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Santo

Beato Pacifico, 10 luglio

By 9 Luglio, 2024No Comments

“Discepolo di San Francesco d’Assisi, conosciuto come “principe dei poeti”, coinvolto dal Poverello nella diffusione del Cantico delle creature. Uno dei capitoli dei Fioretti è dedicato a lui”.

A Guglielmo Divini (detto da Lisciano) la vita cambiò il giorno che ascoltò predicare san Francesco d’Assisi nelle Marche, regione italiana nella quale era nato verso il 1158. Fino a quel momento della sua conversione era ben conosciuto per il suo talento come trovatore, specialmente da quando era stato premiato ed innalzato dall’imperatore in Campidoglio, denominandolo “principe dei poeti”. Prima o dopo aveva raggiunto gran notorietà come “re dei versi”, altra qualifica che gli è stata anche attribuita. La Provvidenza volle che l’imbarcazione nella quale il santo di Assisi pensava arrivare ad Oriente, con l’autorizzazione di Innocenzo III, avesse tali complicazioni nella traversata che si vide obbligato a sbarcare ad Ancona. E lì, come fece in tanti posti, le sue accese parole che trasmettevano la passione che sentiva per Cristo arrivarono al cuore di innumerevoli persone; rimanevano sedotte dall’amore di Dio.

Tra il 1214 e il 1215, mentre egli evangelizzava Spagna e Portogallo, i frutti dello zelo apostolico dei primi frati fiorirono a Sanseverino, paese delle Marche, col monastero di Colpersito. Quindi, frustrato l’anelito di Francesco di arrivare ad Oriente, approfittando del suo soggiorno in questa regione, si trasferì in quel convento. Era un momento fecondo per l’Ordine segnato dall’entrata di nuovi discepoli, alcuni dei quali arrivarono a compiere alte missioni di governo. Di quell’epoca furono Tommaso da Celano, Giovanni Parenti, Alberto da Pisa, frate Elia …, ed il famoso Guglielmo Divini.

Per una “coincidenza” il futuro frate Pacifico che aveva circa mezzo secolo di vita quando conobbe il Poverello, si trovava di passaggio per Sanseverino. Sicuramente andò a visitare una religiosa, appartenente alla sua famiglia, che abitava nel convento. Siccome la fama precedeva Francesco, Guglielmo sapendo che sarebbe andato a predicare lì, si dispose ad ascoltarlo insieme ad un gruppo di amici, ma senza nessuna pretesa; solo per puro divertimento. Inizialmente accolse la veemenza del santo di Assisi con una certa freddezza, ma mentre sgranava le sue parole, si sentì intimamente isolato dal resto dell’auditorio e come il soggetto diretto ed unico della lezione. Tutto sembrava essere polarizzato in lui ed uno spirito penitenziale germogliò dal più profondo del suo essere. Era arrivata l’ora del suo appello personale, il momento della sua conversione. Il fondatore dei francescani gli aveva fatto vedere la radicalità della sequela di Cristo che accompagna il completo abbandono delle cose del mondo. E mosso da quella molla interna che deriva dalla grazia, si mise davanti al santo e lo pregò: “Fratello, tirami fuori di tra gli uomini e restituiscimi al grande Imperatore”. da allora si integrò nella fiorente comunità. Dalle mani di Francesco ricevette il rozzo saio che egli stesso cinse con la corda dandogli il nome di Pacifico. Era tanto grande la fiducia del Poverello in questo nuovo frate che nel 1217 lo mandò in Francia come superiore della comunità che aveva ricevuto la missione di fondare a Parigi.

Nel 1221 frate Filippo Longo che era stato il primo visitatore delle damianite (Dame Povere), fu deposto. Il suo sostituto, il cistercense Ambrogio era morto, e Pacifico fu scelto per rimpiazzarlo. Frate Gregorio di Napoli rimase alla guida della missione della Francia. Quando Francesco attraversò uno dei periodi più algidi della sua vita, creando la meravigliosa opera Il cantico delle creature, entusiasmato da quella via che gli permetteva di lodare la concretezza dell’amore di Dio nella natura, pensò a Guglielmo. Non dimenticava la sua esperienza come musicista e direttore di coro, e volle coinvolgerlo nella diffusione di questa grande composizione che sperava che tutti i frati portassero per il mondo, con queste parole: “Siamo giocolieri di Dio e l’unica paga che chiediamo è che viviate in vera penitenza.”     

A frate Pacifico è dedicato il Capitolo XLVI dei Fioretti. In esso si narra che, mentre si trovava in preghiera, ricevette la grazia di contemplare, attraverso un’estasi, come saliva al cielo l’anima di un altro francescano, frate Umile, della comunità di Soffiano. Nel suo momento anche frate Pacifico fu traferito in questo luogo. Questo gli permise di accorrere alla tomba di suo fratello frate Umile, le cui ossa venerò singolarmente quando si dovette estrarle dalla sepoltura per condurle ad un nuovo convento. Vedendo la sorpresa che i suoi gesti causarono nel resto della comunità, come narrano i Fioretti, spiegò: “Fratelli cari, non dovete pensare che abbia fatto con le ossa di mio fratello quello che non ho fatto con gli altri. Non mi sono lasciato portare, grazie a Dio, come voi pensate, da un amore carnale, ma ho operato così perché, quando mio fratello passò da questa vita, trovandomi in orazione in luogo deserto e lontano da lui, vidi come la sua anima saliva dirittamente al cielo; per questo ho la certezza che le sue ossa sono sante e che un giorno staranno in paradiso. Se Dio mi avesse concesso la stessa certezza sugli altri fratelli, avrei mostrato la stessa riverenza alle loro ossa”. Si pensa che frate Pacifico dovette morire verso l’anno 1234.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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