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Santo

San Giuseppe Benedetto Cottolengo, 30 aprile

By 29 Aprile, 2024No Comments
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“Un genio del bene, acclamato come canonico buono, un angelo della carità per i poveri e i malati. Fondatore dei Fratelli di Giuseppe B. Cottolengo, degli eremiti del Santo Rosario e dei sacerdoti della Santissima Trinità”.

Forse i “cottolenghi” creati da Giuseppe sono più conosciuti di lui stesso. Nacque il 3 maggio 1786 nella località italiana di Bra (Cuneo, Piemonte). Fu il primogenito di dodici rampolli nati in mezzo ai tragici eventi della Rivoluzione francese che colpì anche il Piemonte. In mezzo alla clandestinità imposta ai credenti, frequentò studi per ordinarsi. E vedendo che rivestivano grande difficoltà per lui, si raccomandò a san Tommaso d’Aquino, al quale attribuì la grazia di aver superato tutti gli esami. L’8 giugno 1811 ricevette il sacramento dell’ordine nella cappella del seminario di Torino. Lì aveva conosciuto san Giovanni Bosco.

Come vice-parroco di Corneliano d’Alba diede dimostrazioni del suo zelo apostolico. Celebrava la messa alle tre dell’alba affinché i contadini potessero partecipare ad essa prima di iniziare la loro giornata lavorativa. Li incoraggiava dicendo: “Il raccolto sarà migliore con la benedizione di Dio”. Si addottorò in teologia nel 1816 e si integrò nella congregazione dei canonici della chiesa del Corpus Domini a Torino, ma la sua strada sarebbe stata un’altra. La testimonianza della sua ardente carità indusse i parrocchiani a chiamarlo il “canonico buono“, giudizio condiviso dai membri del consiglio comunale. Uno di essi manifestò: “C’è più fede nel canonico Cottolengo che in tutta Torino.”    

L’esempio di san Vincenzo de Paoli, che l’impressionò leggendo la sua biografia e gli insegnamenti, suppose una grande trasformazione per lui. Ed il fatto luttuoso che avvenne il 2 settembre 1827 segnò la sua vita. Una donna francese, Giovanna M. Gonnet, che viaggiava da Milano a Lyón insieme a suo marito ed a tre figli, gestante del sesto mese di gravidanza, richiedeva immediata attenzione in quanto si trovava gravemente malata. Il santo la guidò ad un vicino ospedale, ma le negarono l’aiuto. Innanzitutto per questioni burocratiche, poiché era straniera, e poi per carenza elementare di mezzi per finanziare il trattamento. Rapidamente la trasportò nell’ospizio di maternità con gli stessi risultati. Impotente ed afflitto, Giuseppe tentò di farla vedere ad altri centri, ma la donna morì tra le sue braccia in mezzo a molte sofferenze. Profondamente desolato, si disse: “Questo non può tornare a succedere. Devo fare qualcosa affinché la gente senza mezzi abbia un posto a cui accorrere.”    

Si liberò da tutto quello che aveva, compreso il mantello, e cominciò la sua azione caritatevole il 17 gennaio 1828 in una stanza che affittò a quello scopo. Mise quattro letti ed aprì l’ospedale “Volta Rossa”. Nel suo impegno l’aiutarono il Dr. Lorenzo Granetti, il farmacista Paolo Anglesio, e Mariana Nasi Pullini, vedova e con molte risorse, che diresse il centro e gli fornì i mezzi per metterlo in moto. Diede a questa opera il nome di Dame della Carità. In tre anni c’erano 210 internati e 170 assistenti, benché poi fondasse espressamente una congregazione dedicata all’attenzione di persone invalide, designando superiora la Nasi.

Nel 1831 l’ospedale fu chiuso dalle autorità di Torino timorose che attraverso di esso si propagasse l’epidemia di colera che devastava il paese. Questa decisione era un contrattempo. Ma Giuseppe, sicuro che la volontà di Dio sta dietro qualunque circostanza che circonda la vita, pensò: “Perché questo ordine, che sembra assurdo e senza pietà, non può essere provvidenziale?”. E siccome era un santo, lontano dal disperarsi, sentendosi fortificato non perse tempo. Vedendo che nuovamente i poveri e malati si trovavano nel più assoluto abbandono, si stabilì in un altro quartiere, a Valdocco e fondò la Piccola Casa della Divina Provvidenza. Col tempo si sarebbe trasformato in un magnifico ospedale nel quale sarebbero stati curati fino a 10.000 pazienti. Per suo ordine sulla porta si scolpì: La carità di Cristo ci anima”. Il suo eccelso lavoro e le sue grandi virtù influirono grandemente sulla vita di san Luigi Orione.

Nel 1833 fondò la congregazione dei Fratelli di San Vincenzo, attuali Fratelli di Giuseppe B. Cottolengo. Istituì anche gli eremiti del Santo Rosario ed i sacerdoti della Santissima Trinità. Il diavolo volle mettere limite alla sua smisurata attività. Ma la sua fede nella divina Provvidenza spronava la sua mirabile carità e così inaugurò nuovi padiglioni dove poteva accogliere malati sottoposti ad estrema povertà. Non lasciava nessuno abbandonato. Nei suoi centri ricevevano attenzione ed affetto malati mentali, orfani, invalidi, abbandonati e sordomuti. Dio gli forniva il necessario per mantenerli, curando coloro che li assistevano attraverso fatti certamente prodigiosi. Sapeva abbondantemente che consegna e fiducia, in Lui unite, portavano a grandi miracoli. “Se manca qualcosa è perché confidiamo poco o diventiamo indegni“, faceva notare ai vicini. Agiva con sagacità evangelica: “Accetteremo altri poveri! “. Era come un evento diretto al cielo: “se la divina Provvidenza deve darci, è necessario che la casa sia vuota”. E la sua fede attirava la grazia che non ha mai fondo: “la banca della divina Provvidenza non conosce la bancarotta”. Il denaro o beni materiali sorgevano non si sa di dove nel momento preciso, fatto che si produsse fino ad alcuni giorni prima di morire. Egli l’attribuiva a Maria: “Non abbiate paura, la nostra Signora sta con noi ci protegge e ci difende.”   

Nella sua orazione non c’erano altre intenzioni se non il Regno di Dio e la santità. Il resto lo lasciava all’arbitrato di Lui. In realtà, un giorno in cui si trovavano ancora più privi di tutto, le sue suppliche non erano che arrivasse alla casa alimenti o medicine, bensì: “Signore, che si realizzi sempre la tua santissima volontà. Che ti amiamo. Che obbediamo a te. Che ti facciamo amare e conoscere”. Il suo molto lavoro ed intensa dedicazione debilitarono la sua salute. “L’asino non vuole camminare”, diceva con umore vedendosi limitato. Nel 1842 il tifo si estese su Torino colpendo in pieno il santo che morì il 30 aprile di quell’anno.

Benedetto XV lo beatificò il 29 aprile 1917. Pio XI che lo denominò “un genio del bene“, lo canonizzò il 19 marzo 1934.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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