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Vangelo e riflessione

Il tuo nemico è una vittima.

By 23 Febbraio, 2020No Comments
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Luis CASASUS, Superiore Generale dei missionari Identes.

New York, 23 febbraio 2020 | Settima Domenica Tempo ord.                 

Levitico 19, 1-2.17-18; Prima Lett. Corinzi 3, 16-23; S. Matteo, 5, 38-48  

In una delle catacombe cristiane di Roma, si trovò la seguente storia: 

Un uomo ricco chiamato Procolo aveva centinaia di schiavi. Lo schiavo chiamato Paolo era tanto fedele che Procolo lo nominò maggiordomo di tutta la sua casa. Un giorno, Procolo portò Paolo al mercato di schiavi per comprare nuovi lavoratori. Prima di cominciare la trattativa, esaminarono gli uomini per vedere se erano forti e sani.  Tra gli schiavi c’era un anziano debole. Paolo chiese al suo padrone che comprasse questo schiavo. 

– Procolo rispose: Ma non servirà a niente. 

Avanti, compralo, insistette Paolo. È a buon mercato. E ti prometto che il lavoro nella tua casa si farà meglio di prima. 

Cosicché Procolo acconsentì e comprò lo schiavo anziano. E Paolo mantenne la sua parola. Il lavoro si fece meglio che mai. Ma Procolo osservò che ora Paolo lavorava per due uomini. Il vecchio schiavo non lavorava in assoluto, mentre Paolo lo serviva, gli dava il cibo migliore e lo faceva riposare. 

Procolo era curioso, cosicché interrogò Paolo: Chi è questo schiavo? Sai che ti apprezzo. Non mi importa che tu protegga questo vecchio. Ma dimmi chi è. È tuo padre che è caduto in schiavitù? 

– Paolo rispose: È qualcuno a cui devo più che a mio padre. 

Allora, è il tuo maestro? 

– No. Qualcuno a cui devo ancora di più. 

– Allora chi è? 

È il mio nemico. 

– Il tuo nemico! 

Si. È l’uomo che ammazzò mio padre e ci vendette, da bambini, come schiavi. Procolo rimase senza parole. In quanto a me, disse Paolo, sono un discepolo di Cristo, che ci ha insegnato ad amare i nostri nemici e di ricompensare il male col bene. 

Quando usiamo il termine amore, spesso lo facciamo in modo erroneo o ambiguo. L’amore non è un sentimento. Una cosa certa per la maggioranza è che è più probabile che amiamo coloro che ci amano piuttosto che coloro che non corrispondono al nostro amore. Tuttavia, Gesù insiste nel dire che solo amando i nostri nemici ci facciamo figli di Dio. Questo insegnamento di Cristo ci obbliga a ripensare quello che normalmente intendiamo per nemico e per amare qualcuno

I nostri nemici abbracciano uno spettro che va da coloro che ci feriscono lievemente, a coloro che ci offendono gravemente, fino a coloro che ci distruggono la vita in modo permanente. I nostri nemici possono attaccarci fisicamente o semplicemente mormorare su di noi. Alcuni di essi cercano di danneggiarci per i loro interessi. Affrontiamo molti di questi nemici nella nostra vita perché agiscono per avidità, invidia, gelosia, orgoglio o lussuria. Ed ovviamente, quando qualcuno li accusa o li affronta, reagiscono con maggiore ostilità. A volte i nemici che più ci feriscono sono le persone vicine a noi che ci conoscono molto bene. Altri, ovviamente, hanno poca relazione con noi ed essere testimoni della nostra vita li porta, per qualche ragione, a qualche forma di odio. 

A volte i nemici ti lusingano per ottenere qualcosa da te. A volte ti criticano. A volte cercano di evitare che tu sogni e ti entusiasmi con quello che Dio sta facendo nella tua vita perché stanno male con se stessi. 

Dobbiamo essere anche coscienti che tutti abbiamo “nemici percepiti”. Sono quelli che hanno un’opinione differente alla nostra, o che ci correggono, magari a ragione, ma in un modo che non ci piace. In molti casi, sono persone che non ci augurano niente di male. 

