“Questo fondatore e propulsore di diverse opere apostoliche, padre dei poveri e medico di professione, mai desiderò la carità dell’oro, del denaro, bensì l’oro della carità per arrivare al cuore dei peccatori e condurli a Cristo”.
Nacque il 15 di marzo dell’anno 1834 a Palermo (Italia). Apparteneva ad un’agiata famiglia. Fu il penultimo di cinque fratelli. A 3 anni persero la mamma vittima di un’epidemia di colera. Una delle sorelle, Vincenzina, che era allora un’adolescente, contando sull’aiuto dei parenti, si occupò dei piccoli che istruì nelle verità della fede. Giacomo, in particolare, si sentì specialmente chiamato ad alleviare la sofferenza dei poveri; in essi, e nonostante la sua tenera età, vedeva Cristo. Ebbe chiaro che il migliore modo per dar loro consolazione ed assistenza era essere missionario. Questo desiderio che accarezzò durante la sua infanzia e adolescenza, avrebbe procurato innumerevoli benedizioni. La sua proverbiale generosità era tale che dovettero nascondere la chiave della dispensa familiare perché distribuiva le vivande tra gli indigenti. Ed altrettanto faceva con i vestiti personali, dal cappotto alle scarpe.
Frequentò gli studi nel collegio Massimo, diretto dai padri gesuiti e poi si iscrisse alla facoltà di medicina. A 21 anni era un fiammante medico disposto a guarire le lesioni fisiche dei malati. Avrebbe potuto godere di privilegi, ma scelse i bisognosi, e così lo fece notare al suo confessore. Questo lo fece passare attraverso la prova, difficile per Giacomo in quel momento, di radersi la curata barba, tagliarsi i capelli e vestire rozzamente, come facevano allora molti sacerdoti, il che supponeva rimanere alla mercé delle battute dei suoi contemporanei. Ma egli l’accettò. Capì che se andava ad occuparsi degli indigenti, doveva mettersi al loro livello.
Studiò teologia e si dedicò ad impartire catechesi. Il suo compito, guidato da un genuino spirito evangelico, ebbe un andamento di generosità ammirevole. I poveri trovarono in lui un professionista della medicina che curava le loro ferite benché non avessero mezzi per pagare il trattamento. Tuttavia, per una persona tanto dedicata come lui, l’esercizio della professione era poco. Aveva l’anelito di portare tutti a Cristo: “Sentii nella mia anima il desiderio di consacrarmi ai poveri, per fare mie le loro miserie, per tirarli fuori dalle terribili sofferenze ed avvicinarli a Dio”. Non voleva “la carità dell’oro”, del denaro, bensì “l’oro della carità”. Con questo si poteva arrivare alle anime dei peccatori.
Nel suo cuore risuonavano le notizie che aveva sentito nel convento dei padri gesuiti circa le grandi e semplici gesta dei missionari che evangelizzavano l’America del Sud. Non dimenticava ancora il suo tentativo fallito di partire per le missioni nel 1850 senza avere comunicato niente alla sua famiglia, e come suo fratello Pietro che conobbe le sue intenzioni, impedì che si imbarcasse quando stava per intraprendere il viaggio. Era arrivato il momento di fare quel passo che gli veniva chiesto, e confidò a Vincenzina il suo desiderio di consacrarsi come frate cappuccino. Monsignore Turano, al quale sottomise la sua opinione, l’incoraggiò a farsi sacerdote. Fu ordinato nel 1860. La sua parrocchia, i “Santi Quaranta Martiri” di Palermo, rapidamente fu conosciuta per l’eccelso lavoro caritatevole che portò a termine come medico e come presbitero. Nel frattempo, realizzava mortificazioni e penitenze. Aveva la capacità per chiedere l’aiuto dei benestanti e non gli mancò il loro appoggio.
Un giorno del 1865, pranzando in casa di un amico, si mise a riflettere sul recipiente che l’anfitrione aveva collocato nel centro del tavolo, e nel quale ognuno dei commensali depositava una porzione di cibo che dopo sarebbe stata destinata per dare da mangiare ai poveri. Con quell’idea, nel 1867 creò l’Associazione del Boccone del Povero. Lo fece contro vento e marea, perché non tutti erano d’accordo col progetto. Lo sostennero sacerdoti e laici di entrambi i sessi che collaboravano con lui, e contò sulla benedizione di Pio IX. Nel 1870, Cusmano mise la sua opera sotto la protezione di san Giuseppe. “Quelli che non appartengono a nessuno, sono nostri”, ripeteva ai suoi.
La rapida crescita di questa associazione, la massiccia affluenza di bisognosi, insieme a molte altre difficoltà che apparivano in modo incessante, lo colpì spiritualmente. La sua fiducia ondeggiò in un certo senso, al punto di pensare che nelle mani di un altro Ordine tutto sarebbe andato meglio. Orgoglio e sentimento di incapacità è tutto quello che ebbe davanti ai suoi occhi, con un sottile inganno: considerare la sua indegnità per compiere la volontà divina. Insomma, pensava che l’impedimento affinché tutto andasse bene fosse lui stesso, e credette che fosse meglio cercare la solitudine, rifiutando la sua responsabilità. Ma una notte del 1878, la Vergine, in un sogno lo confortò e l’incoraggiò a continuare la sua opera, facendogli vedere che tutto quello di cui aveva bisogno era suo Figlio, il Bambino Gesù che Ella portava nelle sue braccia. E Giacomo proseguì, contrito e gioioso, senza tornare più a dubitare che fare quello che aveva tra le mani non compisse i propositi di Dio.
Per potere aiutare convenientemente gli indigenti, nel 1880 fondò le Serve ed i Servi dei Poveri. Fu il propulsore di ospedali, case destinate agli orfani e agli anziani che vivevano nel più completo abbandono e non avevano mezzi per sopravvivere. Avvertì i suoi: “Non fate differenze tra il Cristo sacramento ed il Cristo nel povero”. Leone XIII, col quale ebbe un’udienza privata, lodò il suo lavoro. Morì il 14 marzo 1888 di una pleurite.
Giovanni Paolo II lo beatificò il 30 ottobre 1983.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
Autora vinculada a
Obra protegida por derechos de autor.
Inscrita en el Registro de la Propiedad Intelectual el 24 de noviembre de 2014.
________________
Diritti di edizione riservati:
Fondazione Fernando Rielo
Hermosilla 5, 3° 28001 Madrid
Tlf.: (34) 91 575 40 91 Fax: (34) 91 578 07 72
E-mail: fundacion@rielo.org
Deposito legale: M-18664-2020
ISBN: 978-84-946646-6-3