di p. Luis Casasús, Superiore Generale dei Missionari Identes
Commento al Vangelo del 25 febbraio 2018, II Domenica di Quaresima (Genesi 22,1-2.9a.10-13.15-18; Romani 8, 31b-34; Marco 9, 2-10).
1. Il potere di un tocco. In Svezia, una donna rimase immobilizzata sotto un tram. Era seriamente ferita e sanguinava molto. Una folla si riunì intorno a lei. Cercarono di muovere il tram, ma era troppo pesante. Non si poteva fare altro che sperare che arrivasse una gru. Stava soffrendo molto. Perdeva rapidamente sangue. Improvvisamente, un giovane si staccò dalla folla e si infilò sotto il tram. Prese la mano della donna e le disse: Afferri la mia mano con forza fino a che arrivi l’aiuto. Sostenendo la sua mano, ella si calmò e non entrò in stato di shock. La perdita di sangue diminuì. Infine, dopo che fu liberata, disse: Non avrei mai immaginato che il tocco di una mano potesse significare tanto.
Esistono molte esperienze simili. Un ex-pompiere raccontava le prove affrontate spesso negli incendi di abitazioni. C’erano momenti in cui arrivavano sul posto e trovavano persone in stato grave, spesso in stato di shock. Ma quello che scoprirono fu che se si sedevano in silenzio vicino alla vittima e la toccavano delicatamente mentre parlavano con lei, subito la persona si calmava e si consolava con quel semplice tocco.
La versione di Matteo del vangelo di oggi dice che Gesù si avvicinò e toccatili disse: Alzatevi e non temete. Ma ricordiamo anche Gesù quando tocca il lebbroso, o la donna con emorragia che cerca di essere toccata da Gesù. E ricordiamo alla fine del nostro esame ascetico-mistico settimanale la condivisione del Tocco Carismatico. Qual è il significato spirituale di un tocco? Qual è il tocco della grazia?
In primo luogo, semplicità. Non abbiamo bisogno di parole o argomenti. Non abbiamo bisogno di meditare né di capire immediatamente. Ma l’impressione è chiara: non sono lo stesso; qualcosa è successo nella mia vita in questo stesso momento. Quando si elogia un’opera d’arte per la sua semplicità, vogliamo dire che riesce ad ottenere una ricchezza di significato e forma in una struttura generale, in un modo che definisce chiaramente il posto e la funzione di ogni dettaglio nel tutto. Forse non è facile descrivere come, dopo alcuni minuti, la mia visione, i miei desideri, il mio punto di vista e le mie intenzioni non sono le stesse; ma quello che è chiaro è la direzione che la mia vita deve seguire ora. E dobbiamo esprimerlo in termini molto precisi, perché dobbiamo visualizzarlo e verbalizzarlo ed abbiamo bisogno anche dell’aiuto e dell’orazione dei nostri fratelli. È molto simile ad una barca che si dispone a seguire una nuova rotta.
In secondo luogo, vicinanza. Essenzialmente, si tratta del compimento della promessa di Gesù: Dove due o più di voi sono riuniti nel mio nome, io sarò lì. Questo tocco non è un cambiamento psicologico vago, come “mi sento animato”, bensì una coscienza rinnovata della sua presenza e della sua partecipazione attiva nelle nostre vite.
Si racconta di un bambino che stava facendo volare un aquilone. L’aquilone era tanto alto che era sparito dietro le nuvole. Un uomo venne e domandò: Perché sei attaccato a questa corda? Il ragazzo disse: Ho un aquilone lassù. L’uomo alzò gli occhi e disse: Non lo vedo. Il bambino rispose: Certo, ma io so che è lì perché posso sentire lo strattone.
Questo è quello che lo Spirito di Dio fa per noi. Può succedere che non vediamo sempre l’evidenza che siamo figli di Dio, ma sentiremo continuamente il suo strattone nei nostri cuori che ci ricorda che gli apparteniamo, o almeno, che non possiamo camminare da soli.
Ovviamente, questa semplicità e vicinanza hanno l’effetto immediato di eliminare la nostra paura, così come successe a Pietro Giacomo e Giovanni sulla montagna. Ci sentiamo pronti a ritornare alla valle, anche se non possiamo capire completamente quello che significa risorgere dai morti. Temiamo la morte, la sofferenza ed il rifiuto e, pertanto, ci auto-proteggiamo e facciamo quello che possiamo per proteggere i nostri interessi. Siamo disperati per essere accettati e riconosciuti, per cui il peccato di vanità ed orgoglio ci porta a fare qualunque cosa per guadagnare elogi. Siamo chiamati a vincere la paura della morte che è la causa di tutti i peccati: Tutti i peccati sorgono dalla paura della morte. Il pungiglione della morte è il peccato, e la forza del peccato è la legge ( 1 Cor 15, 56 ).
