo sta suggerendo che siamo più di una “rappresentazione” di Lui, come una scultura o un dipinto possono esserlo di un personaggio. Sicuramente si tratta di qualcosa di più profondo di affermazioni semplicistiche come: “se la Trinità è composta da tre persone, allora anche noi siamo composti da tre elementi: corpo, anima e spirito”.

Se diciamo che siamo creati a immagine e somiglianza di Dio, allora non si tratta tanto di tratti umani buoni che si manifestano in noi, ma piuttosto del fatto che alcune caratteristiche divine diventano visibili nella nostra vita. Questo è più essenziale e va oltre la morale, beninteso senza sminuirla.

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In questo senso, forse la prima osservazione è che Dio è amore. Purtroppo, per molti di noi questo è diventato uno slogan, una frase ad effetto, una banalità. Tuttavia, se siamo fatti a sua immagine e somiglianza, la conseguenza più immediata è il fatto che esiste un modo di amare noi stessi che è veramente naturale, che risponde alla nostra natura. Per qualche motivo Cristo confermò il comandamento: Ama Dio sopra ogni cosa e il tuo prossimo come te stesso (Lc 10, 25-37).

A seconda di come ci sintonizziamo, l’amore per se stessi assume forme diverse. I social media tendono ti dicono che sei perfetto così come sei e che devi metterti al di sopra degli altri. La psicologia individualista contemporanea tende a dire che l’amore per se stessi consiste nello scoprire se stessi. Tutte queste voci ci dicono molte cose, spesso diverse, sull’amore di sé. È necessario, in questa confusione, scoprire cosa ci stanno dicendo veramente.

L’autostima, come si vede nella cultura di tendenza, ci incoraggia a elevarci al di sopra degli altri. L’amor proprio è equiparato all’egoismo. L’egoismo è diventato il mezzo per diventare più sicuri di sé. Ci viene detto che il modo per raggiungere l’amor proprio è fare ciò che ci fa stare bene. Scoprite cosa vi rende felici e fate di tutto per ottenerlo.

Dal punto di vista del Vangelo, fondamentalmente, io smetto di amare me stesso nel momento in cui agisco contro la mia natura, che è a immagine e somiglianza di quella di Dio. Questa è probabilmente la descrizione più esatta e profonda del modo in cui pecchiamo.

Sì, possiamo parlare di inclinazioni, tentazioni, passioni, attaccamenti… ma ricordiamo ciò che dice la nostra formula di professione dei voti: che la santità non sarebbe possibile amando allo stesso tempo la ricchezza, l’impurità e la ribellione. Tutti questi amori sono reali, alternativi, devianti, perversi, innaturali. E si tratta di comportamenti che possono essere chiamati “amore”, perché mettono tutto il nostro essere, tutta la nostra capacità, in una direzione tragicamente sbagliata. La verità è che non possiamo smettere di amare, anche quando questo avviene in modo maldestro, danneggiando gli altri, rovinando la nostra pace, la nostra missione e il progetto di vita che lo Spirito Santo ci ricorda continuamente.

Un esempio drammatico è quello del re Davide, che fu capace di difendere le greggi di suo padre dalle bestie selvatiche, di uccidere il gigante Golia, di unificare il suo regno, di vincere molte battaglie e di perdonare Saul. Ma un amore sbagliato e ambizioso lo portò all’adulterio con Betsabea e a procurare la morte di Uria, marito di lei e ufficiale del suo stesso esercito.

In noi si realizza la frase attribuita a San Girolamo: “La corruzione del meglio è la peggiore”. Accade quando la nostra capacità di amare viene corrotta dalle scelte insensate di una libertà… peraltro ereditata da Dio.

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Un albero, una zanzara o un’aquila non sono liberi. Sono obbedienti alla loro natura, ai loro ormoni o rispondono agli stimoli in modo appropriato. Ma noi abbiamo una libertà che si manifesta in modo splendido nella creatività e nell’immaginazione.

Quando i nostri pensieri o le nostre conversazioni sono inutili, senza senso (senza un fine, senza una meta precisa), stiamo creando un mondo chiuso, un’atmosfera immaginaria in cui ignoriamo la cosa più reale: che lo Spirito Santo ci dice continuamente qualcosa, cerca di comunicarci la sua volontà per far sì che la realizziamo con l’immaginazione e la creatività che ci sono state date.

