“Questo gesuita, un evangelizzatore canadese, subì uno dei più atroci martiri conosciuti per mano di un gruppo di Irochesi. Disposto a morire per Cristo aveva scritto il suo voto di martirio che recitava quotidianamente davanti all’Eucarestia”.
“Io non morirò se non per te Gesù, che ti degnasti di morire per me […]. Prometto davanti al tuo eterno Padre e allo Spirito Santo, davanti alla tua santissima Madre e al suo castissimo sposo, davanti agli angeli, agli apostoli e ai martiri e al mio beato Padre Ignazio e al beato Francesco Saverio, e prometto a te, mio Salvatore Gesù, che non mi sottrarrò mai, in ciò che da me possa dipendere, dalla grazia del martirio, se qualche volta, per la tua infinita misericordia, lo offrirai a me, indegnissimo servo tuo…”. Ardentemente supplicò e ricevette Giovanni questa grazia del martirio alla quale fu fedelissimo, subendone uno dei più spaventosi che si conoscano.
Apparteneva a una ricca famiglia di proprietari terrieri. Nato a Condé-sur-Vire, in Normandia Orientale, il 25 marzo 1593. Lì imperava il calvinismo, ma i suoi professavano la fede cattolica. Studiò filosofia e teologia all’Università di Caen. All’età di 21 anni entrò in un percorso di discernimento vocazionale. Si preparò per unirsi alla Compagnia di Gesù, ma questioni familiari lo costrinsero a rimandare la sua incorporazione fino al 1617. Aveva 24 anni. Fece il noviziato a Rouen dove era considerato una vocazione tardiva. La sua difficoltà nell’assimilare le materie fu superata con una formazione personalizzata.
Professò nel 1619 e fu assegnato all’insegnamento. Contrasse la tubercolosi e dovette abbandonare la scuola. La sua condizione era così grave che, davanti al rischio di morte, il provinciale anticipò la sua ordinazione nel 1622. Il miglioramento fu tale che nello stesso anno riprese con brio le missioni affidategli: assistente economo della scuola e poi economo titolare. Sotto la sua responsabilità aveva 600 studenti. Più tardi, per indicazione del provinciale di Francia, assunse le missioni della Nuova Francia. La notizia, tanto desiderata quanto inaspettata, lo riempì di gioia. Sapendo che i francescani richiedevano la presenza dei gesuiti per seguire le fondamenta del Canada, anche se pensavano che la loro offerta non sarebbe stata accolta, si prestò a recarsi in quel paese.
Nel 1625 partì per la missione del Québec accompagnato da due religiosi. Pochi mesi dopo, conoscendo il linguaggio degli Algonchini, si affrettò a evangelizzare gli Uroni. Informato dell’alta pericolosità della zona, non temeva per la sua vita e si stabilì sul posto. Da lì estese il suo raggio d’azione ad altri luoghi abitati anch’ essi dagli Uroni. Fu una fase di profonda attività e fatica che gli permise di assimilare le loro condizioni di vita e le loro usanze, accolta da lui come se fosse uno di loro. Realizzò estenuanti viaggi attraverso foreste e laghi, sopportò il maltempo, i parassiti, la mancanza di igiene degli indiani e molti problemi di vario genere. Altri religiosi non furono in grado di integrarsi e tornarono indietro. Alla fine si trovò solo, ma rimase fermo nella sua missione. Il suo desiderio di martirio, legato al suo zelo apostolico, rimase intatto: “Dio mio, quanto mi fa male che non siate conosciuto, che questa regione straniera non si sia ancora convertita interamente a te, il fatto che il peccato non sia stato ancora sterminato da essa! Sì, Dio mio, se devono ricadere su di me tutti i tormenti che devono soffrire, con la loro ferocia e crudeltà, i prigionieri in questa regione, mi offro volentieri a sopportarli io solo”.
Nel 1629 dovette tornare in Francia, a quel punto emise i suoi voti perpetui. Essi rivelano una fedeltà irrevocabile: “Sia io distrutto prima di violare volontariamente una disposizione delle Costituzioni. Non mi riposerò mai, mai devo dire: Basta”. Nel 1633 tornò dagli Uroni di Ihonatiary. Fondò la Missione di San Giuseppe e intraprese un altro intenso lavoro apostolico. Tre anni dopo, i frutti erano visibili. Fu in grado di inviare 12 giovani Uroni in Quebec per essere educati nella Missione di Nostra Signora degli Angeli. Ma si scatenarono diverse epidemie, che alcuni Uroni attribuirono alla presenza dei missionari, così furono minacciati e Giovanni pensò che potesse morire. Quando ne scoppiò una a san Giuseppe, l’unico che rimase illeso fu lui, che aveva sfidato gli stregoni. Nel 1637 fondò Ossosané, la capitale degli Uroni. La nuova piaga, in questo caso di vaiolo, contribuì ad aumentare le ostilità. La convinzione della gente era che le “tonache nere” avevano causato tali disgrazie. Giovanni scrisse il suo voto di martirio che recitava ogni giorno a Messa. Una parte della popolazione lo amava. Pertanto, nel febbraio 1638 fu nominato capo Urone. Seguì un periodo di alti e bassi per quanto riguardava le benedizioni apostoliche fino a quando in una delle sue missioni subì una caduta e tornò in Quebec.
Nel 1641 fu nominato superiore di Sillery. Fin lì arrivarono prove dell’atroce martirio contro i fratelli che aveva mandato a evangelizzare. Le tracce delle torture di coloro che erano tornati vivi erano scioccanti. Giovanni, versando le sue lacrime per loro, rimase instancabile, dando impulso alle missioni. Dieci intensi anni di dedizione tra le popolazioni indigene nelle quali aveva amministrato il battesimo a 50 persone gli permisero di trasferire con proprietà questa impressione ai suoi superiori: “Questo campo di missione porterà frutti più tardi, ma solo attraverso una pazienza quasi sovrumana”. Tornò con gli uroni nel 1644. E quando aveva già trascorso nella regione vent’anni, trovò la palma del martirio. Accadde nel 1649. Dopo aver fondato nel territorio degli Irochesi, molti dei quali perseguitarono lui e la comunità, un gruppo di loro lo imprigionò nella Missione di St. Louis.
I supplizi furono terribili. Egli pregava: “Gesù, abbi pietà” mentre gli uroni rispondevano: “Echon (era il nome che gli avevano dato), prega per noi”. Il suo coraggio di fronte a tanta crudeltà portò i carnefici feroci a credere di essere di fronte a qualcuno che superando di gran lunga l’umano era vicino al soprannaturale. Il pomeriggio del 16 marzo 1649 spirò.
Pio XI lo canonizzò il 29 giugno 1930 insieme a diversi missionari gesuiti. Furono dichiarati patroni dell’evangelizzazione del Nord America.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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