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Vangelo e riflessione

Anche io posso essere un testimone della Resurrezione?

By 12 Aprile, 2020No Comments
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 Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.        

New York, 12 aprile 2020 | Domenica di Pasqua –  Risurrezione del Signore                                          

Atti Apostoli 10, 34a.37-43; Lettera Colossesi 3, 1-4; S. Giovanni 20, 1-9.

Molti santi, teologi e maestri di vita spirituale hanno fatto e continuano a fare sforzi ammirevoli per aiutarci a comprendere in maniera concreta e specifica come imitare Cristo nei suoi diversi momenti: il digiuno, la croce, l’orazione, le virtù, la vita comunitaria, l’amore per il prossimo…. Ma pochi sono riusciti a chiarire come possiamo seguire Cristo nella resurrezione mentre siamo ancora in questa vita. 

Per questo motivo mi piacerebbe cominciare questa riflessione con le parole del nostro Padre Fondatore, Fernando Rielo: 

Prima di parlare della resurrezione del corpo, o della resurrezione fisica, bisogna parlare della resurrezione morale; ma più che morale, dobbiamo parlare di una resurrezione mistica. L’assoluzione sacramentale è una resurrezione morale, ma in virtù di una resurrezione maggiore: la resurrezione mistica. Sono misticamente vivo perché sono misticamente assolto nel sacramento della riconciliazione o penitenza (3 feb, 1979). 

La resurrezione non è un ritornare alla vita dalla morte, significa piuttosto una profonda trasformazione in un nuovo modo di essere che dà a qualcuno, corpo, anima e spirito, una nuova vita. Naturalmente, questo non può essere solo il risultato dei propri sforzi. 

Questo spiega perché, scrivendo ai Colossesi, Paolo ricorda loro che il giorno del battesimo sono nati ad una nuova vita che avrà il suo pieno compimento solo dopo questo mondo. La fede in questa nuova vita è ciò che distingue i credenti da coloro che non hanno avuto un incontro con Cristo, coloro che non possono rispondere alle domande che rimangono nelle profondità del cuore umano: Perché vivo e perché muoio? Da dove vengo e dove vado? Solo Cristo che morì e resuscitò dai morti, può dare una risposta soddisfacente e utile a queste domande. 

Per questo motivo l’apostolato è urgente, per questo motivo le persone che avevano ricevuto nuova vita da Lui corsero al sepolcro di Gesù, sapendo che avrebbero dovuto stare sempre vicino a Lui. 

Il nostro Padre Fondatore ci ha chiamati identes perché questo è il nostro sforzo quotidiano: avvicinarci ed avvicinare gli altri alla persona di Cristo in mille modi. …Colui che viene a me, non lo respingerò (Gv 6, 37). È un invito aperto. Non ci sono condizioni; Gesù vuole che tutti vadano a Lui, così come sono. 

Approfondendo l’intima relazione tra i sacramenti e la resurrezione, dice il nostro Padre Fondatore: 

L’Eucaristia è il sacramento che, purificando e rettificando e risanando la nostra carne, in lei ci preserviamo dalla corruzione, e diventiamo germe o qualità viva della resurrezione. La partecipazione a questo ammirabile sacramento comunica ai corpi umani uno splendore divino che persisterà eternamente e darà una gloria singolare ai giusti che l’abbiano ricevuta con più frequenza (26 feb 1961). 

Quello che realmente succede quando riceviamo la Sacra Comunione è che questo  Sacramento ci porta alla partecipazione o comunione con la divinità: Il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo? (1 Cor 10, 16). Condividere il calice è la partecipazione al sangue di Cristo ed il pane è la partecipazione al suo corpo. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno (Gv 6: 54) con cui ci dice che chi partecipa di questo vivrà per sempre. Partecipando alla Sacra Comunione, riceviamo la vita di Dio in noi. Con la vita risorta in noi, siamo qualificati per essere testimoni del resurrezione. 

