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Santo

Santa Battista (Camilla)da Varano , 31 maggio

By 30 Maggio, 2024No Comments

“La Passione di Cristo: unica ragione, alimento e luce di vita per questa santa, che attraversò la gioventù sedotta dai piaceri mondani fino a che si convertì. Si fece offerta supplicando per la riconciliazione dentro la Chiesa”.

Si donò generosamente a Cristo dopo avere sperimentato i piaceri mondani che facevano parte della classe sociale alla quale apparteneva. Nacque a Camerino, Macerata, Italia, il 9 aprile 1458. Benché fosse figlia illegittima del principe Giulio Cesare di Varano e di Cecchina di Mastro Giacomo, non le mancò l’affetto di suo padre e di sua moglie Giovanna Malatesta. Fino a che arrivò il momento della sua conversione, questa donna sveglia ed intelligente ricevette una solida formazione conforme ai canoni rinascimentali. Ciò includeva la conoscenza della letteratura classica ed il dominio del latino. Imparò a dipingere, dominava i giochi di tavolo, e non si privò dei balli di salone frequentati da persone del suo lignaggio.

Spiritualmente, quando aveva circa 10 anni il suo innocente cuore rimase incendiato dalle parole che sentì pronunciare da Domenico da Leonessa. Allora elevò a voto l’abitudine di meditare tutti i venerdì sulla Passione di Cristo e di versare qualche lacrima per Lui, come gli suggerì il buon frate. Mantenne fedelmente questa promessa: “Per virtù dello Spirito Santo, quella santa parola rimase stampata in tale maniera nel mio tenero ed infantile cuore che non se ne andò mai più dal cuore, né della memoria”. Frate Pacifico dà Urbino, altro insigne francescano, l’incoraggiò a perseverare in questa pia pratica. Ma a 18 anni rimase stregata dalle futilità. Pesarono nel suo animo le ansie di vivere e di divertirsi, rimanendo immersa nel fulgore della corte nel quale determinati comportamenti scandalosi non si consideravano tali. “Tutto il tempo – ricordò in modo retrospettivo – lo passavo in serenate, balli, passeggiate, in vanità ed altre cose giovanili e mondane che da queste seguono”. Poi aggiungeva: “Beata quella creatura che per nessuna tentazione lascia il bene cominciato”. Lo diceva per esperienza, perché fino ai 21 anni si dibatté tra grandi lotte spirituali.

Ancora sedotta dai piaceri, un persistente impulso interiore l’invitava a seguire Dio. Nella Quaresima del 1479 sperimentò la grazia di comprendere il dono della verginità e l’appello alla vita consacrata. Scelse il convento di Santa Chiara, ma comunicando questa decisione a suo padre non ricevette il suo beneplacito. Ferma nel suo proposito, due anni più tardi riuscì a vincere l’ostinazione paterna e poté entrare nel monastero di Urbino. Lì prese il nome di Battista, inusuale per una donna in quell’epoca.

Il principe, accettando che inevitabilmente non potrebbe sposarla con qualcuno di adeguata ascendenza, né provvederla di una vita piena di ricchezze, come aveva sognato, assecondò il desiderio di sua figlia restaurando ed ampliando il monastero di Santa Maria Nuova. Dovette pensare che era la migliore dote che poteva offrirle senza che lei che aveva scelto la povertà francescana potesse rifiutarla. Inoltre, il convento era ubicato vicino ai suoi possedimenti il che aveva emozionalmente il suo valore per lui, poiché almeno l’avrebbe tenuta nel suo ambiente. In questo posto si trasferì Camilla nel 1484, dopo avere professato, insieme ad otto religiose. Durante il suo soggiorno, per indicazione del suo confessore Antonio di Segovia, redasse diversi trattati in mezzo alle numerose grazie e favori celestiali che ricevette; tra essi si trova La purezza del cuore.

Passò attraverso tappe di grande aridità che espose minuziosamente nella sua opera Vita spirituale. Quelle esperienze furono forgiando la sua inarrestabile salita spirituale segnata dalle rinunce, in mezzo alle quali offrì il suo amore a Dio senza misurare sforzi. Era il segno di una vita ascetica impeccabile che aveva come supporti, insieme all’Eucaristia ed all’orazione continua, questa aspirazione: “entrare nel Sacro Cuore di Gesù ed annegare nell’oceano delle sue dolorose sofferenze”. In quel tempo la Chiesa tremava per l’impatto che le tesi luterane stavano avendo in Germania. Parallelamente, la negligenza, origine di tanti eccessi, si era impadronita dello spirito di molti preti. E Camilla si affliggeva vedendo vacillare le fondamenta dell’unità. Per questo motivo, nella sua orazione e donazione includeva specificamente l’intenzione di ottenere da Cristo la grazia della conversione e, con essa, la riconciliazione dentro la Chiesa.

Nel suo cuore riviveva il suo amore per il Redentore, supplicando: “fa’ che io ti restituisca amore per amore, sangue per sangue, vita per vita”. Presto le si presentò l’occasione di compiere tanto fervente desiderio. Nel 1501 si scatenò una terrificante tragedia familiare. Alessandro VI  diede la scomunica al principe di Varano e lo privò dei suoi diritti. Al tempo stesso, rasero al suolo Camerino ed assassinarono il padre e tre fratelli di Camilla. Solo uno di essi si salvò dalla morte. La santa, in mezzo al suo dolore, elevò le sue suppliche per loro al cielo e perdonò l’assassino. Il motto della sua vita era: “Fare il bene e soffrire il male, e soffrirlo non soli, bensì con Gesù sulla croce”. L’anno seguente vide con preoccupazione che il massacro di Camerino poteva riprodursi nel convento. E fuggendo dall’assedio dei Borgia che metteva in pericolo la vita delle sue sorelle, partì per Fermo. Non si sciolse l’alto rischio e siccome i signori di Fermo potevano soffrire rappresaglie per averle dato riparo, si diresse ad Atri, Napoli, avendo al suo fianco Isabella Piccolomini Todeschini che era sposata con Matteo de Aguaviva de Aragona.

La morte di papa Borgia le permise di ritornare a Camerino. Poi, coincise che suo fratello Giovanni, l’unico sopravvissuto all’assalto, fu nominato capo di stato della città dal papa Giulio II. Questo pontefice nel 1505 affidò a Camilla la fondazione di un nuovo monastero a Fermo. Poi ella ne aprì un altro a San Severino Marche occupandosi anche di formare le monache. Di ambedue fu rieletta badessa in diverse occasioni. La sua vita si spense il 31 maggio 1524 in conseguenza della peste che si scatenò a Camerino. Aveva 66 anni, 43 dei quali trascorsi nell’intimità del chiostro.

Gregorio XVI la beatificò il 7 aprile 1843. Benedetto XVI la canonizzò il 17 ottobre 2010.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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