“Sentendosi missionario di Cristo, questo grande salesiano non temeva la morte. Fu fucilato in Cina, nel luogo dove evangelizzava, insieme ad un altro fratello, mentre difendevano l’integrità fisica di alcune giovani che li accompagnavano”.
Questo martire salesiano nacque a Oliva Gessi (Pavia, Italia) il 5 giugno 1873. Quando a 12 anni arrivò all’Oratorio torinese di Valdocco, diretto da Don Bosco, per studiare lì e compiere il suo sogno di diventare veterinario, era un ragazzo educato, socievole, ingegnoso e molto sensibile. Nei due anni e mezzo che passò a fianco del fondatore dei salesiani che fu il suo direttore spirituale, cambiò parere. Semplicemente nel vedere la sua forma di vita, si trasformarono le sue previsioni di futuro che non erano avviate alla vita religiosa. Inoltre, ebbe l’onore di pronunciare il discorso di auguri il giorno del suo onomastico, l’ultimo che Don Bosco celebrò sulla terra, in quanto morì il 31 gennaio 1888. Un anno prima si diresse a Luigi con queste parole: “Vieni a trovarmi, ho qualcosa da dirti”. Ma non ci fu più occasione di realizzare questo incontro.
L’11 marzo di quello stesso anno Luigi sentì battere nel suo cuore l’ardore missionario quando nella basilica di Maria Ausiliatrice vide come si imponeva il crocifisso a sette salesiani pronti a partire per i loro destini. E seguì i passi del suo fondatore. Definitivamente abbandonava l’idea di essere veterinario. Fece il noviziato a Foglizzo, e professò a 16 anni.
Quindi studiò con impegno nell’università Gregoriana di Roma e non smise di dare testimonianza della sua fede ai giovani che trovava al passaggio nell’Oratorio del Sacro Cuore; aveva come modello Don Bosco. Nel 1893 ottenne brillantemente il grado di dottore in filosofia in un’età splendida, appena oltrepassata la ventina. Mentre impartiva lezioni ai novizi a Foglizzo Canavese (Torino) si impiegava con coscienza nello studio delle discipline che lo avrebbero avviato al sacerdozio, sacramento che ricevette nel 1895.
Il suo anelito era partire in missione. E naturalmente ci sarebbe andato, come egli desiderava, ma non in quel momento. Padre Michele Rua, successore di Don Bosco, aveva visto le sue qualità ed aveva già per lui un’altra responsabilità. Non considerò la sua gioventù, e lo nominò direttore e maestro di novizi a Genzano, un centro che egli aveva appena creato. Indovinò in pieno, perché realmente Luigi era un grande formatore, come dimostrò nei nove anni che stette alla guida della casa.
Siccome il suo affanno missionario si manteneva intatto, approfittò di quel tempo per imparare le lingue, strumento conveniente per chi si mostra disposto a viaggiare in terre lontane per evangelizzare, come era il suo caso. Il momento tanto desiderato arrivò nel gennaio del 1906. Il suo nuovo destino: Cina. Aveva allora la mitica età di 33 anni, ed il suo cuore traboccava di giubilo. Andava alla testa della prima spedizione di salesiani che aveva come destinazione questo paese asiatico.
Arrivando a Macao, subito si convertì nel “padre degli orfani”: i 55 bambini dell’orfanotrofio che il vescovo mise nelle mani di questi missionari, centro diretto spiritualmente da Luigi, e nel quale lasciò la sua impronta apostolica. Le tensioni politico-sociali si scatenarono quattro anni più tardi, e con esse l’anticlericalismo di origine portoghese che toccava in pieno i territori che dipendevano dallo Stato lusitano.
Questo comportava l’espulsione dei salesiani che dovettero partire per Hong Kong. Lì, a richiesta del vescovo, si fecero carico di un altro orfanotrofio in mezzo alla straripante allegria dei cittadini di Heung Chow. Sfortunatamente, un monsone spianò la sua casa e spostò i religiosi a Shek Ki. Dal 1912 al 1920 Luigi diresse saggiamente la missione. Si aprirono nuove residenze e poterono seguire le fondazioni di Macao e di Fiume di Perle. Creativo e pieno di progetti per migliorare la vita della gente, creò una scuola di commercio e diverse officine che ebbero come risultato una maggiore espansione.
Nel 1920 fu designato vescovo di Schiu Chow. L’istante non poteva essere più compromettente poiché, lungi dal dissolversi, gli attentati contro la fede cattolica aumentavano. Niente di ciò fermò il santo. Continuò a dare impulso a scuole, seminari, case di formazione, orfanotrofi, residenze di anziani, catechizzando opportunamente e inopportunamente. Vicino, fraterno, con un marcato spirito paterno tutelava la vita dei suoi fratelli e non chiedeva a loro sforzi che egli non avesse realizzato prima. La mortificazione entrava dentro un itinerario spirituale benedetto da numerosi frutti apostolici. Maria Ausiliatrice illuminava la sua attività. “Senza di Lei – diceva -,noi salesiani non siamo niente.”
Nei dieci anni seguenti che mancavano al suo martirio, si erano prodotti gravi litigi contro i missionari. Manifesti, minacce, insulti…, fino ad arrivare a spianare chiese e missioni. Il 24 febbraio 1930 Luigi partiva verso Linchow con un altro salesiano, padre Callisto Caravario, e tre alunne salesiane. Furono catturati e legati e li condussero in un bosco di bambù mentre li facevano oggetto di linciaggio fisico e verbale. Volevano distruggere la chiesa e violentare le giovani.
I due sacerdoti, decisi a dare la loro vita, cercarono di proteggerle. Ma i violenti decisero di ucciderli, fucilandoli seduta stante. Previamente poterono pregare in ginocchio e confessarsi tra loro. E prima con il loro coraggio avevano lasciato stupefatti gli aguzzini. Abituati a vedere ritratto il terrore della morte nelle pupille dei condannati, scoprirono nei missionari la gioia dell’offerta suprema a Dio: quella della propria vita.
Nel 1976 Paolo VI dichiarò martiri della Chiesa questi missionari. Furono beatificati da Giovanni Paolo II il 15 maggio 1983. Egli stesso li canonizzò il 1° di ottobre del 2000.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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