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Vangelo e riflessione

Sei pazzo, Paolo! (Atti, 26, 24) | Vangelo del giorno, 14 settembre

By 10 Settembre, 2025No Comments

Vangelo secondo San Giovanni 3,13-17
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».

Sei pazzo, Paolo! (Atti, 26, 24)

Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes

Roma, 14 settembre 2025 | XXIV Domenica del Tempo Ordinario

Numeri 21, 4b-9; Filippesi 2, 6-11; Giovanni, 3, 13-17

È certamente consigliabile per tutti noi guardare di nuovo alla Croce, in questa Festa della Sua Esaltazione, che celebriamo oggi; perché, sebbene sappiamo tutti che la Croce rappresenta la nostra fede cristiana, non sempre ne cogliamo appieno il significato. Per gli ebrei, è una pietra d’inciampo e stoltezza per i pagani, (1 Cor 1, 23), il che era prevedibile. In molti modi diversi, per 20 secoli, si è ammirata e sperimentata la potenza della Croce, in tutti i modi di vivere il cristianesimo.

Ad esempio, narra una leggenda della vita di Nettario di Egina (1846-1920), un santo della Chiesa greco-ortodossa, che, quando raggiunse la maggiore età e volle recarsi a Istanbul in cerca di lavoro, non riuscì a salire sulla nave perché non c’era posto. Tuttavia, il capitano si rese conto che la nave non si sarebbe mossa finché Nettario non fosse stato ammesso a bordo. Durante il viaggio, la nave incontrò una tempesta. Nettario, vedendo la tempesta, prese la sua croce, che conteneva un frammento della vera croce, e usando una corda legata ad essa, la calò in mare, e il cielo e il mare tornarono calmi. Ma, nel farlo, perse la croce in mare. Più avanti, durante il viaggio, si udì un rumore sordo sotto la nave e, quando raggiunsero il porto successivo, si scoprì che la croce di San Nettario era rimasta incastrata sotto la nave ed era la causa del rumore, e quindi gli fu restituita.

Sant’Elena (248-329), madre dell’imperatore Costantino, spinta dal grande desiderio di trovare la croce su cui Cristo aveva sofferto e ed era morto, giunse a Gerusalemme e ordinò la demolizione di un edificio profano. Scavando a grande profondità, scoprirono il Santo Sepolcro e, vicino ad esso, tre croci; in più, anche i chiodi che avevano trafitto il corpo del nostro Salvatore e l’iscrizione che era stata posta sulla Sua croce.

Un miracolo aiutò a identificare la vera croce: un malato guarì dopo averla toccata. Sant’Elena, piena di gioia per aver trovato il tesoro che aveva cercato con tanta insistenza e che le era tanto caro, costruì una chiesa in quel luogo e vi depose la croce con grande venerazione. In seguito, ne portò una parte all’imperatore Costantino, che si trovava allora a Costantinopoli, che l’accolse con grande venerazione. Un’altra parte della croce la portò a Roma per essere collocata nella chiesa che aveva costruito lì, chiamata Basilica della Santa Croce in Gerusalemme, dove si trova ancora oggi.

Queste notizie, tra cui numerosi miracoli, leggende e rappresentazioni artistiche della Croce, dovrebbero ispirarci a comprendere il significato e la fecondità della Croce nella vita di ciascuno di noi, poiché, seguendo la citazione di San Paolo: “La pazzia di Dio è più sapiente degli uomini, e la debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 1,25).

La Croce è giustamente chiamata l’Albero della Vita, perché paradossalmente, è passata dall’essere un simbolo umiliante di una condanna a morte a fonte di vita feconda per coloro che l’abbracciano con risolutezza. Oggi dobbiamo contemplare la Croce di Cristo e quella che siamo invitati a portare.

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Il nostro padre Fondatore, Fernando Rielo, diceva che possiamo comprendere che cos’è la nostra croce con una sola parola: è la nostra anima. In quest’anima, ci sono tre tipi di sofferenza che dobbiamo sopportare: quelle che derivano dalle conseguenze dei nostri peccati; quelle che derivano dai sacrifici che compiamo quando facciamo il bene; e, infine, quelle che derivano dalla sofferenza innocente.

Riguardo alle ultime due, San Pietro ci dice che è meglio soffrire operando il bene che facendo il male. Cristo stesso è morto una volta per tutte per i peccati, lui giusto per gli ingiusti, per ricondurci a Dio (1 Pt 3,17-18).

֍ Quando pecchiamo, soprattutto quando facciamo male al prossimo, proviamo dolore in molti modi. Chi ha fede prova dolore per aver tradito Cristo. Chi non ce l’ha, almeno per aver intuito che gli sarebbe piaciuto avere un rapporto “armonioso” con coloro che consideriamo nemici, rivali o semplici ostacoli sul nostro cammino. Per chi desidera seguire Cristo, oltre al rimorso, riceve la grazia del pentimento, che significa, prima di tutto, un cambiamento di mentalità, una diversa visione del passato e del futuro che devo intraprendere.

In parole povere, il pentimento significa provare dolore per ciò che abbiamo fatto con l’intenzione di cambiare, mentre il rimorso si riferisce a un dolore che “rode” ripetutamente, anche senza l’intenzione di cambiare. San Pietro si pentì; invece, Erode, pur provando rimorso per aver imprigionato San Giovanni Battista, non si pentì e continuò con i suoi piani, arrivando persino a giustiziare la voce che gridava nel deserto (Gv 1, 23).

