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Santo

Santa Paola Elisabetta Cerioli, 24 dicembre

By 23 Dicembre, 2024No Comments

“La sua vita rende evidente la supremazia dell’amore, fonte di grazia e di virtù che si nutrì nell’avversità, Sposata con un uomo anziano, perse lui e i suoi figli. Fu una madre per gli orfani che accolse nel suo palazzo”.

La fortezza di un essere umano si misura specialmente nella disgrazia. Costanza Cerioli lo dimostrò abbondantemente. La sua particolare tragedia, neutralizzata dalla sua incondizionata donazione a Dio, si trasformò in balsamo per gli svantaggiati. Fu condotta alla vita religiosa dopo drammatiche esperienze personali di sofferenza, sebbene il dolore fu per lei albero fecondo.   

  

Nacque il 28 gennaio 1816, a Soncino (Cremona, Italia) con una costituzione tanto debole che i suoi genitori, i nobili e ricchi Francesco Cerioli e Francesca Corniani che avevano già una numerosa prole, pregarono che le fosse amministrato immediatamente il battesimo, temendo che potesse morire. Ma Costanza sopravvisse, benché la sua salute fosse fragile per il resto della sua vita. Si formò insieme alle Sorelle della Visitazione di Alzano Maggiore (Bergamo) fino ai 16 anni. Ai 19, un’età nella quale tanti giovani sognano un futuro felice, dovette sposarsi per un accordo dei suoi genitori che l’avevano contrattato così, con Gaetano Busecchi che sfiorava i 60 -quasi un anziano per l’epoca- ed era il ricco erede dei conti Tassis di Comonte di Seriate (Bergamo).     

Non è difficile immaginare lo scenario nel quale si districarono quasi venti anni della sua vita con un matrimonio contratto senza amore e con quello sfasamento opprimente di età ed esperienza tra suo marito e lei. Ma accettò il suo destino con la dignità propria della sua nobile condizione, credendo che nella volontà paterna era contenuta quella divina, protetta dai profondi principi di fede e virtù che le avevano inculcato. Da questa unione nacquero quattro rampolli. I tre primi figli morirono appena nati. E se dolorose furono queste successive perdite, ancor di più lo fu quella del quarto figlio, Carlo, che sopravvisse fino ai 16 anni. Alcuni mesi più tardi morì suo marito, e Costanza sprofondò nel più profondo dolore. Aveva 38 anni ed era erede di una grande fortuna, ma il suo cuore soffriva afflitto da un tale cumulo di disgrazie. Il suo sostegno furono i prelati di Bergamo che l’aiutarono ad afferrarsi alla fede. “Non so –avrebbe riconosciuto più tardi- come ho potuto sopravvivere, fragile e provata com’ero.”    

Era maturata a colpi di intensa sofferenza e voltò gli occhi verso la Vergine Madre dei Dolori. Commossa nel meditare su di essi, in un’occasione l’angoscia sofferta fu di tale grado che stette per cadere svenuta. Trasformò il suo palazzo in un rifugio per i bisognosi, abbandonati ed orfani che soccorse esercitando con essi un apostolato ricolmo di quelle tenerezze che la vita le aveva impedito di dispensare a quelli dal suo sangue. Primo, cominciò con due orfane, ma subito andò incrementandosi il numero di quelli accolti. Glielo aveva vaticinato suo figlio Carlo quando sul punto di morire le disse: “Non piangere per la mia prossima morte, mamma, perché Dio ti darà molti altri figli”. Quella casa fu un’altra Casetta di Nazareth dove poté dare a tanti cuori maltrattati il riparo che non ebbero mai, e soccorrerli nelle loro molteplici necessità.     

Prese come modello la Sacra Famiglia. Ella, insieme al suo amore per la Santissima Trinità e per la Vergine dei Dolori, sostentò le sue attività marcate dalla carità, fiducia in Dio, pietà, umiltà ed obbedienza, virtù plasmate nell’esercizio concreto della sua spirituale maternità con gli svantaggiati. Il seme germogliò nel suo palazzo attraverso i bambini che accolse, e fu l’origine della fondazione delle Sorelle della Sacra Famiglia a cui diede impulso con l’accettazione di altre sei donne che a lei si unirono nel 1857. Volle che tutti vivessero l’esperienza della coscienza filiale.   

Come religiosa prese il nome di Paola Elisabetta. Fu fondatrice, ugualmente, dei Fratelli della Sacra Famiglia, diretta all’assistenza dei contadini poveri. Nel 1863, superando numerosi contrattempi, aprì la prima casa destinata ai figli di questi in uno dei possedimenti che aveva a Villacampagna (Cremona). A questa casa seguirono la creazione di scuole e collegi nei quali si dava ai piccoli una formazione umana e spirituale. La santa tenne sempre in conto il valore della famiglia per il progresso della società.     

Nei suoi scritti spirituali si riflette il suo anelito di conquistare la santità, la coscienza della sua piccolezza… Così nel maggio del 1864 annotava: “Sì, Dio mio, sarò umile di cuore; lo so, perché Tu mi illumini, che io non ho la virtù né il talento, né meriti; ma l’umiltà riempirà quel vuoto davanti a Te di meriti, talento e virtù; compenserà le mie carenze. Sarò umile, ed umile in tutto; nelle mie parole, non parlando mai di me, se non con gran circospezione; umile nei miei sentimenti, umile nelle mie azioni, umile nella mia condotta, ma soprattutto umile per imitare il Tuo esempio, per meritare la Tua grazia, per entrare nel Tuo cuore, trovare un posto in esso che sia per sempre il mio soggiorno”. Nell’agosto del 1865, quando mancavano alcuni mesi per la sua morte, si percepisce che continuava a mantenere vivi questi sentimenti che plasmava per iscritto: “Evitare le parole non necessarie, non sprecare il tempo, non cercare la mia comodità.”   

Ma Dio giudicò che aveva già compiuto la sua missione e questa donna che aveva sofferto tanto umanamente, gli consegnava la sua anima a Comonte, a 49 anni, il 24 dicembre 1865. 

Pio XII la beatificò il 19 marzo 1950. E Giovanni Paolo II la canonizzò il 16 maggio 2004.  

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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