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Santo

Beata Josefa María de Santa Inés, 21 gennaio

By 20 Gennaio, 2024Aprile 17th, 2024No Comments
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“Esaminando la vita di questa beata risulta chiaro che davanti alla grazia di Dio la miope ragione impallidisce. Senza luci apparenti nel suo modo d’essere, con fermezza si aprì la strada nel sentiero della perfezione che la portò direttamente al cielo”.

 

In questo giorno di santa Agnese, la Chiesa celebra la vita di questa beata che portò il nome religioso di questa martire cristiana.     

Il fatto che il Padre Celestiale ami tanto singolarmente e in modo infinito i suoi figli più deboli è un mistero, ed una grazia indiscutibile che queste persone, angosciate da tanti infortuni, lo contemplino con indicibile tenerezza e si lancino nelle sue braccia senza dubitare, senza lanciargli i dardi dalla colpevolezza per le loro afflizioni.     

La goffaggine e la formazione nulla di questa beata, la lesione epilettica che soffriva, la sua vulnerabilità rimanendo presto orfana e alla mercé dei suoi noncuranti parenti, furono alcune delle cause della fortissima sofferenza che le aprì le porte del cielo. Nacque a Benigànim (Valencia, Spagna) il 9 gennaio 1625. I suoi genitori erano contadini senza risorse economiche che, essendo credenti, si preoccuparono che ricevesse i sacramenti quando era bambina. Ma la loro prematura morte tagliò in un colpo solo la sua infanzia. 

Si traferì in casa di un suo zio, uomo senza scrupoli che aveva persone al suo servizio, e l’incluse tra di esse, maltrattandola fin dal primo giorno. La sua difficoltà di comprensione, per così dire, la trasformava anche in oggetto di scherzi. Per esempio, suscitò battute la sua decisione di piantare un arancio prendendo il fusto che affondò nella terra lasciando all’aperto le radici. Candore, semplicità…? Sia quello che sia, l’innocente cuore di Josefa aspirava il profumo dell’amore divino. Dio Padre la proteggeva, viziandola, e si constatò la fertile crescita dell’arancio che piantò contravvenendo le leggi della scienza, arancio che può contemplarsi ancora oggigiorno, e inoltre presto le consolazioni divine arrivarono nella sua vita, liberandola dell’assedio del maligno che camminava dietro lei.    

Il Bambino Gesù le era apparso nell’orto dell’abitazione mentre stava lavando e riceveva anche altri doni. Ma in quell’ambiente abbrutito che la circondava, uno dei domestici si ossessionò di lei, dato che fisicamente era ben messa, e sentendosi deriso dalla giovane che aveva in alta stima la sua verginità, e la difendeva a tutti i costi, volle ammazzarla assestandole vari colpi con un vecchio fucile. 

Per fortuna, i colpi rimasero incrostati nella parete che costeggiava la scala per la quale Josefa fuggiva dal suo aggressore cercando protezione al piano di sopra. Ma ella sapeva che il potenziale assassino era fuori di sé, e non dubitò di andarsene in un posto più sicuro utilizzando una finestrella tanto piccola che era impossibile oltrepassarla senza un intervento dell’Alto.     

Dopo il drammatico episodio, era chiaro che non poteva rimanere più in quella casa, e dato che suo zio aveva avuto influenza sulla fondazione del convento di clausura delle Agostiniane Scalze della Purissima Concezione e San Giuseppe, decise di entrar da loro. Non l’ottenne alla prima, ma solo dopo una tenace perseveranza nel suo impegno. Non avendo formazione, entrò come sorella laica. La sua missione nella clausura non poteva essere un’altra che quella che ella conosceva bene: i lavori domestici di indole varia. 

E li realizzò con lo spirito encomiabile che germogliava dal suo stato di orazione continua. Era ubbidiente e disposta, ed era adornata con la virtù dell’innocenza. Per quella ragione, professando le diedero il nome di Josefa Maria de santa Inés, l’ingenua martire dei primi secoli. Le sue sorelle di comunità a lei si riferivano come “la bambina”. Nella sua preghiera aveva sempre presente le necessità che molti le raccomandavano, pregava per le anime del purgatorio ed offriva le sue penitenze per gli altri.   

Non sapendo, né leggere né scrivere, chiesero al vescovo che le permettesse di assistere al coro senza altre pretese, poiché non poteva fare parte di esso. Il vescovo diede la sua autorizzazione, ma fu allora che le religiose scoprirono in lei un altro sorprendente prodigio. Videro che poteva cantare meravigliosamente le preghiere del Salterio senza stonare e con una bellezza mirabile nella sua voce se solo contemplava la stampa di un Ecce Homo che scorgeva dall’angolo del coro nel quale si situava. Durante la sua vita ebbe frequentemente estasi e rivelazioni. Numerose persone principali del posto accorrevano per conoscere il suo esperto giudizio confidandole problemi che li sollecitavano. 

Il direttore spirituale che l’assisteva, manifestò: “Trattata in cose relative a quelle del mondo, sembrava non avere uso di ragione né capacità di parlare; ma in punto di virtù e perfezione discorreva come un san Tommaso e consigliava come un san Paolo”.  In fin dei conti, questa è l’unica cosa che importa. Le sapienze di questo mondo, con parole paoline, sono sciocchezze agli occhi di Dio (1Cor 3, 18-9). 

Josefa morì a 71 anni il 21 gennaio 1696. Il suo corpo incorrotto sparì all’esplodere della Guerra Civile spagnola nel 1936, benché si conservino alcuni dei suoi resti nel monastero di Benigànim dove si produsse il suo decesso. 

Fu beatificata da Leone XIII il 26 febbraio 1888.  

  

      

  

  

  

 

TRADUZIONE ITALIANA
Isabel Orellana Vilches, Gesta d’amore (Epopeyas de Amor)

© Isabel Orellana Vilches, 2018
Autora vinculada a

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