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Santo

Santa Maria Maddalena De Pazzi, 25 maggio

By 24 Maggio, 2024No Comments

“Patire e non morire fu il motto di questa donna che nacque nel seno di una illustre famiglia e che è stata soprannominata l’estatica. E’ una delle grandi mistiche stigmatizzate. Si offrì per il rinnovamento della Chiesa”.

A Maddalena non è stata resa giustizia perché negli avvenimenti della sua vita c’è un ricchissimo sfondo spirituale che appoggia la sua ammirabile virtù. E, tuttavia, la tendenza generalizzata è stata far emergere in modo esagerato ed erroneo le sue esperienze mistiche, tutte di grande portata, tacciandola di isterica, qualificando come masochista la sua insistente supplica a Cristo di “soffrire e non morire”. Si è lasciato dietro la cosa rilevante: la centralità trinitaria della sua vita ed il suo desiderio di rinnovamento dentro la Chiesa che la portò ad offrirsi a Dio come vittima espiatoria. Non si è tenuto in conto né la sua discrezione, né il grado di obbedienza che la portò a narrare i favori celestiali coi quali fu premiata benché avesse desiderato mantenerli nascosti. Questo sì, con ogni rigore viene chiamata “l’estatica” per antonomasia, considerandola una delle grandi mistiche stigmatizzate.

Nacque a Firenze, Italia, il 2 aprile 1566 nel seno dell’illustre e nobile famiglia Pazzi. L’anno 1576, in un breve intervallo di tempo, ricevette la prima comunione ed effettuò voto privato di verginità. Entrambi i fatti avevano stretta connessione poiché all’età di 8 anni era rimasta interna per un certo tempo con le Dame di San Giovannino, monastero nel quale ritornò compiuti i 14 con la condizione che le permettessero di ricevere giornalmente l’Eucaristia, qualcosa di infrequente nell’epoca. Cioè che comunione e consacrazione andavano intrecciate. Obbligata a lasciare il convento, si sforzò di convincere i suoi genitori affinché le permettessero di abbracciare la vita religiosa. Ed in agosto del 1582 realizzò un’esperienza con le carmelitane di Santa Maria degli Angeli per chiarire il carisma e il luogo nei quali avrebbe resa effettivo il suo impegno. Nella quindicina che rimase insieme alle religiose vide che era la sua strada, principalmente quando avevano il privilegio di ricevere la comunione tutti i giorni. Nel dicembre di quell’anno entrò con esse e nel gennaio del 1583 iniziò il suo noviziato.

In quell’epoca stava già ricevendo i favori dell’estasi. La prima esperienza di questa natura che si produsse in presenza di sua madre, l’aveva vissuta nel 1578. La primavera del 1584 portò con sé una sconosciuta malattia diagnosticata come incurabile. Ed il 27 maggio, giorno della Santissima Trinità in quell’anno, le permisero di professare davanti all’altare di Maria distesa in una barella. Fu l’inizio di una serie di estasi giornaliere che le sopravvenivano dopo avere ricevuto la comunione, prolungandosi per due o tre ore. In esse e per quaranta giorni fu istruita da Cristo. La malattia sparì all’improvviso, così come si era presentata, nella primavera del 1585. In aprile ricevette le stigmate e fu sposata misticamente a Cristo che le donò un anello. Allo stesso modo cominciarono a suscitarsi una serie di prove, un deserto che andava trasformando tutto il suo essere in un fuoco d’amore che marcava il suo incontro col Creatore.

Una persona come lei, rivestita di innocenza che sospirava per la purezza in un senso globale e stretto, soffriva enormemente constatando la tiepidezza morale dell’epoca che aveva impregnato anche la Chiesa. Nel 1586 attraverso un’estasi fu invitata a collaborare nella riforma della stessa. Nel 1589 fu designata vice-maestra delle novizie. L’anno seguente perse sua madre ed in una visione contemplò che era speranzosa e gioiosa nel purgatorio. Continuava sperimentando un profondo anelito di conversione per la Chiesa. Non contenta con il pregare insistentemente per lei, il 1° maggio del 1595 rinnovò la sua offerta a Dio con una promessa. Voleva strappare da Lui la grazia affinché nessuno rimanesse voltasse le spalle al dono della fede, e pregò che le fosse concesso il “nudo soffrire”. Sarebbe vissuta completamente distaccata da tutto quello che dovesse vedere con sè stessa. Ma quel momento supplicato da lei e nel quale sarebbe rimasta sommersa nell’abbandono che chiese sarebbe arrivato solo nove anni dopo, nel giugno del 1604. Da allora e fino alla sua morte sarebbe stata spoglia di consolazioni celestiali. Frattanto, il suo itinerario spirituale andava conducendola per i sentieri dell’alta mistica intessuti di sofferenze ma pieni di inenarrabili grazie.

Quell’anno 1595 fu nominata maestra delle professe. Nel 1598 maestra di novizie. Cesellò nel loro cuore i tratti del vero discepolo di Cristo, cominciando dalla vivenza della carità. Non prendeva nota delle esperienze soprannaturali che le accadevano. Ma i suoi superiori le indicarono di narrare la sua vita spirituale per obbedienza. E dovette dettare i suoi favori, scritti in Colloqui e Rinnovamento della Chiesa, tra gli altri. In essi rimane plasmata la sua particolare “pazzia della croce”, la sua eleganza nell’abbraccio a questo simbolo del cristiano, la sua prodezza nel richiedere e assumere per amore ogni sofferenza, ricolma di urgenza apostolica che la portava a supplicare infiammata: “Anime, Signore; datemi anime! “. “Invidio la fortuna degli uccelli che possono volare per il mondo. Se io avessi ali volerei alle Indie lontane per raccogliere i suoi bambini abbandonati e se Cristo mi domandasse se ho fede io gli risponderei con le mie opere.”  

La sua immolazione si svolgeva tra la preghiera che era comunicazione con Dio e l’Eucaristia. Assorta nella meditazione, con una capacità per immergersi nel divino, poteva passare varie ore riflettendo su due o tre punti del vangelo. Nel 1607, poco prima della sua morte, mentre si trovava nel giardino vicino alle sue sorelle, in un’estasi le fu dato a contemplare il purgatorio. Le religiose l’ascoltavano proferire: “Misericordia, Dio mio, misericordia!”. Questa visione fu specialmente dolorosa per lei che comprovò inorridita le pene sofferte da coloro che anteposero la loro  impenitenza all’amore. Alla fine pregò di non tornare a presenziare qualcosa di simile. Estrasse questa lezione: “Dimmi, Signore, il perché del tuo proposito, di farmi scoprire quelle terribili prigioni delle quali sapevo tanto poco e comprendevo ancora meno… Ah! ora capisco; desideravi darmi la conoscenza della tua infinita santità, per farmi detestare sempre di più la più piccola macchia di peccato che è tanto abominevole davanti ai tuoi occhi”. Morì il 25 maggio 1607 in fama di santità, preceduta dai suoi miracoli.

Urbano VIII la beatificò l’8 maggio 1626. Clemente IX la canonizzò il 28 aprile 1669.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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