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Vangelo e riflessione

Pregare sempre senzascoraggiarsi

By 20 Ottobre, 2019No Comments
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New York, 20 ottobre 2019
XXIX Domenica Tempo ord.                    

di p. Luis CASASUS Superiore Generale dei missionari Identes

Esodo 17, 8-13; 2a Lettera Timoteo 3, 14-17.4, 1-2; Luca 18, 1-8

Un pastorello stava curando le sue pecore una domenica mattina, quando sentì suonare le campane della Chiesa e vide la gente camminare per la strada a fianco del campo per andare in Chiesa. 

Cominciò a pensare che anche a lui sarebbe piaciuto parlare con Dio. Ma che cosa gli potrei dire? si domandava. Non aveva mai imparato una preghiera. Allora, in ginocchio, cominciò a recitare l’alfabeto: a, b, c, d,… e così via, ripetendo la sua ‘preghiera’ varie volte. 

Un uomo che passava di lì ascoltò la voce dal bambino, e fermandosi per guardare attraverso gli arbusti, vide il bambino inginocchiato con le mani giunte e gli occhi chiusi  che diceva: a, b, c,… k, l, m…. Interruppe il bambino, e gli domandò: Che cosa fai, mio piccolo amico? Il bambino rispose: Stavo pregando, signore. Sorpreso, l’uomo disse: Ma allora, perché stai recitando l’alfabeto? Il ragazzo disse: Non conosco nessuna preghiera,  signore. Ma voglio che Dio mi protegga e mi aiuti a curare le mie pecore. Cosicché ho pensato che, se dicevo tutto quello che sapevo, avrei potuto  unire le lettere e sillabare tutto quello che volevo e dovevo dire. L’uomo sorrise e disse: Benedetto sia il tuo cuore. Hai ragione, Dio farà proprio così! quindi andò in chiesa sapendo che aveva già ascoltato il miglior sermone che avrebbe potuto ascoltare in quel giorno. 

Questa storia, benché sembri tanto ingenua, riflette una delle proprietà più essenziali dell’orazione: è un atto di comunione con Dio che si può descrivere come un dialogo permanente, l’offerta di ogni momento, il maggior potere dell’uomo, una respirazione spirituale…. Ma forse il nostro punto di partenza per la riflessione di oggi potrebbe essere che l’orazione è comunione con Dio, e questa comunione è possibile attraverso l’atto dello Spirito Santo. È per questo motivo che dobbiamo prestare attenzione sia al nostro sforzo ascetico sia alla risposta abbondante ed ubiqua dello Spirito Santo nella nostra mente, volontà, facoltà unitiva e spirito. 

La nostra orazione di unione, come la chiamano Santa Teresa d’Avila ed il nostro padre Fondatore, consiste nel mantenersi in costante dialogo con Dio per valutare la realtà, gli eventi e le persone con i Suoi stessi criteri di giudizio. Esaminiamo con Lui i nostri pensieri, sentimenti, reazioni e piani. 

L’orazione continua significa non prendere nessuna decisione senza prima consultarlo. Se, anche per un solo momento, interrompiamo questa relazione con Dio, come nella Prima Lettura, lasciamo cadere le braccia ed immediatamente i nemici della vita e della libertà sfruttano l’occasione. Questi nemici si chiamano passioni, impulsi incontrollati e reazioni istintive. Creano le condizioni affinché prendiamo decisioni sbagliate. Affrontiamo continuamente nemici che ostruiscono la nostra vita e ci lasciano senza coraggio: ambizione, odio e passioni ribelli. Sono “i nostri Amaleciti”. 

Quando certe persone attraversano grandi difficoltà, insieme a crisi emozionali e  spirituali di diverso tipo, è probabile che li abbiamo sentiti dire: “Ho tentato tutto. Ora l’unica cosa che mi rimane da fare è pregare”. È come se l’orazione fosse qualcosa che si deve fare solo come ultima risorsa nei momenti di necessità. Tuttavia, è certo che, coscientemente o no, continuamente affrontiamo la sfida di prendere una  decisione: Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde. (Lc 11, 23). L’orazione non è solo un grande mezzo per non perdere la testa nei momenti  più difficili e drammatici, quando tutto sembra cospirare contro noi. È il bastone di cui abbiamo bisogno per camminare con Dio e lottare con successo contro il diavolo. 

