Vangelo secondo San Giovanni 20,19-23:
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati
Luis CASASUS – Presidente delle missionarie e missionari identes
Roma, 28 maggio 2023 – Domenica di Pentecoste
Atti 2, 1-11; 1Cor 12, 3b-7, 12-13; Giovanni 20, 19-23
Certo; nervoso, molto, molto terribilmente nervoso sono stato e sto, ma perché dici che sono pazzo? La malattia aveva acutizzato i miei sensi, non li aveva distrutti, non li aveva offuscati.
Così comincia la famosa opera di Edgar Allan Poe (1809-1849) Il cuore delatore. È la storia di un assassino che si sente tanto oppresso dalla colpa che ha le allucinazioni coi suoni del cuore della sua vittima morta. La colpa si trasforma in un potente personaggio della storia che alla fine porta l’assassino a far scoprire il cadavere e ad ammettere il suo delitto. Questo racconto è una potente descrizione degli effetti della colpa nell’essere umano.
Nella celebrazione di Pentecoste, vediamo come Cristo dona lo Spirito Santo ai suoi discepoli, ma immediatamente spiega loro il perché e per quale motivo: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati».
Dobbiamo considerare allora che la prima necessità che Gesù desidera coprire è il perdono dei peccati, per evitare immediatamente il carico della colpa in tutti noi. A volte, noi credenti e non credenti, interpretiamo che il perdono completo dei peccati è qualcosa che avverrà solo alla fine del nostro passaggio per questo mondo. Ma Cristo è ancora più generoso. Furono molte le persone nelle quali osservò il peso insopportabile delle loro colpe, e volle risolvere quella sofferenza prima di nessun altro, come avvenne in modo esplicito nel suo incontro col paralitico che calarono dal tetto (Mc 2, 1-12).
La colpa è un’emozione che implica autocritica per un atto concreto e, spesso, il desiderio di “sistemare” il problema causato o di riparare il danno causato alle vittime.
Ci sono persone che negano la colpa, tentando di giustificarsi davanti a sé stessi o davanti agli altri. Sono capaci di costruire una storia o un ricordo falsi, un’interpretazione dei fatti, a volte completamente distorta, per far sì che la colpa ricada su qualcun altro. Altre persone, tuttavia, sono capaci di utilizzare la grazia di sentirsi colpevoli e peccatori per cambiare profondamente il loro cuore. Quest’ultima possibilità è quella che Cristo vuole sfruttare al massimo, per questo motivo nella celebrazione dell’Eucaristia dichiariamo enfaticamente all’inizio: Per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa…
La maggioranza delle persone non la riconosce, comprese quelle che sembrano intelligenti, esperte nella vita spirituale o molto attive nei compiti della Chiesa, ma la colpa porta sempre ad uno stato di schiavitù che si oppone alla libertà di chi vive in orazione. Vorrei illustrarlo con una vecchia storia:
Jaime è un ragazzo di campagna che va a visitare i suoi nonni e riceve la sua prima fionda. Si esercita nel bosco, ma non fa mai centro. Quando esce dal giardino dei suoi nonni, vede un papero che tiene come mascotte. In un impulso, mira e spara all’anatroccolo. La pietra colpisce il papero e questi cade morto.
Il bambino entra nel panico. Disperato, nasconde il papero sotto la pila di legna, ma alzando lo sguardo scopre che sua sorella Mary ha visto tutto. Quel giorno, dopo aver mangiato, la nonna dice: Mary, andiamo a lavare i piatti. Ma Mary dice: Jaime mi ha detto che oggi voleva aiutare in cucina. Vero, Jaime? E poi gli sussurra: Ricorda il papero! Cosicché Jaime lavò i piatti. Più tardi, il nonno domanda se i bambini vogliono andare a pescare. La nonna dice: Mi dispiace, ma ho bisogno che Mary mi aiuti a preparare la cena. Mary sorride e dice: A quello ci pensa già Jaime che vuole farlo. Di nuovo, Mary si china e sussurra a Jaime: Ricordati del papero. Jaime rimane, mentre Mary va a pescare.
Dopo vari giorni, nei quali Jaime fa sia i suoi compiti che quelli di Mary, Jaime non riesce più a sopportare la situazione e confessa tutto a sua nonna. Con sua sorpresa, la nonna gli dice: Lo sapevo già, Jaime, e gli dà un abbraccio. Ero vicina alla finestra e ho visto tutto. Siccome ti voglio molto bene, ti avevo già perdonato. Mi domandavo solo quanto tempo avresti lasciato che Mary ti trattasse come uno schiavo.
In questo piccolo esempio vediamo come, abitualmente, colpa e vergogna si manifestino unite. Se il piccolo Jaime avesse deciso di confessare la sua azione, tutto si sarebbe svolto in modo diverso. Contrariamente a quello che si può credere, la vergogna è un elemento importante per futuri comportamenti aggressivi, narcisisti e depressivi. Per questo, per aiutare molte persone, bisogna considerare che la vergogna può distruggere i benefici di un nobile pentimento che porti alla confessione, sia sacramentale o di un altro tipo.
D’altra parte, esistono già interessanti ricerche sul valore di sentirsi colpevole. Benché alcuni possano argomentare che la colpa non è un’emozione, né produttiva, né particolarmente utile (“sentirsi male per un’azione non risolve niente e non è utile per i colpiti dall’azione”), la capacità di ammettere il male fatto senza soccombere alla credenza che uno è velenosamente “cattivo in tutte le cose” dimostra una grande maturità emozionale e, di fatto, permette che si producano ulteriori riparazioni.