Le buone opere, la generosità, il servizio, sono indispensabili, essenziali. Ma non sono sufficienti per essere veri testimoni della resurrezione. La testimonianza è un’altra cosa. Solo può darla chi è passato dalla morte alla vita; chi può confermare che la sua esistenza è cambiata completamente e ha acquisito senso quando è stata illuminata dalla luce della Pasqua; chi ha fatto l’esperienza che la fede in Cristo dà senso alle gioie e alle pene ed illumina i momenti allegri ed i tristi. Qualcuno per cui tutti i momenti della sua vita, tutte le emozioni, i valori, i giudizi… sono differenti. La chiave sta nella pienezza, nella totalità della trasformazione sofferta, perché ci sono infinite forme belle di cambiamento nella vita delle persone, ma non possono chiamarsi resurrezioni

Insieme ai sacramenti, l’intimità nell’orazione è una forma privilegiata di incontrare il Signore Risorto. Di fatto, quando conosciamo qualcuno intimamente, possiamo sentire le preferenze o le necessità della persona, perfino quando non la vediamo. 

Un chiaro segno che abbiamo incontrato il Signore è quando non possiamo trattenerci dal fare come i discepoli, che correvano ad annunciare la resurrezione agli altri. Non possiamo tenere notizie tanto incredibili dentro di noi. Dopo l’esperienza della Pasqua, i discepoli non poterono trattenere l’allegria di sapere che Gesù era il loro Signore e Salvatore. La mancanza di desiderio nell’annunciare che è risorto significa che la nostra fede nel Signore Risorto è solo una fede intellettuale, non una convinzione personale. 

La nostra fede in Cristo è aumentata e si è fortificata? La nostra relazione con Lui è reale, intima e personale? Siamo persone allegre e piene di speranza nel modo di vedere la vita, anche quando soffriamo le prove della vita o le ingiustizie? Siamo una comunità d’amore tra noi e di accoglienza degli altri che arriva ai poveri, ai non credenti o a coloro che hanno abbandonato la Chiesa? 

È bene osservare da vicino, anche nella porta al nostro lato, casi di vera resurrezione spirituale. Molti di voi hanno visto il documentario Il cuore di un assassino (Catherine McGilvray, 2013), che si riferisce ad un drammatico caso reale. Il film racconta la vera storia di Samundar, un fanatico indù di ventidue anni, che nel 1995 assassinò Rani Maria, una suora missionaria francescana del Kerala. La pugnalò 54 volte e la lasciò morire al bordo della strada. Suor Selmy che viveva in comunità con suor Rani, si rattristò molto quando venne a sapere dell’orribile morte della sua amica, Almeno Gesù ebbe sua madre ed i suoi cari amici ai piedi della croce quando stava morendo, ma mia sorella morì completamente sola. 

Successivamente Samundar fu arrestato e condannato a morte. In risposta all’assassino di suor Rani, la sua famiglia non solo lo perdona, ma lo accoglie in famiglia come un figlio ed un fratello. 

Viaggiando in treno dal suo villaggio nel nord dell’India nel suo cammino per riunirsi con la famiglia di suor Rani, Samundar rivive i dettagli della tragedia e il viaggio si trasforma in un risveglio spirituale. Si è trasformato da un bambino imbevuto di odio e ignoranza in un uomo libero che vive nell’amore. Si intimidisce e si sorprende quando la famiglia lo riceve incondizionatamente con amore e perdono. 

La madre e la sorella di suor Rani sono donne unite dall’amore, dal dolore e dalla pace e dimostrano un’incredibile capacità di perdonare. La madre di suor Rani che inizialmente non aveva appoggiato la decisione di sua figlia di diventare una religiosa, alla fine riesce a capire il significato della sua morte: Sei mio figlio, e mi rallegro che tu sia venuto. Com’è umanamente possibile ricevere l’assassino della propria figlia in casa? Come può stringergli le mani sapendo che il sangue di Rani era su di esse?

Swami Sadanand è il sacerdote pacificatore, “dove ci sia conflitto, lì andrò”, ed è il primo ad andare a visitare Samundar in prigione. Successivamente, diventerà il direttore spirituale e padre di Samundar. 

Il messaggio è intenso: il perdono può trasformare veramente l’odio in amore. Nel corso del film, Samundar racconta su calma la storia della sua conversione radicale e progressiva dalla disperazione, [“Nessuno può perdonarmi”. Neanche Dio”], ad una rinascita completa. Samundar è un vero testimone del dono indispensabile e  poderoso che ha ricevuto. 

