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Santo

San Pietro Claver, 9 settembre

By 8 Settembre, 2024No Comments

“Insigne missionario gesuita spagnolo. Si definì uno schiavo degli schiavi; donò loro la sua vita amandoli in Cristo, a Cartagena, Colombia. Fu canonizzato insieme al suo ammirato fratello san Alonso Rodríguez”

Nacque a Verdú (Lerida, Spagna) il 26 giugno 1580. I suoi genitori erano contadini; avevano un’agiata posizione economica. Ebbe cinque fratelli, benché ne sopravvivessero solo tre. Pedro era il più piccolo di tutti. Perse uno di essi e suo padre a 13 anni. A 15 ricevette la tonsura con l’intervento del vescovo di Vich. Quindi studiò nell’università di Barcellona e nella scuola di Betlemme, diretto dai gesuiti. Gli piacque il carisma e nel 1602 diventò novizio della Compagnia di Gesù a Tarragona. Professando annotò nel suo quaderno: “Fino alla morte devo consacrarmi al servizio di Dio, facendo conto che sono come schiavo che tutto il suo impiego deve essere al servizio del suo Padrone e nel cercare con tutta la sua anima, corpo e mente di piacergli e farlo contento in tutto e per tutto”. Proseguì la sua formazione a Girona. Concludendola fu trasferito a Maiorca dove rimase tre anni, i più felici della sua vita, dovuto, in larga misura, al fatto che il santo portinaio della scuola di Montesión di Palma, Alonso Rodríguez, gli aprì le porte del convento e del suo cuore.

Questo insigne religioso aveva un’età avanzata quando trovò il giovane Pedro un po’ titubante in relazione alla sua ordinazione sacerdotale e sui passi che doveva dare. L’accompagnò con chiarezza e fermezza, portandolo a compiere la volontà di Dio che conosceva attraverso una visione e locuzione divina nelle quali si vaticinava la santità e gloria che Pedro avrebbe raggiunto, e della quale non gli parlò mai. Solo gli disse che avrebbe lavorato con i negri a Cartagena. Con il permesso dei superiori, tutte le notti trattavano temi spirituali. San Alonso l’incoraggiava ad andare in missione. Nel 1608 Pedro ritornò a Barcellona per formarsi. Salutando l’ammirevole portinaio gli diede il “Ufficio Minimo dell’Immacolata” ed un quaderno di avvisi spirituali, un pregiato lascito che portò sempre con sé. Nel mazzo di opere scelte che nutrivano la sua riflessione, la più importante era il Vangelo, ed in concreto la Passione di Cristo. Con essa ed il crocifisso aveva tutto. Nel 1610 partì per le Indie. Studiò teologia a Santa Fe di Bogotà ed a Tunja. Poi lo trasferirono a Cartagena dove fu ordinato sacerdote nel 1616.

Centinaia di migliaia di schiavi passavano per quel porto marittimo di primordine, provenienti da diverse parti dell’Africa. L’inumana condanna alla quale erano sottoposti incominciava nel momento della loro cattura. Il viaggio si trasformava in atroce incubo che proseguiva una volta arrivati in porto per essere venduti. Pedro era stato destinato a prestare il suo aiuto al padre Sandoval incaricato di portare la fede ai negri. Imparò molto vicino a lui. Sommò alla consacrazione apostolica del religioso la sua eccelsa virtù: abbracciava gli schiavi, portava loro cibo, parlava loro dell’amore di Dio, li battezzava, li curava e perfino baciava le loro piaghe purulente. Quando Sandoval partì per Lima nel 1617, Pedro proseguì con le sue tattiche: si ingegnava per sapere quando una barca stava per entrare, ed era il primo ad uscire al loro incontro. Portava loro alimenti e dava loro quello che otteneva con le sue elemosine. Sciolse le difficoltà di comunicazione creando una squadra di interpreti di diverse nazionalità. Neanche loro potevano seguire il ritmo intenso che viveva. E questo senza contare che, solamente le sue mortificazioni, le cinque ore giornaliere di orazione ed il frugale cibo che prendeva, erano sufficienti per farlo cadere malato. Inoltre, praticamente rispondeva a tutto egli solo. Contò sull’aiuto di un altro gesuita, Carlos di Orta che morì un anno più tardi, fino a che nel 1620 ritornò Sandoval.

Dedicò quarant’anni della sua vita ad un’eroica carità, accendendo l’unica fiamma di speranza che queste vittime della crudeltà di altri connazionali trovarono. Ammucchiati nella barca, in condizioni insalubri estreme, scarsi di alimento, inorriditi per tanta brutalità e tremando sempre per il loro futuro che non prediceva altro che morte, vivevano male tra odori nauseabondi. Con disegni e stampe Pedro fece loro conoscere le verità essenziali della fede. Vedendo brandirlo il crocifisso e darsi colpi di petto, capivano la portata della Redenzione e chiedevano perdono. Nessuno diede loro più amore in questo mondo che quello che ricevettero dal santo. Professando nel 1622 aveva scritto: “Io, Pedro Claver, dei negri schiavi per sempre”. Li difese valorosamente, benché gli costasse non pochi dispiaceri. Non si capiva il perché amministrasse i sacramenti ai suoi amati schiavi che erano considerate persone “senza anima”. Perfino i suoi superiori in certi momenti lo corressero per i suoi “eccessi”. Piovvero critiche anche dagli infami mercanti e da persone di alto lignaggio che non erano d’accordo con la sua azione. Non ebbe considerazioni per nessuna di esse; era al fianco del più debole.

Il linguaggio universale dell’amore fu quello che tanti poveri disgraziati capirono. Quelli che stavano per essere giustiziati chiedevano la sua presenza. Il suo conosciuto mantello, col quale asciugò le loro lacrime, curò ed asciugò i loro sudori, servendo da pedana per i malati, perfino per i più ripugnanti, e l’accompagnò fino alla fine. Ma gli schiavi non erano gli unici recettori della sua carità. Soccorreva anche i negri, malati, indigenti ed invalidi di Cartagena e Provincia, come pure i carcerati, senza preoccuparsi del loro credo. Nella sua eroica attività includeva l’assistenza a due centri ospedalieri: San Sebastiano e San Lazzaro. Nel 1651, assistendo i malati nell’epidemia di peste, ne fu infettato; gli produsse una paralisi che continuava ad aumentare. Sulla mula e con un bastone continuò a cercare i suoi schiavi, soccorrendoli e portandoli alla fede. Incapace di muoversi, improvvisamente si sentì solo, e pensò che era una penitenza che gli conveniva per i suoi peccati. Furono tre anni di intense sofferenze, umiliazioni e solitudine. Ma quando agonizzava il 9 settembre di 1654, una marea umana voleva toccarlo e strappare i suoi poveri vestiti; non lo lasciavano neppure morire in pace. Aveva istruito e battezzato 300.000 schiavi.

Pio IX lo beatificò il 16 luglio 1850. Leone XIII lo canonizzò insieme a san Alonso Rodríguez il 15 gennaio 1888.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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