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Santo

Sant’Ignazio di Loyola, 31 luglio

By 30 Luglio, 2023Aprile 17th, 2024No Comments
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“Fondatore della compagnia di Gesù. Sedotto dalla lettura di libri spirituali, lasciò armi e ideali cavallereschi e realizzò grandi imprese per la maggior gloria di Dio. I suoi Esercizi Spirituali continuano a dare vocazioni”.

 

“Prendete, Signore, e ricevete tutta la mia libertà, la mia memoria, il mio intelletto e tutta la mia volontà, tutto il mio essere e il mio possedere; voi me lo avete dato: a voi, Signore, lo restituisco; tutto è vostro, disponete con tutta la vostra volontà; datemi il vostro amore e grazia che questa mi basta”. È la profonda preghiera con la quale terminano gli esercizi spirituali di questo santo, minuto di taglia, grandioso di cuore e con una proverbiale obbedienza, che nacque nel castello di Loyola, (Guipuzcoa, Spagna), nel 1491 in una famiglia della nobiltà. Beniamino di otto fratelli, fu educato nella casa di Juan Velázquez, contabile maggiore dei Re Cattolici. Il suo contatto con la corte segnò nella sua vita una tappa di dispersione ed affanni di gloria.

Nel 1517, dopo la morte di Juan, iniziò la carriera militare. Ma il 20 maggio 1521, accadde che, nel corso di una battaglia contro i francesi, a Pamplona, una pallottola di cannone colpì la sua gamba destra sotto il ginocchio. Mentre era convalescente dopo uno degli interventi che subì e che gli lasciò una zoppia per tutta la vita, per distrarsi richiese libri di cavalleria. Non ce n’erano, e gli offrirono la vita di Cristo ed un’agiografia. Modificarono la sua prospettiva esistenziale: “Mi immaginavo di dover competere con un santo nei digiuni, con un altro nella pazienza, con un altro ancora nei pellegrinaggi”. Le imprese dei valorosi seguaci di Cristo che in niente assomigliavano a quelle che l’agguerrito soldato conosceva, lo sedussero e si convertì. Si pentì del suo passato, e decise di vivere col radicalismo evangelico al quale si sentiva chiamato.

Nel suo ambiente non passò inosservato il cambiamento dell’intrepido militare che, improvvisamente, parlava solo di temi religiosi. E benché ignorasse quali passi dover dare, gli era chiaro che sarebbero stati verso la consacrazione. Per il momento, si recluse in Montserrat. Con lo spirito di un cavaliere depositò le sue armi ai piedi di Maria, dopo avere vegliato tutta la notte davanti alla sua immagine, coi suoi nuovi compagni di passaggio: un rozzo saio ed il bastone, segni del pellegrino. Sognava già Gerusalemme. Voleva andare nella terra di Gesù, che desiderava “conoscerlo meglio, per imitarlo e seguirlo”. Subito si diresse a Manresa per fare orazione e penitenza. E lì, basati sulla sua esperienza personale, redasse gli esercizi spirituali. Una notte gli apparve la Vergine col Bambino Gesù e si sentì invaso dalla sua dolcezza. Quando abbandonò quel luogo, partì con un patrimonio spirituale che lo lasciò segnato per sempre.

Nel 1523 si trasferì in Terra Santa. La sua volontà era rimanere nei Sacri Luoghi, ma davanti ai molti pericoli che attendevano i pellegrini, i francescani lo dissuasero, e praticamente l’obbligarono a ritornare in Spagna. Senza sapere ancora che strada prendere, quando arrivò a Barcellona verso il 1524, decise di frequentare studi per “aiutare le anime”, che completò in Alcalá de Henares e a Salamanca. La diffusione degli “esercizi” gli causò molte sofferenze: processo, proibizione di predicare, frusta, prigione; l’Inquisizione gli stava dietro, ma tutto accetto con gioia per amore di Cristo. Già a Parigi dove si laureò nelle Arti, con un gruppo di sette compagni, tra i quali si trovavano Francesco Saverio e Pietro Fabro, eresse la fondazione col motto “Ad maiorem Dei gloriam”. Condivise con loro la sua esperienza a Manresa, quello che trasse dalla lettura delle vite dei santi e, soprattutto, il vangelo. Decisero di andare in Palestina per evangelizzare. Se questo obiettivo fosse diventato impossibile per qualche motivo, nell’anno di termine che si diedero, si sarebbero messi a disposizione del pontefice. Nel 1534 emisero i voti nella cappella di Montmartre.

Si trovarono a Venezia, come avevano convenuto. Ma nel 1535 nuovi problemi di salute obbligarono Ignazio a tornare in Spagna. Il sogno di tutti continuava ad essere l’andare in Palestina, ma la guerra contro i turchi lo rese impraticabile. Di modo che, trovandosi a Venezia nel 1537,  con Ignazio alla loro testa, il gruppo, che si andava incrementando di numero, si trasferì a Roma e si mise sotto la protezione di Paolo III. Questi li accolse, ordinando quell’anno coloro che non avevano ricevuto ancora questo sacramento. Nella cappella della Storta, ad alcuni chilometri da Roma, in una visione trinitaria Cristo aveva detto ad Ignazio: “Io voglio che tu ci serva”. Con l’approvazione del papa nel 1540, la Compagnia di Gesù fu una realtà ecclesiale e canonica, benché la redazione delle costituzioni che il santo intraprese si prolungasse fino al 1551. Ai voti di castità e povertà aggiunsero quello di obbedienza al superiore generale, che a sua volta era sottomesso al pontefice. Era uno dei segni dello spirito militare che fece parte dell’educazione e della vita del suo fondatore, e che volle trasmettere alla Compagnia con nuovo corso spirituale.

Con questa fondazione si dispose a lottare per resistere al protestantesimo e ad altre deficienze sociali, propagando la fede cattolica. Presto si constatò il formidabile lavoro di questi religiosi per intercettare i nefasti effetti della Riforma sostenuta da Lutero. Fondamentalmente le vie di apostolato erano l’attenzione ai malati e l’insegnamento che i primi membri realizzavano stimolati dalla forza e dall’entusiasmo di Ignazio. Unanimemente lo elessero come generale della Compagnia nel 1541. L’attrazione tra i giovani per il carisma aumentava; ne arrivarono alcuni di taglia eccezionale.

Limitato da gravi problemi di salute, rimase a Roma dedicato al ritiro e alla preghiera. Aveva incarnato il suo proposito: “In tutto amare e servire”. Rimase alla testa della Compagnia che si estese per l’Europa, l’America e l’Asia. Nel frattempo redigeva opere formative e creava prestigiosi centri accademici, tutto per la maggiore gloria di Cristo e della sua Chiesa. Nel 1551 si volle dimettere come generale, ma non glielo permisero. All’inizio di Luglio del 1556 soffrì un attacco di febbre; il suo animo apostolico continuava invitto. Il 31 di quel mese morì serenamente ed inaspettatamente.

Paolo V lo beatificò il 3 dicembre 1609. Gregorio XV lo canonizzò il 12 marzo 1622.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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