Tutti cerchiamo di proteggerci dai nemici percepiti, perché cerchiamo di proteggere i nostri interessi personali. Questo fu il caso dei leader ebrei. La presenza e la testimonianza di Gesù erano una sfida per le istituzioni religiose della sua epoca. Non ci piacciono le persone che sfidano i nostri piani e le nostre decisioni. Tendiamo a prenderli in modo troppo personale e come conseguenza, invece di soppesare il valore dei loro argomenti, passiamo più tempo cercando dei modi di resistere alle loro obiezioni. La nostra insicurezza e i meccanismi di difesa ci accecano e non ci lasciano vedere la verità. Con troppa frequenza, quei nemici percepiti si trasformano nelle nostre vittime. 

È importante riconoscere che ogni nemico è vittima del suo stesso odio e, in ultima istanza, di qualche forma di insensibilità. Ovviamente, Cristo è colui che lo afferma più chiaramente e precisamente quando Egli stesso fu il bersaglio dell’odio più feroce: Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno. 

È fondamentale che lo capiamo. In molti casi, quanto più si è esposti agli infortuni della violenza, all’inganno, alle accuse ed alle proprie passioni, più forte è l’impulso interiore di proteggersi e più duro diventa il cuore. C’è qui un esempio terribile dall’Antico Testamento: 

In 2Samuele 10, 1-5 leggiamo che David volle inviare le sue condoglianze ad un re vicino, dopo la morte del padre del re, cosicché inviò emissari per assistere alla funzione funebre del dignitario straniero. Ma il figlio del re, che era il nuovo re, fu consigliato dai suoi consiglieri di diffidare dei rappresentanti di David. Il nuovo re decise di radere la metà della barba degli emissari e tagliare loro la tunica alla cintura affinché fossero nudi dalla vita in giù. In quel tempo, la barba di un uomo era un segno di  mascolinità. Se si radeva la barba ad un uomo, gli veniva rubata la sua dignità. Lo stesso succedeva col taglio della tunica. 

È particolarmente doloroso quando un amico si trasforma in nemico, il che è una  esperienza crudele. “Anche l’amico in cui confidavo, anche lui, che mangiava il mio pane, alza contro di me il suo calcagno” (Sal 40, 10). 

Quando dichiariamo qualcuno nostro nemico, qualcuno “degno di odio”, quello che naturalmente si produce è il nostro proprio odio. E ci sentiamo abbastanza giustificati…. Ma l’odio è  come un incendio forestale: basta solo una fiammella e un po’ di vento, e quello che sembrava sotto controllo si trasforma rapidamente in un fuoco ruggente che consuma tutto quello che tocca. 

Quando siamo arrabbiati e feriti, la nostra natura umana salta ansiosamente, pronta a  “fare giustizia”. Sentiamo la necessità di fare rappresaglie, di provare che qualcuno si sbaglia, o di spiegare la nostra versione delle cose. Per questo motivo, sempre si insiste sul fatto che mostrare preoccupazione per le persone che c’infliggono dolore è difficile e che il perdono è un duro lavoro. 

Ovviamente, c’è molta gente che non è vendicativa, che non serba rancore, il che è già esemplare, ma c’è poco nel loro comportamento orientato ad amare quei nemici. 

Cristo ci dà due strumenti concreti per andare oltre la vendetta e la tristezza: amare i nostri nemici e pregare per loro. Ovviamente, riconoscere che chi c’inganna o  vuole danneggiarci realmente non “sa quello che fa” è fondamentale, perché ci fa comprendere che quella persona ha bisogno di essere amata e la nostra posizione, il fatto di essere la sua vittima, fa sì che il nostro amore sia più notorio, più vistoso. 

Questo è possibile quando ci appoggiamo e siamo sensibili alla presenza di Cristo in  noi, specialmente quando siamo coscienti che ogni giorno ci perdona la nostra  mediocrità e la nostra poca fede: 

L’etica o morale specializzata che Cristo porta all’umanità sta al di sopra di ogni etica o morale, che soggiace a tutte le religioni e a tutte le culture, in virtù della divina presenza costitutiva dell’Assoluto nello spirito umano. Se Cristo, Verbo divino incarnato, eleva l’etica costitutiva ad etica santificante in virtù di elevare la divina presenza costitutiva a divina presenza santificante, dobbiamo trovare una nuova etica che offra all’essere umano l’oggetto della sua piena realizzazione. L’etica costitutiva dispone la persona umana a conquistare, ricevuto il battesimo, l’etica santificante (Concezione Mistica dell’Antropologia). 

