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Santo

San Giovanni Grande Roman, 3 giugno

By 2 Giugno, 2024No Comments
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“Come l’altro san Giovanni di Dio, nel cui ordine entrò, questo umile religioso che scelse di chiamarsi peccatore, perché così si sentiva, ebbe nei malati e negli invalidi la via per esercitare la sua carità negli ospedali che fondò”.

Questo umile santo che prese per soprannome “Giovanni Peccatore” dando gloria a Dio e alla Chiesa con la sua vita, nacque a Carmona, Siviglia, Spagna, il 6 marzo 1546. Cristobal, suo padre, era fabbro e morì quando egli aveva undici anni lasciando la sua famiglia con beni sufficienti per vivere largamente. Sua madre Isabel contrasse nuovo matrimonio con un uomo buono che trattò sempre il ragazzo in modo considerato. Il suo vincolo con la parrocchia di san Pietro come “bambino del coro” aveva già lasciato una certa impronta in lui, benché disistimasse allora la via sacerdotale, come gli proposero.

Passò un periodo di riflessione di quattro anni a Siviglia comprovando che essere negoziante di stoffe non era il suo sogno, nonostante godesse dell’alta stima del proprietario del negozio che avrebbe voluto tenerlo con sé. Sua madre lo reclamò e non volendo staccarsi da questo figlio singolare mise alla sua portata alcuni tessuti affinché li commerciasse per le strade della località, ma tutto fu vano. Nel suo interiore si era andata facendo strada un’inarrestabile vocazione. E non ci pensò molto: abbandonò la sua famiglia, il commercio, e visse ritirato nell’eremo di Santa Olalla, in Marchena, località vicina alla sua città natale, in intensa preghiera dalla quale estrasse la chiara determinazione che avrebbe segnato la sua esistenza.

Non ebbe dubbi che Dio lo chiamava per darsi pienamente a Lui, e dopo avere mendicato per assistere i poveri, rinunciò al matrimonio e si vestì con un’umile abito, adottando come cognome quello di “peccatore” che legò al suo nome. La cura di una coppia di anziani indifesi che trovò in stato di abbandono e che portò nella sua stanza e per i quali chiese l’elemosina, gli fece comprendere che quella era la via apostolica che doveva seguire. Fu l’inizio di una strada disseminata da opere di misericordia.

Dio gli segnalò Jerez de la Frontera per continuare a servire i bisognosi e i malati. Aveva 19 anni quando partì per questa città. E lì Giovanni Peccatore, come l’altro san Giovanni di Dio che in quel momento non conosceva, raccolse nel 1565 i primi malati abbandonati e chiedeva elemosina per ridurre le carenze dei poveri. Nel frattempo, frequentava la chiesa dei padri francescani ricevendo consigli spirituali da uno dei frati. Ed in quel cuore oceanico, forgiato da un’intensa vita di orazione e dalla sua indefettibile fede nella divina Provvidenza, caddero i suggerimenti di uno dei frati che gli segnalava i poveri come oggetto concreto della sua carità. Di modo che Giovanni accolse le donne fuorviate, che collocava in case cristiane, i latitanti, i carcerati della “Prigione Reale”, e qualunque persona bisognosa.

Un giorno gli apparve Cristo piagato e gli indicò il sentiero dei malati. Allora si fece carico di un piccolo ospedale dei Rimedi accogliendo malati convalescenti ed incurabili. Erano tante le necessità che vedeva che volle fondare un altro ospedale, benché le numerose difficoltà che sorsero gli impedirono di concretizzare il progetto ed accettò l’offerta dell’ospedale di Sebastián che gli cedette due infermerie.

Presto Jerez si affezionò a lui vedendo la sua eroica donazione, frutto della sua feconda vita interiore. La sua azione durante l’epidemia del 1574 è memorabile. Angosciato nel vedere tanti malati per le strade senza assistenza, invitò le autorità locali a muoversi con urgenza. E vedendo che non poteva dare risposta a tanta necessità, col consenso della Fraternità di San Giovanni del Laterano, nel 1572 fondò un suo ospedale su un terreno che gli cedettero, con espressa consacrazione a Nostra Signora della Candelaria.

Quell’anno, dato che aveva avuto notizie del lavoro che portava avanti a Granada Giovanni di Dio, visitò l’Istituzione da lui creata e ad essa si unì, accettando le loro regole che applicò nel suo ospedale e che poi ottenne di traferire all’ordine Ospedaliero di San Giovanni di Dio nel quale professò ricevendo l’abito nel 1576. Altrettanto fecero i compagni che l’aiutavano. Da allora estese il suo raggio d’azione benefico ad altre località di Cadice con nuove fondazioni a Medina Sidonia, Puerto di Santa Maria, Sanlúcar di Barrameda, Arcos de la Frontera e Villamartín. Fu un eccezionale maestro di novizi che formava con la parola e la testimonianza: dormiva per terra, era sommamente frugale nel cibo, e dedicava quasi tutte le ore del giorno all’orazione e alla carità. Guariva il corpo e l’anima. A tutti apriva le porte senza ostacoli esercitando in maniera sublime tutte le opere di misericordia.

Ma l’assistenza che si procurava a Jerez per i malati che non avevano risorse lasciava molto a desiderare. Inoltre, le autorità decisero di sopprimere ospedali, tra i quali si trovava anche quello di Giovanni. Ed allora confezionò una relazione precisa (Memoriale) descrivendo l’attività che essi portavano a termine in questi termini: “con diligenza, attenzione e molta carità, facendosi molto buona opera e servizio a Dio nostro Signore, perché egli e i suoi fratelli di abito sono uomini virtuosi e professano questa carità di curare i poveri malati”. Lo redasse ad istanza dell’arcivescovo di Siviglia, cardinale Rodrigo de Castro che preoccupato per questa determinazione delle autorità gli aveva dato quella missione. Con tutto il dolore del suo cuore, e dando segni di virtù, Giovanni Grande affrontò la riduzione ospedaliera prevista, offrendo a Dio le sue contrarietà e sofferenze. Sicuramente lo consolò anche la presenza di sua madre che passò insieme a lui gli ultimi anni della sua vita. Nel 1600 scoppiò a Jerez una virulenta epidemia di peste. Contagiato, il santo morì il 3 giugno di quell’anno, martire della carità.

Pio IX lo beatificò il 13 novembre 1853. Giovanni Paolo II lo canonizzò il 2 giugno 1996. Nel 1986 era stato proclamato patrono della diocesi di Jerez de la Frontera.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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