— oOo—

La fede nella Resurrezione non si basa solo sulla Tomba Vuota. È necessario sperimentare e vedere come altri sperimentano una transizione completa dall’oscurità alla luce. Questo è riflesso simbolicamente nella narrativa evangelica di oggi: tutto era ancora oscuro e la luce appena cominciava a penetrare nel cielo quando Maria Maddalena arrivò e più tardi quando Pietro si avvicinò alla tomba vuota. 

La vita dei discepoli fu trasformata radicalmente, da uomini disperati e pieni di paura, ad uomini di speranza e valore. Per trasformarsi in testimoni di Cristo, non è necessario avere camminato con Gesù di Nazareth per le strade della Palestina. 

Di fatto, questa è la testimonianza di Pietro quando andò da Cornelio e la sua casa nella  Prima Lettura. 

Alcuni anni fa, una persona religiosa raccontò la storia di sua nipote di 10 anni. Ella  contrasse una terribile malattia; solo tre persone ogni milione la contraggono. Con il tempo, tutti gli organi sono colpiti, e c’è una caduta organica massiccia. Questa bambina passò molto tempo in ospedale, e cominciò un diario di preghiere. Pregava per se stessa e per la sua salute, ma pregava anche per la sua famiglia ed i suoi amici nella scuola, e per il piccolo bebè della stanza a fianco, anche lui gravemente malato. Quando la bimba morì, la famiglia guardò il suo diario di preghiere. L’ultima annotazione prima di morire, l’ultima cosa che scrisse, l’ultima cosa nella quale pensava, fu espressa con queste due parole… “tocca anche”. Dio, per favore, tocca anche…. Ella stava convertendo il mondo attraverso le sue preghiere, implorando Dio, “tocca anche”… Per molti problemi che avesse, si concentrava nell’essere testimone della resurrezione. Stava pregando affinché arrivasse una nuova vita. 

Quando finiamo il nostro Esame di Perfezione in comune, condividiamo il nostro Tocco Carismatico. La parola tocco riassume in modo semplice tutto quello che Dio fa in noi e che possiamo ben descrivere come una nuova vita, un’autentica e completa resurrezione. Forse è ora di ricordare che Dio fa solo miracoli (più o meno osservabili) e che tutto il resto dipende da ognuno di noi. 

La resurrezione è il compito permanente dello Spirito in noi. Invece di dire, come il filosofo Seneca che ogni giorno moriamo un po’, dovremmo contemplare come stiamo resuscitando sempre di più, continuamente. Maria Maddalena lo sapeva molto bene, perché aveva sperimentato come Cristo aveva cacciato sette demoni dalla sua vita. Come il discepolo anonimo di Emmaus, davanti ai segni della morte, la tomba, le bende, il sudario, le nostre passioni vinte… incominciamo a percepire la vittoria della vita, incominciamo a comprendere che se un chicco di grano cade in terra e muore produce molto frutto. 

Gli effetti curativi di questa resurrezione sono facili da percepire. Quello che succede con le nostre passioni, perfino le tentazioni, è simile a quello che dice San Matteo sui soldati che custodivano la tomba di Cristo: caddero, come se fossero morti. Per la vittoria di Cristo non è necessario, come pensò Pietro, sguainare la spada, bensì piuttosto far tacere il nostro istinto di felicità. 

Matteo, Marco e Luca scrivono chiaramente che Maria Maddalena non andò da sola alla tomba. Neanche  Pietro arrivò da solo, bensì con un discepolo che molti credono essere San Giovanni Evangelista. Ma entrambi i dati illustrano come il raggiungere l’intimità con Dio, i momenti più sublimi della nostra resurrezione, dobbiamo farlo uniti, come Maria Maddalena, l’altra Maria, Pietro ed il discepolo senza nome che senza dubbio ci rappresenta tutti. 

Troviamo la forza e la speranza del Signore Risorto. Se non ci mostreremo vivi in Cristo, nessuno crederà che Cristo è risorto dai morti. La buona notizia della Pasqua può essere annunciata solo da coloro che hanno sperimentato Cristo risorto. Solo allora l’annuncio sarà appassionato, permanente e pertanto credibile. 

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Tuo fratello nei sacri cuori di Gesù, Maria e Giuseppe