Questa è l’esperienza di San Paolo nella seconda lettura di oggi: Fratelli e sorelle: Se Dio è con noi chi può essere contro noi? Nella Trasfigurazione, Cristo non manifesta ai suoi discepoli solamente che la croce è il Suo futuro e il loro; ma mostra loro anche quello che c’è dall’altro lato della croce: resurrezione e nuova vita.
Abbiamo bisogno di qualcosa di più? Chiediamo altri miracoli, segni e prodigi?
Che cosa dice Gesù sulla croce a nostro Padre? Non gli chiede una spiegazione di come superare l’orrore della crocifissione. Semplicemente gli dice: Metto il mio spirito nelle tue mani. Queste parole sono un’orazione di tocco. Di fatto, questa forma di rinnegamento è il culmine dell’orazione, come possiamo vedere nel nostro esame ascetico, l’ultimo punto dell’orazione ascetica non è il Raccoglimento o la Quiete, bensì lil Rinnegamento di me stesso. In un certo senso, il rinnegamento significa anche non confidare sui miei talenti, sulle mie virtù o capacità, bensì sullo Spirito del Vangelo, come il nostro Padre Fondatore ci insegnò.
2. Obbedienza. Ecco qui la parola tanto temuta dalla gente moderna, tanto dai credenti come dagli increduli. Non è facile capire il valore dell’obbedienza in un mondo che promuove un individualismo radicale ed una tolleranza superficiale e senza impegno. Ma dobbiamo ricordare che il nostro Padre Fondatore diede alla Povertà, Castità ed Obbedienza il nome di tre gradi di libertà.
Credo che questa metafora del mondo della Fisica sia particolarmente appropriata, perché i Consigli Evangelici rappresentano una nuova dimensione della nostra libertà, qualcosa che non può essere compreso, a meno che accettiamo questi Consigli senza vacillazione, né condizione, sempre ed immediatamente. Questo è rilevante perché, come tutti sappiamo, la libertà è il segno più visibile e il marchio di un vero stato di orazione.
La prima lettura ci dice che Abramo sarà provato. Notiamo che quando Dio lo chiama per nome, Abramo risponde: Eccomi. Era disposto ad ascoltare Dio e pronto all’azione. Dio prova per confermare e fortificare. Questa prova non ha niente a che vedere con la tentazione. A volte, la prova suprema della nostra fede sarà obbedire a Dio al di sopra di qualcosa che abbiamo vissuto ed accarezzato durante tutta la nostra vita. A volte implicherà qualcosa che potrebbe sembrare assurdo e ridicolo per tutti gli altri.
Tuttavia, la cosa più importante non è il fatto di riuscire ad obbedire, bensì la risposta specifica e genuina di Dio: Abramo fece quello che Dio gli richiedeva e fu benedetto per la sua obbedienza.
Quando Abramo dimostrò che era disposto a seguire tutta la strada nella sua obbedienza a Dio, il Signore diede una soluzione alla sua crisi: quello che doni a Dio Egli lo sostituisce con qualcosa di molto più prezioso: Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Tu ed io abbiamo esperienza, benché limitata, di questa risposta divina. Essenzialmente, abbiamo concesso fertilità, nuovi frutti nella nostra umile missione: tutte le nazioni ti chiameranno beato (Deut 28: 1).
Può essere che la sua risposta sia portarmi a fare un piccolo passo, per il quale mi sento magari un poco scettico, però sempre se mettiamo sempre Dio al primo posto, ci porterà per strade insospettate, (questa frase è di un Fratello Marista del quale fui alunno). Ci concederà i desideri che stanno nel nostro cuore…e che neanche conosciamo e metterà in noi sogni che da noi stessi non possiamo concepire.
Essere obbediente è compiacere la persona alla quale obbediamo: Ed ecco una voce dal cielo che disse: «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». (Mt 3, 17). Semplicemente non possiamo piacere di più a Dio se non obbedendo a lui prontamente e diligentemente in ogni dettaglio. Dobbiamo essere diligenti; invece ci mettiamo a giudicare la volontà di Dio, disprezzando le piccole cose che mi chiede fare in ogni istante: non fare quella telefonata; saluta quella persona; alzati a servire a tavola anche se non è il tuo turno,….
Non siamo obbedienti alle leggi di Dio perché abbiamo separato queste leggi dalla persona di Dio. In questo modo, le leggi diventano un ente isolato, con esistenza propria, lontane dalla vita, dure e pesanti.
Di fatto, di fronte agli altri, sembra che stiamo servendo, ma in realtà, stiamo vivendo esattamente l’opposto a quello che predichiamo. Parliamo di essere obbedienti a Dio ed ai superiori, ma non conosciamo altra autorità che noi stessi.
Cristo cura una perfetta unità col Padre. Tale unità si stabilisce sulla base della sua perfetta obbedienza; il suo cibo e bevanda è obbedire alla volontà di Dio e fare quello che è gradito al Padre suo e Padre nostro. Sì; visse la sua filiazione in obbedienza al Padre: Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, reso perfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono (Eb 5, 8-9)