New York, 13 ottobre 2019
di p. Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.
2 Re 5, 14-17; 2a Lettera Timoteo 2, 8-13; Luca 17, 11-19
In che senso la gratitudine è la prima virtù? Possiamo fare questa affermazione perché, prima di aver avuto l’opportunità di fare qualcosa per altre persone, riceviamo cura, attenzione ed affetto, anche se non tutti nella stessa misura.
La gratitudine è la prima istruzione che i genitori danno ai loro figli non appena sono capaci di comprendere: Ricorda di dire “grazie” ogni volta che qualcuno ti da qualcosa. Si è detto che la gratitudine è il primo segno di una creatura razionale e pensante.
Ma la gratitudine non fu mai facile per noi, gli esseri umani. Non furono guariti in dieci? Gli altri nove, dove sono? Inoltre, è una virtù poco di moda nei tempi moderni. La gratitudine compete col nostro orgoglio, autosufficienza e alta stima del successo che abbiamo. Mark Twain l’espresse in maniera umoristica: Se raccogli un cane e lo fai felice, non ti morderà. Questa è la principale differenza tra il cane e l’uomo.
Se troviamo difficile ringraziare, spesso è perché non vogliamo riconoscere che i doni che possediamo non sono unicamente nostri; provengono dall’esempio e dalla generosità degli altri, sono radicati nel cuore di Dio e, a loro volta, devono essere offerti ai nostri simili. Propendiamo a pensare che quello che abbiamo è il risultato dei nostri sforzi invece di vederli come doni, come frutto delle buone azioni e delle opportunità che ci offrono gli altri. Nella nostra società di consumo, ci centriamo su quello che ci manca o su quello che altre persone hanno e noi non abbiamo, al contrario, la gratitudine elementare è il sentimento di apprezzamento per quello che abbiamo già.
Un bambino cadde da una banchina nelle acque di un profondo oceano. Un anziano marinaio, senza preoccuparsi del grande pericolo che correva, si tuffò nelle acque agitate, riuscì a prendere il bambino e, alla fine, esausto, lo portò in un posto sicuro. Due giorni dopo, la madre del bambino andò con lui alla banchina, cercando il marinaio che aveva salvato suo figlio. Quando lo trovò, ella domandò: Si è buttato nell’oceano per salvare mio figlio?” “Proprio così”, rispose. La madre rapidamente domandò: “Ma, allora, dov’è il cappello di mio figlio?”
La gratitudine è un atteggiamento che esprime apprezzamento per quello che uno ha, in contrasto con l’enfasi – spinta dal consumismo – per quello che uno vuole o crede di aver bisogno. La gratitudine non è una tecnica o uno stratagemma, bensì una disposizione morale raffinata. Fu definita poeticamente da Jean Massieu, il pioniere francese educatore dei sordi, come la memoria del cuore.
A poco a poco, possiamo raggiungere uno stato continuo di lode ed azione di grazie nei nostri cuori, in ogni tipo di situazioni e circostanze.
Perfino in mezzo alle molte prove e penalità che ogni persona affronta, stando attenti ai beni ricevuti, per piccoli che siano, ci sentiamo grati a Dio e alle molte persone che ebbero o hanno un impatto positivo nelle nostre vite. Lo scrittore Oliver Sacks che soffriva di cancro al pancreas, disse che avere gratitudine era quello che lo manteneva in vita. Benché sapesse che la sua vita stava arrivando alla fine, era grato per l’opportunità di guardare indietro e vedere i suoi ultimi giorni nel contesto di tutta la sua esistenza con un profondo senso di connessione con gli altri. Confessò che, benché avesse paura di morire, la sua emozione predominante alla fine della vita fu la gratitudine. Poté fare tutte le cose che voleva fare prima della sua transizione, come approfondire le sue amicizie o salutare i suoi cari.
Quando Paolo scrive la sua Seconda Lettera a Timoteo, è in prigione a Roma. Molti l’avevano abbandonato o si erano rivoltati contro di lui (2Tim 4, 9 – 15). I pagani lo consideravano un malvagio e gli ebrei un traditore. Ma il ricordare che anche Cristo sperimentò sofferenze ed incomprensioni simili prima di entrare nella gloria del Padre, gli servì non solo di consolazione, ma risvegliò la sua gioia e la sua gratitudine: Se moriamo con lui, vivremo anche con lui; se con lui perseveriamo, con lui anche regneremo; (…) La Parola di Dio non può essere incatenata.
