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Santo

Santo Domenico Savio, 9 marzo

By 8 Marzo, 2024Aprile 17th, 2024No Comments

“Questo modello di innocenza evangelica, che si sentì conquistato dalla tenerezza di Maria, fu un insigne discepolo di Don Bosco. Non risparmiò sforzo alcuno per conquistare la santità, a cui anelava prima di morire in tenera età”.

Modello per l’infanzia e l’adolescenza, questo modello di innocenza evangelica nacque a Riva di Chieri (Torino, Italia) il 2 aprile 1842. L’anno seguente tutta la famiglia si trasferì nelle colline di Murialdo. Il giorno della sua prima comunione, realizzata a Castelnuovo nel 1849, inginocchiato davanti all’altare si propose: «1. Mi confesserò molto spesso e riceverò la Sacra Comunione purché il confessore me lo permetta. 2. Voglio santificare i giorni di festa. 3. i miei amici saranno Gesù e Maria. 4. Piuttosto morire che peccare». Riassumono la sua vita.

Nel 1854 conobbe Don Bosco, la sua guida e rettore verso il cammino della santità. Rimase con lui a Torino integrandosi nell’Oratorio. Nell’architrave della porta della sua stanza il fondatore aveva appeso questa consegna: “Datemi anime, e prendetevi il resto! “. Dopo averlo letto, Domenico gli disse: “Don Bosco, qui si tratta di un commercio, la salvezza delle anime. Bene, io sarò il tessuto e lei sarà il sarto. Faccia di me un bell’abito per il Signore”. Sapeva che era nel luogo nel quale avrebbe compiuto il suo più fervente anelito: “Io voglio diventare santo! “, benché il suo cammino verso gli altari fosse già cominciato con una presenza di Dio costante nella sua mente ed atti quotidiani d’amore.

Non consentiva di mangiare se non si pregava prima. Era il primo ad andare in chiesa le domeniche. E se trovava il tempio chiuso, pregava sulla soglia, in ginocchio al margine delle crude inclemenze meteorologiche che potessero darsi. Gioiva essendo chierichetto e tutti potevano notare il suo fervore davanti al Santissimo; i gesti denunciavano il suo stato di raccoglimento, con le mani giunte e gli occhi inchiodati sul Tabernacolo. Con spirito di sacrificio percorreva tutti i giorni 18 km. a piedi per andare a scuola. Perfino suo zio, impressionato, gli domandò: “Non hai paura ad andare solo?”. Rotondo ed esatto, rispose: “Io non sono solo; mi accompagna l’Angelo Custode”. Soffriva solo pensando ad un’eventuale offesa a Cristo, e non poteva contenere le sue lacrime. Cercando sempre la cosa più perfetta, e pentito di avere fatto i torelli in un’occasione incitato dai suoi amici, cercò l’amicizia di Gesù e di Maria.

A Torino, portato dalla sua grande devozione per Maria, insieme ad un gruppo di compagni fondò la Compagnia dell’Immacolata e tutti si impegnarono ad aiutare Don Bosco per educare i ragazzi dell’Oratorio. Quei ragazzi a cui questo fondatore si dirigeva, chiamandoli: “A voi, santi”… erano di diversa indole e provenienza: ricchi e poveri, più pacifici ed estremamente violenti. Molto servì a Domenico la sua arte di narrare racconti. Don Bosco si rese conto che il giovane era speciale. Così lo descrisse: “Domenico non è diventata notorio nei primi tempi dell’Oratorio per cosa alcuna, al di fuori della sua perfetta docilità e di un’esatta osservanza delle regole della casa… ed una esattezza nel compimento dei suoi doveri più in la della quale non sarebbe facile arrivare.”

Tuttavia, non era perfetto, è chiaro; nessuno lo è. E nel suo particolare itinerario verso la santità, dalla mano del fondatore imparò a temperare qualche uscita di tono, indotto da atteggiamenti fastidiosi di alcuni compagni. Riuscì anche a ridurre quei picchi emozionali ai quali tendeva, portato dal suo temperamento malinconico. Non volendo soccombere davanti a quel temperamento, perché gli impediva di ascoltare la voce di Dio, si andò fortificando, fedele alle piccole cose di ogni giorno come gli aveva insegnato Don Bosco.

Fu un apostolo instancabile dentro e fuori dell’Oratorio. Il fondatore riconosceva che il piccolo “portava più anime al confessionale coi suoi passatempi che i predicatori coi loro sermoni”. La sua bella voce, applaudita da coloro che l’ascoltavano, gli creò una certa inquietudine quando lodarono le sue qualità vocali tanto eccezionali. Le congratulazioni scatenarono in lui grande emozione perché aveva sperimentato interiormente un sentimento a beneficio della lusinga: “Mentre cantavo, sentivo una certa compiacenza; ora si congratulano…; così perdo tutto il merito”.    

Un giorno rimase assorto davanti all’Eucaristia per sette ore. Dopo averlo cercato affannosamente in tutti i posti, Don Bosco lo trovò davanti al Tabernacolo, e Domenico gli chiese perdono per avere trasgredito le regole. L’inorridiva il peccato, soprattutto quello di impurità. La Vergine l’illuminò proteggendolo dalle malsane curiosità di quella età dell’adolescenza contro la quale lottava titanicamente consacrandosi all’Immacolata. Alcuni anni dopo essere morto, quando apparve a Don Bosco in uno dei suoi famosi sogni, gli domandò: “Domenico, che cosa è quello che più ti consolò nel momento della tua morte?”. Ed egli rispose: “L’assistenza della potente e amabile Madre del Salvatore”. Era fermo e dolce allo stesso modo. Sentiva dolorosi turbamenti e dubbi di coscienza che lo sollecitavano a confessarsi ogni tre o quattro giorni. La sua ansia penitenziale era insaziabile perché voleva unirsi alle sofferenze di Gesù sulla croce.

Giovanni Bosco l’aiutò in quella tappa convulsa della vita, e non ebbe problemi nell’indirizzarlo perché in Domenico erano proverbiali la sua obbedienza, docilità e generosità. Nella biografia che scrisse di lui, il fondatore espose le sfumature di un cammino che fecero di questo giovane il santo che è. Si percepisce come arrivò a realizzare questo anelito: “Io voglio donarmi tutto al Signore. Io devo e voglio appartenere tutto al Signore”. Caritatevole, umile, devoto di Gesù Sacramentato e di Maria, sperimentava anche un grande amore per il Santo Padre. Fu premiato con numerosi favori mistici.

Era di salute delicata e nel 1857 si aggravò per una polmonite. Il medico consigliò che andasse a Mondonio per ristabilirsi. Salutando, intuendo la sua prossima morte si diresse a Don Bosco e ai suoi compagni dicendo loro: “Ci rivedremo in paradiso”. Ed il 9 marzo di quell’anno, a 13 anni non compiuti, volò al cielo dopo avere recitato le preghiere che si leggevano agli agonizzanti, e che suo padre pregava. Le sue ultime parole furono: “Papà, è già ora […]. Addio, caro papà, addio. Oh, che belle cose vedo! “. 

Pio XII lo beatificò il 5 marzo 1950, e lui stesso lo canonizzò il 12 giugno 1954.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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