Vangelo e riflessione

Dio Padre e l’epigenetica | Vangelo del giorno, 28 dicembre

By 24 Dicembre, 2025Dicembre 25th, 2025No Comments

Vangelo secondo San Matteo 2,13-15.19-23
I Magi erano appena partiti, quando un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre, fuggi in Egitto e resta là finché non ti avvertirò: Erode infatti vuole cercare il bambino per ucciderlo». Egli si alzò, nella notte, prese il bambino e sua madre e si rifugiò in Egitto, dove rimase fino alla morte di Erode, perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: «Dall’Egitto ho chiamato mio figlio».
Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».

Dio Padre e l’epigenetica

Luis CASASUS Presidente delle Missionarie e dei Missionari Identes

Roma, 28 dicembre 2025 | La Sacra Famiglia

Siracide 3, 2-6.12-14; Lett.Colossesi 3, 12-21; Matteo 2, 13-15.19-23

Le tre Letture di oggi parlano della famiglia sotto prospettive diverse. L’Ecclesiastico (o Siracide), scritto due secoli prima di Cristo, ci istruisce sull’obbedienza e la pietà filiale; La Lettera ai Colossesi, composta in carcere, cerca di liberarli dall’influenza di certe filosofie, misticismo e riti che disgregavano le comunità; infine, il Vangelo di Matteo racconta le tribolazioni della Sacra Famiglia.

Certamente, anche con le migliori intenzioni, esiste il rischio che per noi queste Letture abbiano solo un valore emotivo e storico… il che sarebbe già qualcosa. Ma, nonostante (o grazie a) la diversità delle circostanze in cui furono scritte, oggi esse cercano di evidenziare l’importanza della famiglia, di cui tutti conosciamo le difficoltà e le tribolazioni attuali. Siamo invitati a riflettere sul suo ruolo centrale nella vita umana e dobbiamo farlo con ampiezza di visione.

Senza dubbio, la chiave ci viene data da Cristo nel confessarsi Figlio, nel riferirsi continuamente a suo Padre e nel venire in questo mondo in una Famiglia che riconosciamo come Sacra.

Oggi, anche la scienza conferma e rivela, con maggiore enfasi rispetto a qualche anno fa, la funzione essenziale dei genitori nella vita di un figlio. Non si tratta solo di metterli al mondo, nutrirli o educarli. Recentemente, la disciplina nota come Epigenetica sta svelando come tutto ciò che ci circonda, specialmente per il bambino non ancora nato e il neonato, abbia un effetto decisivo sulla nostra vita. In greco, epi significa “sopra, fuori da, intorno a” e, come è noto, genetica si riferisce ai geni, le migliaia di segmenti di DNA che ci rendono una persona unica.

Per esempio, per comprendere l’importanza dell’influenza (consapevole o meno) dei genitori, soprattutto della madre, sappiamo che la fase più importante per lo sviluppo del cervello va dall’utero fino al primo anno di vita. È stato stimato che questa rapida crescita del cervello e dei suoi circuiti avvenga a una velocità sorprendente: tra le 700 e le 1000 connessioni sinaptiche al secondo durante questo periodo. In tutto questo, e in molto altro, interviene la presenza amorevole o l’assenza amara dei genitori.

Vi sono sempre più prove provenienti dai campi della psicologia dello sviluppo, della neurobiologia e degli studi epigenetici che dimostrano come l’abbandono, l’incoerenza genitoriale e la mancanza d’amore possano causare problemi di salute mentale a lungo termine, oltre a una riduzione del potenziale generale e della felicità. Molte prove in varie discipline supportano questa affermazione e mostrano che il sostegno ai neonati e ai loro genitori durante i primi due anni di vita è un obiettivo cruciale per i gruppi di salute pubblica della comunità.

Esistono effetti sorprendenti (chiamati cambiamenti nella metilazione) nel cervello dei topi che ora sono stati osservati anche negli esseri umani. Così, studi condotti sul cervello di persone che si sono suicidate e che hanno subito abusi durante l’infanzia mostrano gli stessi schemi chimici dei topi “trascurati” dalle madri.

Certamente, negli esseri umani, questo va molto oltre. È vero, infatti, che la fede si trasmette in molti modi, almeno come apertura del cuore, cosa che difficilmente avviene, o non si realizza allo stesso modo, se è mancato l’amore materno e paterno nell’infanzia. In molti ambiti della nostra vita, come l’arrivo in questo mondo o la vivenza della fede, Dio non ha voluto agire da solo, ma piuttosto con il nostro umile aiuto.

Quando il nostro padre Fondatore ci dice che l’avanzamento nella santità (o nella perfezione, o nella vita piena, che sono sinonimi) equivale a crescere nella coscienza filiale, NON si riferisce solo al fatto di comprendere la nostra origine, ma al risvegliarsi di tutti i legami che ci uniscono a Dio e al prossimo, indipendentemente dal nostro credo, dalla nostra fedeltà o dalla nostra generosità. L’esperienza filiale con i nostri genitori ci prepara a questo cammino di pienezza, nel quale “dare la vita” non è solo un atto eroico, bensì l’unico modo per raggiungere una libertà e una serenità a cui non si può arrivare con mezzi individualistici, come possono essere i successi o i piaceri mondani di qualunque categoria. Per questo Gesù dichiara: In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna (Gv 12, 24-25).