Le persone grate sono sempre persone che si accontentano di quello che hanno. Si centrano su quello che possiedono, non su quello che manca loro. Gli ingrati guardano sempre quello che non hanno ed invidiano coloro che ce l’hanno.
Ma il messaggio del Vangelo di oggi non è solo una lezione di buone maniere, per ricordarci di ringraziare chi ci aiuta. Il lebbroso samaritano è più che un modello di gratitudine. Noi non creiamo la gratitudine, piuttosto l’accogliamo come un nuovo dono, un nuovo modo di contemplare la nostra relazione con le persone divine e con i nostri simili.
La gratitudine è più che una virtù. È anche un’esperienza mistica, solitamente riflessa nel nostro Raccoglimento e Quiete Mistici. Vediamo quanto sorprendente è il dono della gratitudine quando consideriamo le circostanze e i posti poco attraenti nei quali alcune persone lo praticano. È realmente soprannaturale. Cristo, nell’episodio dei pani e dei pesci che alimentarono 5000 persone, rende grazie per quei pochi pani e pesci che ha. Affronta una necessità opprimente, con risorse seriamente inadeguate… e, tuttavia, lo vediamo ringraziare. Di nuovo, ringrazia prima di condividere l’Ultima Cena. Sapendo che quel pane e vino simboleggiavano la morte atroce che l’aspettava sulla croce, Cristo, ad ogni modo, ringrazia il Padre per quello.
La gratitudine ci apre una prospettiva maggiore e più vera, cambiando il nostro fissarci su quello che ci manca o il cercare quello che abbiamo già, tutto quello che ci è stato dato, e specialmente il perdono che è il regalo che riceviamo continuamente da Dio. Dirigendo così il nostro sguardo verso l’esterno, la gratitudine costituisce una manifestazione della nostra natura estatica che ci permette di vivere non solo per noi, ma anche per Dio ed i fratelli. Certamente, la gratitudine per il passato… ci porta a confidare nel futuro.
Di fatto, la gratitudine è il primo movimento di una vita spirituale che riconosce Dio come Creatore di tutte le cose, crede in Cristo come Figlio di Dio e vittima dei peccati di tutti, e riflette la vita in Cristo per la forza dello Spirito Santo.
Il lebbroso samaritano riconobbe che Dio è la fonte di tutto quello che abbiamo. Non possiamo lodare adeguatamente Dio, se non lo facciamo con parole coscienti e grate verso il Suo nome, per tutto quello che ha fatto, compreso, prima di tutto, il darci un cuore per ringraziarlo.
I dieci lebbrosi furono guariti dalla loro lebbra. Ma forse l’attribuirono a Cristo o ad altre ragioni. Perfino la cura che Gesù effettuò non fu chiara; semplicemente indicò loro che si presentassero ai sacerdoti. Nella loro allegria, pensarono solo al fatto che erano guariti. Forse andarono dai sacerdoti e poi a casa per festeggiare la guarigione. Durante il tragitto, i dieci compresero che Gesù era un risanatore. Fino a qui, tutti arrivarono a comprendere.
Ma, una nuova luce illuminò la mente ed il cuore del samaritano: capì che Gesù era più che un risanatore. Nel suo atto di salvezza, il lebbroso comprese il messaggio divino. Egli che non credeva nei profeti, scoprì che Dio aveva inviato colui che i profeti annunciarono: I ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi vengono sanati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunziata la buona novella (Lc 7, 22).
I dieci lebbrosi non chiesero la guarigione, probabilmente pensavano che erano condannati a morire, poiché non c’era cura per la lebbra. Significativamente, non chiesero a Gesù che li guarisse, ma che avesse misericordia di loro. Che facesse qualcosa per loro. Stavano cercando pietà. Inoltre, non li curò immediatamente. Furono risanati durante il tragitto. Nella loro allegria, pensarono solo al fatto che erano già guariti. Sarebbero andati dai sacerdoti e poi a casa a festeggiare. Non ringraziarono Dio, il loro risanatore.
