“Curato d’Ars, patrono dei sacerdoti, innamorato dell’Eucarestia e maestro della penitenza. Ricevette, tra gli altri, il dono delle lacrime. Con la sua santità, ancora in vita commosse l’Europa del suo tempo”
Benedetto XVI dichiarò “Anno sacerdotale” il periodo dal giugno 2009 fino allo stesso mese del 2010 mettendo questo mirabile santo come esempio per i presbiteri. Il pontefice fece un panegirico di questo umile curato che arrivò da Ars dicendo: “Dio mio, concedimi la conversione della mia parrocchia; accetto di soffrire tutto quello che vuoi durante tutta la mia vita”, portando il suo anelito fino alla fine. Essere sacerdoti santi è quello che il papa ha voluto ricordare agli ordinati con questa celebrazione commemorativa del 150° anniversario della morte di padre Vianney. La sua commovente traiettoria d’amore lasciò trapelare la sua straordinaria passione per il divino. Fu un apostolo che arrivò al cuore di centinaia di migliaia di persone con la sua virtù, nel silenzio della sua offerta ed abbracciato alla croce, contemplando l’Eucaristia, avvolto in lacrime.
Nacque a Dardilly (Lyon, Francia) l’8 maggio 1786, quando la Rivoluzione cominciava a fare atto di presenza ed il suo influsso era percepito nelle case cattoliche come la sua, il che segnò la sua infanzia. Le pratiche di pietà che tutta la famiglia si vedeva obbligata a realizzare clandestinamente, segnarono anche la sua prima comunione: la ricevette di sera in un pagliaio. Aiutava lavorando nei lavori dei campi e curando il bestiame. Ma voleva essere sacerdote ad ogni costo, e benché suo padre si opponesse, riuscì ad iniziare gli studi. I formatori riconoscevano la sua virtù, ma per quanto riguarda gli studi era un disastro. Scoraggiato e dovendo abbandonare il seminario, chiese l’elemosina per finanziare un pellegrinaggio alla tomba di san Francesco de Regis. Partì di lì con la convinzione che sarebbe diventato sacerdote nonostante la sua limitazione.
A 17 anni, essendo seminarista, evitò di combattere con le truppe di Napoleone per le quali era stato reclutato. Circondato da peripezie, alternando malattia e periodi di convalescenza, finì per seguire un disertore senza saperlo. Sopravvisse quattordici mesi nascosto nelle montagne di Noës usando nomi fittizi fino a che proclamarono l’amnistia, tutto ciò era a conoscenza del sindaco che aveva informato della situazione. Poi, proseguì gli studi a Verrières e Lyón. Persistendo il suo problema di apprendistato del latino, non fu ammesso al seminario. Non l’accolsero neppure i Fratelli delle Scuole Cristiane. Fino a che padre Balley l’aiutò, e Giovanni Maria che non riusciva ad imparare le materie, fu ordinato nel 1815 dal vescovo di Grenoble, senza concludere gli studi. La solitudine nella quale si produsse, solitudine che l’avrebbe accompagnato anche dopo, non intaccò il suo coraggio.
Felice di essere sacerdote, completò la sua formazione con padre Balley, un virtuoso presbitero, diventando il suo vicario a Ecully per un breve periodo, fino a che avvenne la sua morte. Allora fu inviato ad Ars che non aveva parrocchia. La sua esperienza pastorale si era svolta in questa scuola di santità insieme a Balley. Partiva con qualcosa che non si acquisisce in nessun posto: la grazia di volersi trasformarsi ogni giorno in un altro Cristo, anelito che sostenne ogni secondo senza venir mai meno. Nella sua nuova destinazione soffrì e si donò per i peccatori in autentico olocausto, con una vita piagata di penitenze ed austerità, alimentandosi praticamente con l’orazione, poiché appena aveva qualcosa di cui cibarsi.
Di umiltà eroica, in innumerevoli occasioni desiderò poter trovare un posto per andare “a piangere la sua povera vita”. Trovò freddezza e distanza verso la fede nelle genti, ma non tardò a commuoverli con la sua santa condotta. Di notte e di giorno lo videro pregare inginocchiato davanti al Tabernacolo. E l’iniziale curiosità andò via via trasformandosi in ammirazione. Quando officiava la messa era palpabile che lo faceva sapendo che ricordava il sacrificio di Cristo. “Oh, che cosa tanto grande è il sacerdozio! Si capirà bene solo in cielo…. Se si capisse sulla terra, si morirebbe, non di spavento, bensì d’amore”. “Che disgrazia è un sacerdote senza vita interiore!”, diceva.
Nonostante la sua stretta discrezione, cominciò a correre la notizia dei suoi crudeli digiuni e penitenze. Non ebbe il dono della parola, ma quelle che riusciva a proferire erano braci che incendiavano il cuore dei fedeli. Questi ricevevano a piene mani i beni che offriva loro, anche minando gli scarsi risparmi della parrocchia. Si guadagnò tutti con accese suppliche a Dio e costanti sacrifici, abbracciandosi ad una croce che veniva avvolta in diffamazioni e in una campagna di discredito permanente davanti ai suoi superiori. La sua fede era imperturbabile. Si ostinò a mettere ben alti i valori morali del paese, e riuscì in tutto, perfino contro le insidie del diavolo che non lo lasciava in pace.
L’esempio della sua eroica carità e rigorose mortificazioni corse di bocca in bocca per tutti gli angoli, oltrepassando le frontiere di Ars. E cominciarono ad arrivare i pellegrinaggi che presero un andamento insospettato in poco tempo, poiché le testimonianze che rendevano conto della virtù del sacerdote si estesero da Lyon e Belley al resto della Francia e dell’Europa. Persone di ogni condizione, ricchi e poveri, volevano confessarsi da lui. E l’umile confessionale diventò praticamente la sua unica dimora: “Il confessionale è la bara dove mi hanno seppellito mentre ero ancora vivo”, diceva.
Miracolosamente poté sopravvivere per anni alimentandosi appena e senza concedersi il minimo riposo, allenato materialmente alle dure discipline che egli stesso si infliggeva. Ubbidiente, semplice, umile, grato, con gesti significativi come acquistare un ombrello di seta per una signora che l’accolse nella sua casa quando era sconosciuto, col dono di penetrazione degli spiriti e quello delle lacrime, questo grande sacerdote, tenero ed umano, morì il 4 agosto 1859. Aveva dato gloria a Dio ed innalzato con la sua santità il piccolo villaggio di Ars, praticamente sconosciuto fino a che arrivò, e che d’ora in poi sarebbe sopravvissuto vicino al suo nome.
Pio X lo beatificò l’8 gennaio 1905. Pio XI lo canonizzò il 31 maggio 1925, e nel 1928 lo nominò patrono dei parroci.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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