I popoli dell’antichità credevano che gli dei lottavano insieme a coloro che li adoravano. Oggi, istruiti dallo stesso Cristo, sappiamo che quello è un concetto arcaico e rozzo di Dio. L’episodio della Prima Lettura ha per noi un messaggio chiaro. Ci insegna che coloro che desiderano ottenere cambiamenti profondi, specialmente la vera conversione, che va oltre la buona volontà e le proprie forze, deve pregare senza smettere mai. 

Anche la Prima Lettura dà un esempio sorprendente di una caratteristica importante dell’orazione: Aronne e Cur, sostenendo le mani di Mosè nell’orazione, riflettono quello che più tardi dirà esplicitamente Gesù: In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro (Mt 18, 19-20). 

Ogni orazione individuale ha il suo significato ed importanza, ma l’orazione  comunitaria, per esempio, l’orazione in famiglia, ha maggiore importanza e promuove un nuovo modo della presenza di Gesù tra noi. 

Le precedenti parole di Cristo non significano che dobbiamo passare molto tempo insieme in un’attività di adorazione. Piuttosto, Gesù sta parlando dell’unione dei nostri cuori, dell’offerta dei nostri sforzi nella costruzione della pace. Di fatto, la chiesa è un posto dove le differenze si possono esprimere e risolvere. Dobbiamo ricordare che la chiesa è là dove la presenza di Cristo si manifesta nel modo in cui ci trattiamo, nonostante le nostre differenze. È nel contesto del conflitto che Gesù disse che se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà.

Molti di noi possono identificarsi facilmente con la vedova che cercava giustizia. A quel tempo, le vedove e gli orfani erano le persone più vulnerabili di tutte ed erano esposte ad ogni tipo di abusi e sfruttamento. Non avevano sicurezza, né posto nella società. Spesso si approfittavano di loro ed erano trattati ingiustamente. 

Tutti i giorni ascoltiamo storie di persone ferite dall’ingiustizia che provano nel modo in cui si trattano le loro difficoltà. Questo può essere riferito ad una remunerazione insufficiente, alla cecità ed insensibilità alla propria sofferenza, alle calunnie, all’ingiustizia nel posto di lavoro, alla discriminazione, o ad abusi di ogni tipo. Senza giustizia, non ci può essere amore, né unità. Allora il risentimento cresce e questo conduce ad un profondo scoraggiamento o ad atti di rappresaglia. 

Nel Salmo 37 (36) leggiamo: Sono stato fanciullo e ora sono vecchio, non ho mai visto il giusto abbandonato né i suoi figli mendicare il pane. …. Perché il Signore ama la giustizia e non abbandona i suoi fedeli; gli empi saranno distrutti per sempre e la loro stirpe sarà sterminata. Sottoscriveremmo queste parole senza nessuna riserva? Chi non conosce esempi che sembrano contraddirle? 

Allora, perché siamo invitati a pregare con insistenza? Gesù risponde oggi con una parabola. Il giudice ingiusto rappresenta il potere di questo mondo (non solo una persona specifica), la forza delle passioni incontrollate, la mancanza di timor di Dio, (come dice lo stesso personaggio). È la situazione nella quale si trovano i discepoli in questo mondo dominato dal male e profondamente segnato dalla morte. Una situazione grave, non solo in un momento particolare, dove simultaneamente riconosciamo ed ammettiamo la nostra debolezza e la presenza attiva di Dio che ci trasforma, non solo cambiando le cose o risolvendo i nostri problemi. 

Ma ancora più importante è il ricordare che Cristo stesso passò per quella stessa esperienza nella sua vita. Per tutto il bene che fece, fu tradito, condannato ingiustamente e giustiziato sulla croce. Così pure gli apostoli ed i primi cristiani passarono per le stesse persecuzioni ingiuste a causa della loro fede in Cristo. Tuttavia, non rinunciarono alla fede in Dio. 