Possiamo supporre che gli altri nove ritornarono più tardi per ringraziare Cristo per il suo miracolo. Prima sarebbero andati dai sacerdoti per compiere le formalità e per essere riammessi nella vita comunitaria. Quindi sarebbero andati correndo dalle loro famiglie e sicuramente dopo ritornarono da Gesù. Allora, perché Gesù si lamentò?
Non si lamenta di sentire mancanza di gratitudine. Dice che solo il samaritano diede gloria a Dio, cioè, l’unico che comprese immediatamente che la salvezza di Dio arriva alle persone attraverso Cristo. Egli è l’unico che riconobbe non solo il bene ricevuto, ma anche il mediatore eletto da Dio per comunicare i suoi doni. Desiderava proclamare, innanzitutto, la sua gratitudine e la sua scoperta. Gli altri non furono malvagi, semplicemente, non si fermarono a contemplare la novità. Continuarono seguendo il cammino tradizionale: pensando che si arriva a Dio attraverso antiche pratiche religiose e i sacerdoti del tempio.
Una grande varietà di attività e distrazioni può offuscare la nostra vista, come gli orari agitati ed i molteplici incarichi che dobbiamo seguire, lo stress del presente, le preoccupazioni del futuro e la fatica che può sorgere durante il viaggio… e finiamo diventando ingrati. Cristo ci avverte: Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere. Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi (Lc 10, 13-14)
Abbiamo un cuore ingrato dovuto al nostro orgoglio ed autosufficienza. Naamán era il comandante in capo dell’esercito siriano. Dio gli diede la vittoria sui suoi nemici, ma egli non riconobbe che il suo successo era opera del Signore. Invece, glorificò se stesso fino a che fu infettato dalla malattia più temuta in quei giorni, cioè, la lebbra.
Questo è uguale a ciò che ci succede oggi. Ignoriamo l’intervento divino e la misericordia di Dio nella nostra vita. Pertanto, perfino quando siamo guariti dalle nostre malattie, non siamo salvi. Questo si deve al fatto che i nostri cuori sono ancora pieni di noi stessi e mancano di gratitudine ed umiltà per condividere la vita di Dio. Possiamo essere fisicamente sani, ma emozionalmente e spiritualmente vuoti. Tuttavia, il lebbroso che ritornò per ringraziare il Signore fu guarito in corpo, anima e spirito. Per questo Cristo gli disse: Alzati e cammina. La tua fede ti ha salvato.
Praticare la gratitudine significa prestare attenzione a quello per cui siamo grati, fino ad arrivare a renderci più affabili e compassionevoli con Dio ed i nostri simili. Realmente ci spinge a fare cambiamenti profondi e visibili nelle nostre vite. Ovviamente, tutti sappiamo che è bene essere grati. Ma, è possibile che non ci rendiamo conto del regalo che è per altri sapere quanto grati siamo per loro. Una parola o un’azione che comunica quanto significa un essere amato da me, è una potente testimonianza ed una componente della virtù dell’onore.
La gratitudine è una virtù molto pratica ed unitiva: realmente dimostriamo la nostra gratitudine quando immediatamente facciamo un uso effettivo della verità che comprendiamo e della pace che riceviamo, condividendole col prossimo.
Dobbiamo ricordare che il Concilio il Vaticano II chiamò l’Eucaristia il centro e la cima della vita cristiana. Eucaristia è un termine che deriva da “eucharistía” che, in greco, significa “azione di grazie”. Più che un semplice sentimento, la gratitudine cristiana è una virtù, o disposizione dell’anima che dà forma ai nostri pensieri, sentimenti ed azioni, e che si sviluppa, si raffina e si esercita attraverso una relazione collegata con Dio e la sua creazione. Possiamo dire con sicurezza che la gratitudine e l’azione di grazie non sono un favore che facciamo a Dio; sono piuttosto un favore di Dio fatto a noi.
Il diavolo cercò di tentare Cristo affinché usasse il suo potere divino per se stesso, cambiando le pietre in pane quando aveva fame e saltando dal pinnacolo del tempio per provare la sua divinità. Ma Gesù usò le Scritture per resistere alle tentazioni del diavolo. Anche noi dobbiamo resistere a tali tentazioni ricordando quello che Gesù disse: … Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo, e colui che vorrà essere il primo tra voi, si farà vostro schiavo; appunto come il Figlio dell’uomo, che non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti (Mt 20, 26-28).