Questo amore cristiano, chiamato agape, ci chiama a fare qualcosa che chiaramente va contro le nostre inclinazioni. Chiamandoci ad amare i nostri nemici, le stesse persone che ci odiano e che ci hanno fatto male o desiderano farlo, l’agape estende l’amore umano oltre i suoi limiti. 

Dobbiamo amare i nostri nemici con amore di agape, non perché i nostri nemici meritino il nostro amore, o perché si convertiranno automaticamente, bensì perché Gesù Cristo li amò tanto che morì per loro. 

Fu chiesto ad un rabbino ebreo che desse un riassunto di tutta la Legge. Egli rispose: Quello che è odioso per te, non lo fare ad un altro. Questa è tutta la legge e tutto il resto è una spiegazione. Ed i filosofi stoici normalmente insegnavano: Quello che non vuoi che facciano a te, non lo fare a nessun altro. Quando fu chiesto a Confucio: C’è una parola  che possa servire come regola pratica per tutta la vita? rispose: Non è Reciprocità quella parola? Quello che non vuoi che facciano a te, non lo fare agli altri. 

Sono sentimenti belli, ma tutti si esprimono in forma negativa; si tratta di evitare la disgrazia e la sofferenza. E quella è la grande differenza tra questi detti e l’insegnamento di Cristo. Spesso non è difficile trattenersi, o frenarsi nel fare qualcosa di cattivo, ma molto più esigente è in realtà fare qualcosa di buono per gli altri. E così la vera condotta cristiana consiste, non nell’astenersi dal fare cose cattive, bensì nel fare attivamente cose buone. 

Il mandato di amare i nostri nemici è una chiamata ad amare nel modo in cui Dio ci ama. In Rm 5, 10, San Paolo ci dice che quando eravamo peccatori (cioè, nemici di Dio) Egli mostrò il suo amore attraverso la morte sacrificale di Cristo. Sulla croce, Gesù pregò affinché Dio Padre perdonasse alle persone che lo avevano torturato e crocifisso. 

Veramente, amando i nostri nemici in questo modo, diventiamo più umani, perché essere umani è essere portatori dell’immagine e della somiglianza di Dio. Riflettiamo veramente l’immagine del nostro Padre celestiale e così siamo accreditati come veri figli suoi. Tale amore significa, pertanto, l’identificazione col cuore del Padre. Gesù ci esorta: “Siate compassionevoli come vostro Padre è compassionevole”. Solo allora potremo essere chiamati veri figli di Dio. 

La caratteristica dei figli di Dio è l’amore offerto a coloro che non lo meritano, ed il saluto diretto a coloro che si comportano come nemici. Il discepolo desidera con tutto il cuore il bene, incluso per quelli che lo odiano. Perciò, non tiene conto del male che gli è stato fatto e si impegna a rendere possibile il bene. 

Il perdono è come un muscolo. Deve essere usato e sviluppato. Ci mettiamo in forma per i grandi atti di perdono praticando gli atti piccoli. Se impariamo a perdonare piccole cose, allora svilupperemo il coraggio e l’attitudine a perdonare cose più grandi che possono farci cadere in piedi. Nella Seconda Lettura, San Paolo ci dà una potente ragione per essere santi attraverso questa forma di compassione: siamo templi dello Spirito Santo e lo Spirito di Dio vive in noi. Lo Spirito Santo che abita in noi ci aiuta coi suoi doni, frutti e carismi a vivere la stessa vita di Cristo. In ogni momento il cuore dell’uomo è guidato dagli impulsi dello Spirito che suggerisce come rispondere alle necessità del fratello. 

La perfezione dell’ebreo era l’esatta osservanza dei precetti della Torà. Per il discepolo di Cristo, è l’amore illimitato come quello del Padre. Perfetto è colui che non manca di nulla, che ha integrità, il cui cuore non è diviso tra Dio e l’ego. La disponibilità di dare tutto, senza tener niente per se stessi, di metterci totalmente al servizio delle persone, perfino del nemico, ci colloca sulle orme di Cristo e ci porta alla perfezione del Padre che dà tutto e non esclude nessuno dal suo amore.