In qualche modo, questo lo intuivano coloro che vissero prima di Cristo. All’epoca in cui fu scritto il Libro del Siracide, si iniziava appena a credere nella vita eterna; si parlava piuttosto di una “vita lunga”, come quella di Abramo, cosa che viene espressamente menzionata in questa Prima Lettura, come premio per chi onora il proprio padre: Chi onora il padre avrà lunga vita.

L’attenzione verso i figli può essere a volte una manifestazione di amore possessivo, ma l’attenzione verso i nonni, soprattutto quando hanno bisogno di tutto, non può mai essere fraintesa: è una lezione di vita incomparabile. I figli, lo sappiamo, imparano più con gli occhi che con le orecchie. Vedono e non dimenticano il comportamento dei loro genitori verso i nonni.

Il Libro dell’Ecclesiastico (Siracide) pone inoltre la filiazione vissuta in pienezza ad un livello così alto che essa ottiene persino la remissione dei peccati:

Chi onora il padre espia i peccati, chi onora sua madre è come chi accumula tesori (…) La carità verso il padre non sarà dimenticata, servirà a scontare i tuoi peccati.

Ancora di più, nel versetto immediatamente precedente alla Lettura di oggi, leggiamo: Figli, ascoltatemi, sono vostro padre, fate così per essere salvati (Sir 3, 1).

Quella salvezza che il Siracide vedeva a modo suo, noi sappiamo che inizia ora, nell’essere salvati da una vita rachitica e senza senso.

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Il racconto evangelico di oggi include la fuga in Egitto e il ritorno in Israele, due momenti indubbiamente difficili per la Sacra Famiglia, che comportarono l’abbandono di molte sicurezze e abitudini di vita, incontrando nuove difficoltà, come il maltrattamento subito dai giudei in Egitto. Tutto ciò ci viene offerto oggi per la nostra meditazione, affinché comprendiamo come la convivenza fraterna sia possibile, se siamo fedeli, in mezzo a imprevisti, insicurezze, stanchezza e differenze di sensibilità.

Qual è il segreto di Gesù, Maria e Giuseppe? Non solo la buona volontà, ma anche– come vediamo in San Giuseppe – cercare la volontà di Dio giorno e notte, nella contemplazione di tutto (compresi i sogni) e nel volto di coloro che gli stanno accanto.

Oggi, San Paolo riassume il modo di comportarsi di una comunità, quando è consapevole che Dio stesso l’ha radunata:

Scelti da Dio, santi e amati, rivestitevi di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di magnanimità, sopportandovi a vicenda e perdonandovi gli uni gli altri, se qualcuno avesse di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi. Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione.

Nelle difficoltà della convivenza, invece di vivere lo Spirito Evangelico e contrariamente al desiderio di Gesù, si verificano spesso le seguenti reazioni istintive quando ci sentiamo offesi:

  • Aggressione verbale, sottolineando i difetti dell’altra persona con grida, insulti o rimproveri.
  • Isolamento, cercando di non salutare, rifugiandosi negli obblighi personali ed evitando quasi ogni conversazione. Tanto meno, interessarsi alle preoccupazioni, alla salute o al lavoro dell’altra persona. Questo atteggiamento è solitamente accompagnato da questa vergognosa giustificazione: “È meglio così, per evitare mali maggiori”.
  • Non chiedere perdono per nessun errore o disturbo causato, lieve o grave che sia.
  • Per paura o sottomissione, accettare l’aggressione senza metterla in discussione.
  • Restare bloccati, senza capacità emotiva di rispondere.

In sintesi, le reazioni istintive di fronte a ciò che consideriamo un’aggressione nella comunità o nella famiglia tendono a oscillare tra difesa, silenzio, fuga o sottomissione; tutte reazioni comprensibili ma insufficienti a risolvere il conflitto e, men che meno, per dare la testimonianza che Gesù si aspetta dai suoi discepoli. Tutto questo porta a una dolorosa separazione, in diverse forme, e certamente si riflette nelle relazioni di quella famiglia o comunità con il resto del mondo, rendendo il gruppo per nulla attraente, indipendentemente dalle sue credenze, idee o attività.

L’atteggiamento adeguato, conforme allo Spirito Evangelico, non può essere improvvisato; nasce solo da una preghiera continua che si riassume nel desiderio di essere ambasciatori di Cristo, come disse anche San Paolo (2Cor 5, 20). Per questo, oggi ci consiglia: Qualunque cosa facciate, in parole e in opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie per mezzo di lui a Dio Padre.

È San Paolo colui che contrappone più chiaramente i valori “di Adamo” a quelli di Cristo. E la verità è che le difficoltà, le crisi, gli ostacoli affrontati in comunione e nel nome di Cristo, generano paradossalmente ancora più unità e, con la grazia, si può trasformare la peggiore situazione in un’occasione per testimoniare la presenza divina.

Un esempio spettacolare, che è però modello di ciò che ci accade se siamo fedeli, è la storia di Paolo e Sila in Atti 16, 25-26, quando cantavano inni in prigione e la loro testimonianza aprì i cuori, provocando persino l’intervento divino, con un terremoto che sciolse le loro catene e ottenne la conversione del carceriere e di tutta la sua famiglia. La prigione si trasformò certamente in un tempio.

È la grazia del Battesimo che rende possibile tutto ciò, come dice San Paolo, poiché quel sacramento ci riveste dell’uomo nuovo.

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Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,

Luis CASASUS

Presidente