֍ Il dolore che deriva dal fare il bene ha origine nell’Afflizione, quell’azione dello Spirito Santo che ci spinge con forza a fare il massimo bene possibile al prossimo, il modo più appropriato per avvicinarlo a Cristo, mentre noi, come il Battista, dobbiamo diminuire affinché Egli cresca (Gv 3, 30). È un vero contagio dell’amore che Dio prova per noi e lo porta a donare ciò che è più intimo, più prezioso: la vita del Suo stesso Figlio.

Questo è l’amore che muove i cuori, l’amore dell’apostolo che non ha paura di diminuire affinché gli altri possano assaporare un po’ dell’amore incondizionato delle Persone Divine. Un caso molto conosciuto è quello di Santa Teresa di Calcutta, la cui festa abbiamo celebrato qualche giorno fa. Un sacerdote indiano mi ha raccontato il seguente episodio della sua vita:

Poco dopo che Madre Teresa aveva preso possesso di una casa accanto a un tempio indù a Calcutta, dove si prendeva cura dei bisognosi e dei moribondi, alcune persone si lamentarono e l’accusarono di proselitismo. Volevano che venisse sfrattata e si rivolsero alla polizia. Quando un ispettore di polizia di alto rango si recò alla casa per vedere la situazione, rimase sopraffatto e inorridito. L’agente rimase impressionato dall’amorevole cura prestata alle persone più infelici e terrorizzato dal terribile fetore di malattia e morte. Tornò dai critici e disse loro che avrebbe sfrattato Madre Teresa se fossero stati disposti a subentrare nel suo lavoro. Non si udirono altre critiche. Non erano disposti a svuotarsi di sé stessi come lei.

֍ La sofferenza innocente è legata a quella precedente, ma spesso ciò che risalta è il fatto che la persona innocente non abbia compiuto alcuna azione o pronunciato una parola che possa essere interpretata come causa scatenante di quel dolore. Chi è disposto a portare quella croce non solo rende una testimonianza sublime, ma, come dice il Vangelo di oggi, condividendo la croce con Cristo, collabora affinché  tutti coloro che lo conoscono possano avere la vita eterna. È così che diventiamo corredentori.

Questo è ciò che fece la nostra Madre Maria, soprattutto sul Calvario. Il Venerabile Arcivescovo Fulton Sheen (1895-1979) scrisse in Calvary and the Mass (Il Calvario e la messa):

Avete mai notato che praticamente tutte le rappresentazioni tradizionali della crocifissione mostrano sempre Maddalena inginocchiata ai piedi del crocifisso? Ma non avete mai visto un’immagine della Beata Vergine prostrata. Giovanni era lì, e nel suo Vangelo ci dice che rimase in piedi. La vide in piedi. Ma perché stava in piedi? Stava in piedi per servirci. Stava in piedi per essere la nostra ministra, nostra Madre.

Soprattutto, ci insegna a contemplare il volto di suo Figlio, e quindi ad assorbire il suo modo di perdonare, di tacere, di soffrire ingiustamente senza vantarci della nostra sofferenza.

In effetti, la maggior parte di noi è disposta a fare del bene, a servire la Chiesa e i poveri, a sacrificare il proprio tempo per prendersi cura degli altri, ma pochi di noi sono disposti a soffrire indirettamente e in silenzio per gli altri. Il più delle volte, ci difendiamo quando crediamo di essere innocenti. Il nostro orgoglio non ci permette di soffrire ingiustamente. E non possiamo immaginare che tale sofferenza sia veramente redentrice.

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In noi, tutti e TRE i tipi di dolore si manifestano prima o poi, a volte simultaneamente, perché siamo peccatori, abbiamo tratti di generosità e, in certe occasioni, la nostra intenzione è veramente innocente.

Chi vede soffrire gli innocenti può provare ribellione, a volte profonda desolazione e pessimismo, ma, contemplando Cristo sulla Croce, lo sguardo del Padre giunge immediatamente al nostro cuore, la certezza che lo Spirito Santo raccoglie ogni lacrima. Come dice il Salmo 55: “I passi del mio vagare tu li hai contati, le mie lacrime nell’otre tuo raccogli; non sono forse scritte nel tuo libro?”

Gesù stesso ha promesso che l’afflizione si trasformerà in gioia (Giovanni 16, 20), e Apocalisse 21, 4 ci assicura che Dio asciugherà ogni lacrima. Questo avviene in diversi modi:

* La pace che il discepolo riceve in mezzo al dolore, non perché diventi insensibile, né come una sorta di ricompensa, ma perché sente che la morte non ha l’ultima parola ed è certo che, ancora una volta, la Provvidenza lo sorprenderà.

* Gli accade come a Gesù, che in mezzo a tutte le sue sofferenze, riuscì a preoccuparsi più di noi che di sé stesso. Consolò persino le donne di Gerusalemme e il buon ladrone sulla croce, e, nell’ultimo respiro, si ricordò di sua madre e chiese a san Giovanni di prendersi cura di lei. Era sicuro che Maria e Giovanni, pur essendo testimoni impotenti della sua Passione, stessero ricevendo quella grazia riservata agli innocenti: commuovere i cuori di tutti, come accade a noi quando vediamo un bambino malato, una vittima di calunnia o un morente dare il consiglio migliore a qualcuno che ama.

* Infine, e al di sopra di tutto, il compimento dopo questa vita, e in larga misura anche ora, della promessa di Gesù agli innocenti, cioè, a coloro che hanno intenzioni pure: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio. Questa purezza di cuore è una grazia che dobbiamo accogliere con impegno, e Cristo stesso ci indica la via per farlo: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 18, 3).

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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis CASASUS

Presidente