D’altra parte, sappiamo, per esperienza di prima mano e degli altri, che è precisamente l’innocenza e la sofferenza ingiusta quella che può cambiare i cuori degli uomini malvagi. Al contrario, quando compiamo rappresaglie, creiamo solo più ostilità. 

Nella Lettera a Timoteo, anche San Paolo parla dell’insistenza. Questa insistenza, tuttavia, si rivolta verso di noi. Così come dobbiamo essere perseveranti nella nostra supplica a Dio, dobbiamo esserlo anche nella nostra proclamazione del messaggio di Gesù Cristo.

Dobbiamo lottare in modo permanente contro l’ingiustizia. Il nostro obiettivo è il regno di Dio, come in cielo, così in terra; e per raggiungere quella meta, San Paolo dice che dobbiamo essere insistenti, come la vedova nella parabola. L’allegoria è potente ed espressiva, perché ogni essere umano, – i più o meno “buoni” e i più o meno “cattivi”, – resiste al cambiamento e tutti vogliamo continuare a godere della nostra zona di comodità. 

La Seconda Lettura rappresenta un vincolo pratico e chiaro tra l’orazione ed i testi  sacri. San Paolo propone a Timoteo un punto sicuro di riferimento: Le Sacre Scritture, ricordandoci che Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.

Molti di noi non ricordano neppure quali siano i nostri pensieri inutili, e questa mancanza di sensibilità spiega la povera e limitata attenzione che prestiamo al Vangelo. 

Un’ultima parola sull’orazione, concepita come dialogo tra Dio e l’uomo. 

Quando entro in dialogo con qualcuno, la premessa fondamentale è che, attraverso quella forma di connessione, possiamo raggiungere uno stato nel quale entrambi ci preoccupiamo per le nostre due aspirazioni, creando così un impegno condiviso, con una soluzione che sia valida per tutti e due. Questa cornice dipende da una forma profonda di fiducia: che l’altro è una persona (umana o divina) come me. In fondo, abbracciare lo spirito di dialogo con le persone divine (o col mio prossimo) è un impegno di curare tutti quelli che formano parte del dialogo, perfino se non posso capire completamente o essere totalmente d’accordo col mio interlocutore. 

La maggioranza delle conversazioni sono semplicemente monologhi realizzati in presenza di un testimone. Ma, come disse Martín Buber, un dialogo è una conversazione… il cui risultato si ignora. Magari la nostro orazione fosse così… 

Sappiamo che l’esperienza di apertura al dialogo in se stessa è trasformatrice.  Possiamo notare la differenza, quando sono o non sono realmente aperto. So come si sente l’attaccamento, perché ho avuto molte volte l’esperienza di non averlo… e l’immensa libertà che implica. Non si tratta di non volere; non si tratta di non avere opinioni, perfino solide; non si tratta semplicemente di simpatizzare con qualcosa o qualcuno. Si tratta semplicemente della volontà di sentirsi colpito da quello che ascolto sulle necessità o le prospettive dell’altro. Si tratta di permettere la connessione tra le mie necessità profonde e le mie aspirazioni e quelle dell’altra persona. 

Questo è l’atteggiamento giusto ed adeguato di chi prega. 

Ottocento anni prima di Cristo, Yahvé già avvertì attraverso il profeta Amos: Io, il Signore, detesto, respingo le vostre feste e non gradisco le vostre riunioni; anche se voi mi offrite olocausti, io non gradisco i vostri doni e le vittime grasse come pacificazione io non le guardo. Lontano da me il frastuono dei tuoi canti: il suono delle tue arpe non posso sentirlo! Piuttosto scorra come acqua il diritto e la giustizia come un torrente perenne (Amos 5, 21-24).

L’orazione è importante perché nulla possiamo da noi stessi. Abbiamo bisogno di Dio.  Niente è impossibile con Lui. Ma, troverà Dio fede in noi? La risposta dipende da te e da me.