
“Monaco, fondatore, patrono della Russia, grande propagatore del culto alla Santissima Trinità. La famosa icona di Andrej Rubljow è l’erede dei suoi insegnamenti”.
Nacque a Rostov all’inizio del secolo XIV in un anno impreciso; l’arco fissato da diverse fonti che includono date distinte si trova tra il 1312 e il 1322. Fu battezzato col nome di Bartolomeo. Cosciente della sua difficoltà per l’apprendistato pregava Dio affinché aprisse la sua mente. In mezzo ad un fatto prodigioso che gli accadde, attraverso un monaco, ricevette la grazia richiesta. La sua precoce vocazione alla vita monastica non ottenne l’approvazione dei suoi genitori che si mantennero fermi nel diniego fino a poco prima di morire, quando egli era già sulla ventina. Allora, insieme a Stefano, suo fratello maggiore che condivideva lo stesso ideale, lasciarono la casa paterna e l‘eredità nelle mani del più piccolo e si disposero a compiere il loro sogno. Ambedue scelsero come dimora un posto recondito del bosco vicino al fiume Conchúry. Lì misero il segno monastico erigendo una Chiesa ed un’umile cella che dedicarono alla Santissima Trinità; fu benedetta dal sacerdote Feognósto.
Stefano partì per Mosca per farsi carico di un altro monastero, e Sergio proseguì impregnandosi della solitudine monastica, dedito ad un’intensa orazione e digiuno seguendo la scia degli antichi monaci del deserto. Avendo preso l’abito che gli passò Mitrofan, abate di un monastero, si sforzava per seguire i passi dei grandi eremiti del deserto, come san Antonio o san Giovanni Clímaco, tra gli altri. La grazia di Dio e l’esempio di lotta contro ogni tipo di tentazioni che gli diedero i venerabili cenobiti l’aiutarono a superare le sue; affrontò molteplici difficoltà e superò anche molti pericoli. Gli animali selvaggi -verso i quali ebbe un dono speciale- lo rispettavano.
I frutti della sua penitenza ed umiltà si manifestarono in un modo inaspettato per lui. Benché detestasse la notorietà e volesse mantenere come difesa la sua austera vita, non poté evitare che molti arrivassero fin lì volendo emularlo e seguire Cristo sotto la sua protezione. La Provvidenza spargeva i semi dell’amore che era germogliato nel suo cuore con lo splendore immarcescibile dell’umiltà ed il distacco da tutto quello che impedisce di correre dietro all’unione con la Santissima Trinità. Rifiutò l’incarico di abate, fino a che nel 1354 una voce interiore lo persuase che doveva accogliere senza riserve la volontà di Dio. Sollecitato da Lui, diede risposta alle richieste dei suoi seguaci, trasformandosi in fondatore ed abate del monastero della Santissima Trinità.
Predicava con la sua virtuosa vita, oltre a farlo con la parola, mosso da grande zelo apostolico e carità. Pregava con tanta fede che sempre piovevano dal cielo le benedizioni, attenuando le necessità dell’austera comunità. A lui arrivavano persone confuse che speravano di vedere in lui segni esterni di opulenza. E incontravano un uomo santo, umilmente coperto da un saio più volte rammendato, svolgendo modesti compiti. Nel riceverli e nel parlar loro si operavano miracoli che suscitavano un immediato pentimento e la conversione dei loro cuori.
Sergio era stato premiato col dono delle apparizioni. In una di esse la Vergine Maria gli assicurò che li avrebbe protetti tutti. Vaticinò anche che il monastero sarebbe stato favorito da numerose vocazioni. Molti chiedevano la sua benedizione e consiglio. Tra essi, il principe moscovita Dmitry Ivanovich, che nel 1380 fu aiutato nella famosa battaglia di Kulikov contro i tartari. Volle che l’accompagnassero due dei suoi monaci che perirono nella contesa. Non era stata una decisione precipitosa; sapeva bene il rischio che correvano. Di fatto, quando espose la sua opinione al principe con valore e fermezza, cosciente che un discepolo di Cristo vive al limite nella sua offerta, affidato alla grazia di Dio, gli aveva detto: “Se i nemici vogliono da noi l’onore e la gloria glieli daremo, se vogliono argento ed oro, glieli daremo anche quelli; ma se, per il nome di Cristo, per la fede ortodossa, è necessario donare la propria anima, allora che il sangue scorra”.
Nell’ambiente del convento andarono fiorendo nuovi abitanti, ed i monaci cominciarono a ricevere elemosine e ad estendere il loro lavoro accogliendo malati e pellegrini. Sergio dovette affrontare momenti interiori di grande difficoltà. Non gli piaceva il governo che aveva accolto per obbedienza, fino a che l’insurrezione di alcuni discepoli lo sollecitò a lasciarli, e si stabilì nuovamente nel bosco, in solitudine, alla foce del fiume Kirzhach. Lì visse pochi anni perché il metropolitano Alexis di Mosca che l’aveva in alta stima e gli aveva affidato missioni diplomatiche per riconciliare alcuni principi, lo pregò di ritornare al convento. Quando Alexis, desideroso che il santo fondatore gli succedesse, volle insignirlo con la croce d’oro, simbolo di tanto alta missione, Sergio la respinse, dicendo: “Fin dall’infanzia non usai oro, alla vecchiaia con più ragione voglio mantenermi nell’umiltà”
Il suo convento della Santissima Trinità fu benedetto dal patriarca Filofey che approvò anche le sue regole. Prima di morire pregò i suoi fratelli che le compissero scrupolosamente. Fu l’insigne propagatore del culto alla Santissima Trinità. La conosciuta icona del monaco Andrej Rubljow su questo mistero – che dipinse sotto il patriarcato di Nikon, successore di Sergio -, è erede dei suoi insegnamenti. Questo grande patrono della Russia morì a Mosca il 25 settembre 1392.
Fu canonizzato dal papa Nicola V nel 1449, che si fece eco della venerazione che già riceveva, proclamando le sue virtù e che la Russia, il suo paese originario e di cui è patrono, continua a dispensargli.
Nel 2000 Giovanni Paolo II ha incluso il nome di san Sergio nel Martirologio Romano.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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