Tutto quanto detto in precedenza dovrebbe farci pensare quanto sia importante manifestare le nostre colpe, con semplicità, senza drammaticità. Non solo per gli effetti psicologici prima menzionati, bensì in particolare perché Cristo oggi ci dice che il suo desiderio di trasmetterci la pace si materializza ricevendo il perdono dei peccati, senza considerare se siano grandi o piccoli, l’importante è imparare a camminare in quel modo sincero e totale di confessione, come il nostro padre Fondatore ci ha insegnato nell’Esame di Perfezione.
Quando nel Sacramento della Confessione o Riconciliazione, il sacerdote recita la formula di assoluzione, ricorda che la pace è unita al perdono e che questo procede dal Padre: Dio, Padre misericordioso, che ha riconciliato a sé il mondo nella morte e resurrezione del suo Figlio e ha effuso lo Spirito Santo per la remissione dei peccati, ti conceda, mediante il ministero della Chiesa, il perdono e la pace.
Possiamo andare oltre. Gesù c’insegna che la possibilità e la misura di amare con pienezza non viene data semplicemente per avere una qualche esperienza di essere stato amato, bensì per essere stato perdonato con amore. Questo fu dichiarato dallo stesso Cristo, riferendosi alla donna che lavò i suoi piedi con un profumo costoso: Per questo ti dico: le sono perdonati i suoi molti peccati, poiché ha molto amato. Invece quello a cui si perdona poco, ama poco (Lc 7, 47). Qui vediamo già che la persona a cui non si è perdonato, o non ha accolto il perdono, può amare, questo possiamo farlo tutti, ma, senza avere ricevuto e accolto il perdono, il nostro amore sarà sempre “poco.”
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Non dobbiamo dimenticare che Pentecoste significa un’altra realtà che lo Spirito Santo rende possibile e che la convivenza, la storia ed i giornalisti insegnano che non si può ottenere altrimenti: l’unità.
Dove comincia a incrinarsi l’unità? La psicologia e la vita spirituale danno la stessa risposta: ci precipitiamo a reagire “come sempre”, non siamo capaci di dare un nome e classificare i nostri pensieri ed i nostri desideri. E questo ha conseguenze immediate, ci ruba la pace e ci separa dal prossimo, a volte rendendolo invisibile e a volte vedendolo come nemico. Il vantaggio di chi cammina unito a Cristo è che Egli ci aiuta a decidere quello che è inutile o pericoloso e quello che può essere prezioso, quali perle dobbiamo abbandonare e quale dovremmo comprare in ogni istante.
Se Cristo ci dice che saremo riconosciuti come suoi discepoli per l’amore che avremo tra noi, è a motivo del fatto che questa unità, perseverante, in mezzo alle difficoltà e nonostante la nostra mediocrità, è qualcosa di letteralmente venuto dal cielo.
Normale è che le persone di maggiore età invidino i più giovani; normale è che i più giovani si spazientiscano con gli anziani; normale è che le sensibilità di donne e uomini li separino; normale è che le diverse culture vedano Cristo con sfumature diverse… E è normale mettere un’etichetta ad una persona in modo che la nostra misericordia verso di lei sia mutilata. Ma lo Spirito Santo ci dà una visione comune, uno stesso sguardo. Come diceva Papa Francesco, ci fa contemplare un mondo di sorelle e fratelli affamati di misericordia.
Questa ricerca, questa fame di misericordia è utilizzata dallo Spirito Santo per portarci più vicino al Padre, per mezzo di quello che il nostro Fondatore chiama la Supplica Beatifica che si manifesta nella Beatitudine che sentiamo per la sua compagnia e lo Stigma, il segno che lascia in noi per condividere il Suo dolore, il suo anelito di averci sempre più vicino.
Il problema è quando ci lasciamo trascinare dagli istinti che ci chiedono di saziare quella fame in qualunque modo, senza guardare il nostro prossimo, né il nostro futuro, senza fermarci un istante a vedere che Cristo non ci ha abbandonati e mantiene la sua promessa di stare al nostro fianco fino alla fine dei tempi.
Sappiamo bene che i primi apostoli erano molto diversi tra loro. Inoltre, come racconta la Prima Lettura, anche le persone che li ascoltavano avevano provenienze e lingue molto differenti. In tutti si manifestò la sorpresa di vedere una comunità fermamente unita. Forse – al di là della lingua – non capirono molto di quello che dissero i discepoli, ma i loro cuori furono toccati dall’armonia che videro in essi, alcuni dei quali erano violenti, altri poco diplomatici, alcuni timidi ed altri più intrepidi; ma questo, in quel momento, grazie allo Spirito Santo, non era la cosa più importante.
Il nostro Superiore Generale, Fernando, lo ha espresso meravigliosamente alcuni giorni fa in Ecuador: Dobbiamo lasciarci curare da Cristo. Questa cura significa aiutarlo a condurre tutti verso il Padre. Sorprendentemente, questa forma di estasi, questo sguardo al di fuori di noi stessi, è la medicina insospettata, il rimedio capace di curare, allo stesso tempo, la nostra divisione interiore e la mancanza di unità tra noi.
Nei Sacri Cuori di Gesù, Maria e Giuseppe,
Luis Casasús