La creatività può essere usata per manipolare gli altri e questo ha una portata che a volte non immaginiamo. Anche se è improbabile che i bambini piccoli escogitino intenzionalmente modi per fare del male agli altri, i bambini trovano nuovi modi per evitare di dover condividere i loro giocattoli, fanno scherzi che possono ferire i loro amici, sono esempi di creatività negativa, come vediamo nelle aule con bambini di quattro anni.

Nel nostro caso, come adulti, è molto peggio. Ci sono abusi di autorità, attività frenetiche e scuse per non cambiare che sono tristemente “creative”, e che sembrano persino profonde e fondate. Ricordiamo le parole angosciate di San Paolo:

“Quando partii per la Macedonia, vi chiesi di rimanere a Efeso per affrontare coloro che vanno insegnando strane dottrine e che non fanno altro che intavolare interminabili discorsi su miti e genealogie, cose che servono solo a fomentare dispute e non contribuiscono affatto al progetto di fede di Dio”.

Scopo di questo avvertimento è promuovere l’amore che nasce da un cuore pulito, da una coscienza sana e da una fede sincera. “Alcuni si sono allontanati da questa linea di condotta e si sono persi in chiacchiere sterili (1Tim 1,3-6)”.

Come ha detto un ex pastore protestante: troppi dei nostri fratelli preferirebbero spiegare le complessità del Libro dell’Apocalisse piuttosto che andare in un orfanotrofio a parlare di Gesù ai bambini.

Al contrario, il vero discepolo di Cristo mette al servizio del Vangelo la sua immaginazione e la sua creatività, che sono sempre uniche e non vanno sottovalutate. Come nel caso di un’opera d’arte, sia pure una modesta poesia, scritta per amore di Dio e del prossimo.

Ecco perché i cinque papi che si sono succeduti dopo il Concilio Vaticano II hanno sottolineato la forza della bellezza nel parlarci di un cammino che va oltre le parole e le azioni. La Chiesa sa che l’arte è più che pietra e vetro, parole o note sulla carta, suoni cantati, pittura su tela: nella sua massima espressione, l’arte è un impiego ispirato di quei materiali e di quelle abilità per offrirci una visione di suprema bellezza e quindi per entrare in conversazione con Colui che è bellezza, cioè Cristo stesso.

 

Ci sono molti momenti nella vita di Cristo in cui si manifesta la sua feconda creatività, che – insistiamo – abbiamo ricevuto. Una donna viene colta in adulterio (Gv 8,1-7) e, condannata da tutti, Gesù sentenzia:” Chi non ha peccato, scagli la prima pietra”. Naturalmente, ogni sua parabola è un’opera d’arte al servizio dell’insegnamento della Buona Novella, che egli proclama con ogni mezzo possibile.

Quando una situazione altamente conflittuale e problematica si presenta a Cristo, egli sa trovare una soluzione creativa, solo grazie all’orazione, in uno stato di preghiera che non si lascia sorprendere dagli eventi più inaspettati. L’autentica creatività non è qualcosa di individuale, ma il prodotto di quella conversazione continua tra Dio e noi.

Non è molto diverso da quello che accade in un centro di ricerca, dove la maggior parte delle idee rilevanti ha bisogno di uno scambio, di un confronto di opinioni, di un dialogo appassionato che ne favorisca la realizzazione. Con le parole del nostro padre Fondatore: “l’afflizione è, dunque, una dinamica che muove l’apostolo in una continua inquietudine, pensando, escogitando nuove vie, nuovi modi di comunicare con gli altri, di trasmettere il messaggio agli altri, di salvare gli altri”.

Un’ultima osservazione: il nostro Padre Fondatore, Fernando Rielo, ci invita ad approfondire il nostro dialogo con Dio, facendoci vedere che è un dialogo a tre voci diverse, con le tre persone divine.

Non si tratta di enunciazione teologica formale, ma ricordo che una persona molto sensibile diceva che Dio Padre ci parla attraverso gli eventi che ci circondano, Cristo attraverso il nostro prossimo (ciò che fai agli altri, lo fai a me) e lo Spirito Santo attraverso ciò che sentiamo dentro di noi, sia che si tratti di dolore, gioia, dubbi, entusiasmo o sorpresa.

Apriamo oggi il nostro cuore a questa realtà, a questa esperienza quotidiana della Trinità.

Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis CASASUS

Presidente