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Santo

San Giovanni XXIII Papa (Angelo Roncalli), 11 ottobre

By 10 Ottobre, 2023Aprile 17th, 2024No Comments
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“L’inattesa influenza ecclesiale e mondiale di un uomo buono che fin da bambino visse con profonda pietà. Fu un gran pacificatore, artefice del Concilio Vaticano II e di memorabili encicliche come la “Pacem in terris” e la “Mater et Magistra

Angelo Giuseppe, internazionalmente conosciuto per la sua affabilità come il “papa buono”, nacque il 25 novembre 1881 a Sotto il Monte (Bergamo, Italia). Era il quarto di tredici fratelli di un’umile famiglia di pii contadini. Crebbe rivestito delle profonde convinzioni religiose del clan Roncalli. Suo zio e padrino Saverio ebbe una influenza notevole sulla sua formazione spirituale. Entrò nel seminario di Bergamo nel 1892.    

Nel 1895 cominciò a redigere il suo straordinario “Diario dell’anima” mentre realizzava gli esercizi spirituali. Non solo riportò su di esso buoni propositi ma, all’essere fedele a questi, strappò per la sua vita un cumulo di benedizioni. Incluse modelli quotidiani di preghiera, riflessione, esame di coscienza, lettura di libri devoti, preghiere a Maria, della quale fu devoto, etc. Un programma minuzioso che andava ampliando secondo il mese, l’anno, e per ogni tempo, caratterizzato dalla concisione in quanto alle pratiche delle virtù nelle quali aveva giudicato di dover progredire. Si raccomandava ai suoi santi preferiti che erano, insieme a Bernardino, Luigi Gonzaga, Stanislao di Kostka e Giovanni Berchmans, tutti modelli della purezza alla quale aspirava. Allora si rese conto che l’avrebbe condotto all’altare “la vita nascosta, preghiera e lavoro. Pregare e lavorare, lavorare pregando.”    

Il Diario mostra la sua straordinaria sensibilità plasmata nel suo amore per Cristo, per la Chiesa, per la sua famiglia e per il genere umano: “qualunque forma di sfiducia o di trattamento scortese con qualcuno -soprattutto, se si tratta di deboli, poveri o inferiori-, qualunque durezza o irriflessione di giudizio mi procurano pena ed intima sofferenza”. Rivela la coscienza della propria indigenza –“il Miserere per i miei peccati dovrebbe essere la mia preghiera più familiare”-, l’umiltà e generosità di un’anima nobilissima, disposta a conquistare la santità: “il pensiero che sono obbligato, come mio compito principale ed unico, a diventare santo costi quello che costi, deve essere la mia preoccupazione costante; ma preoccupazione serena e tranquilla, non opprimente e tiranna”. Insomma, il Diario rivela la traiettoria vitale e spirituale di questo grande uomo di Dio. È uno di quei testi che, per il suo insegnamento, meritano stare alla guida di qualunque persona.   

Borsista nel 1901 per la diocesi di Bergamo, proseguì la sua formazione nel Pontificio Seminario Romano. Mentre aspettava il momento della sua ordinazione che avvenne nel 1904, compì il servizio militare. Nel 1905 fu designato segretario del vescovo di Bergamo, Giacomo Maria Radini Tedeschi, missione che compì in contemporanea con l’insegnamento come professore nel seminario di diverse discipline ed altre azioni pastorali ed apostoliche. Cominciava ad essere riconosciuto come eccellente predicatore e reclamato da diverse istituzioni cattoliche. Monsignor Radini morì nel 1914, e l’anno seguente il futuro pontefice dovette partire per il fronte come sergente sanitario e cappellano dei combattenti feriti in battaglia.    

Terminata la Prima Guerra Mondiale, creò la “Casa dello studente” e svolse un gran lavoro tra gli alunni. Fu direttore spirituale del seminario nel 1919, e da allora la sua carriera diplomatica fu inarrestabile. Presidiò il consiglio centrale delle Opere pontificie per la Propagazione della Fede, fu visitatore apostolico e vescovo della Bulgaria con sede in Areópoli, delegato apostolico in Turchia e Grecia, nunzio apostolico a Parigi, e finalmente, cardinale e patriarca di Venezia nel 1953. In queste rilevanti missioni furono evidenti la sua semplicità ed apertura, come il suo carattere rispettoso e dialogante. Era un osservatore eccezionale e seppe agire con prudenza e tatto in tutti i momenti delicati che gli furono presentati. Accolse già allora membri di altre religioni. Al suo passaggio lasciò copiosi frutti, riappacificando gli animi tra il clero e l’ambiente diplomatico. Nella Seconda Guerra Mondiale aiutò molti ebrei fornendo loro il “visto di transito”. Ebbe sempre presente il “fiat” evangelico: “Basta la preoccupazione del presente; non è necessario avere fantasia ed ansietà per la costruzione del futuro”.    

Quando nel 1958, contando già 77 anni, fu eletto pontefice, nessuno poteva immaginare -e meno ancora egli stesso- che il suo pontificato sarebbe diventato una pietra miliare di insondabili proporzioni nella Chiesa. “Non posso guardare troppo lontano nel tempo”, diceva. Tuttavia, in cinque anni scarsi fu artefice di un rinnovamento senza precedenti. “Obbedienza e pace”, il motto che scelse quando fu nominato vescovo della Bulgaria, continuava ad incoraggiare la sua vita che lo spingeva all’amore. Non si dimenticò dei malati, specialmente dei bambini, né dei carcerati che confortò visitandoli, portando con la sua testimonianza il vangelo della mansuetudine, dell’allegria evangelica e della generosità. Fu un intrepido apostolo, creativo, innovatore… Con quel gesto di pace che l’accompagnò apriva le sue braccia a tutti. Ma fu anche un papa fermo. Non dubitò di tagliare alla radice forme di vita della curia che giudicò improprie della loro condizione, ottenne che si rispettassero i diritti lavorativi degli impiegati del Vaticano, designò a cardinali i membri di paesi lontani dell’Oriente e dell’America, qualcosa di innovativo nella Chiesa, ecc.    

Dopo tre mesi di pontificato convocò il Concilio Vaticano II, e poco dopo ebbe un incontro con l’arcivescovo di Canterbury. Il Concilio cominciò l’11 ottobre 1962 e con esso aprì la porta all’ecumenismo. “Quello che più vale nella vita è Gesù Cristo benedetto, la sua santa Chiesa, il suo Vangelo, la verità e la bontà”, disse prima di morire. Aveva voluto rinnovare la Chiesa allo scopo che potesse affrontare la sua missione evangelizzatrice nella tappa moderna nella quale era inserita con questo luminoso criterio: fare attenzione “a quello che ci unisce e non a quello che ci separa”. Scrisse otto encicliche, tra le altre, la “Pacem in terris” e “Mater et Magistra”. Nel maggio del 1963 si conobbe la funesta diagnosi: cancro allo stomaco. Morì il 3 giugno di quell’anno in mezzo alla costernazione del mondo che l’amava profondamente. 

Giovanni Paolo II lo beatificò il 3 settembre 2000. E Francesco lo canonizzò il 27 aprile 2014.  

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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