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Santo

Beato Pere (Pietro) Tarres I Claret, 31 agosto

By 30 Agosto, 2024No Comments

“Presbitero e medico, esercitò una indiscutibile leadership tra i giovani e in tutte le missioni che gli affidarono, lasciando l’impronta del suo entusiasmo, della coerenza e dell’autorità morale. Fu un professionista che seppe arrivare al cuore dell’essere umano, dando valore al malato nella sua dignità come persona, infondendogli la speranza”

Nacque il 30 maggio 1905 a Manresa (Barcellona, Spagna). Aveva due sorelle; tutti furono educati nella fede. Suo padre, meccanico di professione, si trasferiva frequentemente a Badalona. E lì studiò con gli scolopi. Quindi a Manresa si formò coi gesuiti. Simpatico, aperto ed incline alla riflessione, era un ragazzo affascinante che aiutava il farmacista Josep Balaguer che lo incoraggiò a proseguire gli studi. Frequentò il liceo con una borsa di studio, e cominciò il corso di laurea in medicina all’università di Barcellona. In quell’epoca, anno 1922, frequentava l’Oratorio di San Filippo Neri che si trovava nel conosciuto quartiere di Grazia dove viveva. Lo dirigeva padre Jaume Serra fino a che esplose la Guerra Civile nel 1936. Si era integrato nella Federazione dei Giovani Cristiani, coltivava la preghiera, lo studio e realizzava un intenso lavoro apostolico, incarnato nella sua devozione all’Eucaristia e alla Vergine. Di quell’epoca dovette rimanergli chiaro, come disse, che “l’attività umana, qualunque essa sia, deve riposare su due fondamenti basilari: la costanza e la perfezione o miglioramento progressivo di quegli atti o discipline che l’uomo si impone”. Furono anni nei quali ebbe esperienza diretta del dolore, con la perdita di suo padre nel 1925, seguito da un grave incidente che soffrì sua madre, in conseguenza del quale rimase invalida. Nel 1927 a Monistrol de Calders, dove lavorò temporaneamente, consacrò la sua castità a Dio. L’anno seguente si laureò in medicina con premio straordinario. Inoltre, ebbe l’allegria di assistere alla consacrazione delle sue sorelle nell’Ordine delle Concezioniste.

Il suo lavoro come medico era realmente eccezionale, ricolmo dei suoi profondi valori cristiani. Diceva: “le nostre prestazioni all’esterno devono essere precedute da una buona preparazione all’interno”. Insieme al suo collega, il Dr. Manresa, aprì a Barcellona il Sanatorio della “Mare de Déu de la Mercè”. Vedeva Cristo in ogni malato; infondeva a tutti la fiducia in Lui, trasmettendo loro la sua allegria e speranza con un trattamento pio, caritatevole e rispettoso che estendeva anche alle loro famiglie: “per il medico, il letto del malato è un altare, ed il malato è l’immagine di Gesù Cristo”. Il suo entusiasmo era palpabile nei corridori dell’ospedale. Era convinto che “l’entusiasmo è vita, è amore, è audacia, è talento, è, in una parola, potenza creatrice. È tutta l’anima quella che si manifesta infocata di ideale sotto il dominio della ragione”. L’inizio della Guerra Civile lo sorprese a Montserrat, dove si trovava realizzando gli esercizi spirituali. Il monastero si mantenne intatto grazie alle sue gestioni, altrimenti sarebbe stato bombardato. Più tardi, dal suo rifugio a Barcellona portava di nascosto la comunione ai perseguitati per la loro fede ed ideali, contrari a quelli sostenuti dai miliziani che avevano nelle loro mani il potere. Egli stesso riuscì ad evitare l’assedio e la persecuzione alla quale fu sottoposto il suo domicilio.

Nel 1938 fu mobilitato come sanitario nel bando repubblicano ed i suoi servizi furono tanto eccezionali che gli stessi soldati reclamarono la sua nomina a capitano. Nel frattempo, si preparò per essere ordinato sacerdote. In una delle lettere che inviò a sua sorella Francisca quell’anno le diceva: “Amare alla follia, cara sorella, vuole dire inchiodare le nostre mani ed i nostri piedi, insieme alle mani ed ai piedi del nostro Divino Redentore; vuole dire arrivare vivaci, con la fronte alta e serena e con passo fermo fino al sacrificio della nostra vita, se è volontà di Dio, spargendo il nostro sangue in difesa del Nome Santissimo […]. Amare è sinonimo di soffrire. Quando più si apprezza, più si è capaci di soffrire per la persona amata. La sofferenza è la più alta espressione dell’amore. La sofferenza è la grande arma della santificazione […]. Il dolore è come le acque che scendono dalle cime, un’energia latente che è necessario sapere sfruttare. Offrendolo costantemente a Dio, faremo scendere dal cielo le grazie per la conversione del mondo […]. Non c’intratteniamo tanto nelle nostre miserie! Amiamo, amiamo, amiamo! L’amore è un fuoco purificatore. Abbandoniamoci assolutamente tra le sue braccia santificatrici”.  

Terminata la guerra, entrò nel seminario di Barcellona. Fu ordinato nel 1942 e fu incaricato di diverse missioni nella diocesi di Sesrovires. Poi, frequentò studi teologici a Salamanca, e ritornando a Barcellona continuò a svolgere un intenso lavoro apostolico a Sarrià. Diresse il centro femminile di Azione Cattolica, guidò opere diocesane e benefiche, fondò l’opera benefico-assistenziale di attenzione ai tubercolosi, ecc. Le difficoltà lo perseguitavano e le affrontava con carità, fortezza e prudenza. Era un leader, con autorità morale, coerente, che si impegnava apertamente nell’ideale che professava: “Se le parole non sono seguite dalle opere, è come il suono delle campane che il vento si porta via. Se la vita, gli atti degli uomini, non sono in accordo con le idee che professano e propugnano, invano lavorano e lottano in difesa di quelli che affermano essere i loro più nobili ideali. È ora di realtà e non di parole vuote di senso. È ora di definirsi. Non possiamo ammettere le mezze tinte”.

Nel maggio del 1950 gli diagnosticarono un linfosarcoma linfoblastico. In quel momento per questo grande professionista che aveva detto: “il medico è come il sacerdote che offre il dolore a Dio”, dovettero avere un peso significativo queste altre sue parole: “amare è il grande dono dell’uomo; essere amato è il suo più grande desiderio ed un uomo non ne ha mai tanto bisogno come quando è schiacciato dal peso del suo dolore. Quello che non possono guarire né le medicine, né i più energici trattamenti, l’ottiene una parola gentile, un soave sorriso, un gesto affettuoso”. Offrendo le sue sofferenze per la conversione dei sacerdoti, morì il 31 agosto di quell’anno nella clinica fondata da lui.

Giovanni Paolo II lo beatificò il 5 settembre 2004.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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