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di p. LuisCasasús, Superiore Generale dei missionari Identes. Gerusalemme, 18 agosto 2019. XX Domenica Tempo ord.

Geremia 38, 4-6.8-10; Ebrei 12, 1-4; Luca 12, 49-53.

Una volta il famoso filosofo Diogene stava seduto al bordo della strada, mangiando un piatto di poltiglia. Uno dei suoi ricchi amici dell’infanzia passò di lì su un cavallo bianco e vestendo vestiti lussuosi. Gli disse: Diogene, se imparassi a lusingare il re, non dovresti mangiare quella pappetta. Diogene disse: Oh, stai sbagliando molto. Semplicemente, se tu fossi capace di mangiare questa pappetta, non dovresti lusingare il re.

La domanda è: Che cosa è realmente importante per me? Qual è la priorità e come posso vivere ora lo Spirito del Vangelo?

Cristo non fu mai tollerante, né col male, né con la mediocrità. Dove molti oggi insegnano tolleranza ad ogni tipo di comportamento concepibile, Egli traccia una linea divisoria tra le azioni buone e quelle immorali. Quando anche noi facciamo questo, con parole o azioni, non dobbiamo sorprenderci di trovarci in conflitto con altre persone nella comunità, nella nostra famiglia, e perfino in conflitto con noi stessi.

Come succede sempre, anche Gesù sperimentò questo tipo di difficoltà. Ci furono alcuni che ricevettero il suo messaggio e lo seguirono; ma molti altri respinsero la sua Parola e tentarono di disfarsi di Lui. Come scrisse Benedetto XVI: Il mondo ci promette comodità, ma non fummo creati per la comodità. Fummo fatti per la grandezza. Le provocatorie parole di Gesù c’invitano ad una vita di grandezza, non ad una vita di comodità senza disturbi. Non è un programma tranquillo, ma è qualcosa di sacro e bello. Gesù avvisò i suoi discepoli: Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo …(Gv 15, 18-19).

La Prima Lettura di oggi rappresenta un chiaro esempio di questa situazione.

A Gerusalemme, nell’anno 586 a. C., la situazione era disperata. La città era circondata dall’esercito di Nabucodonosor; la gente moriva di fame, ma i generali volevano resistere ad ogni costo. Il re Sedecia non osava opporsi alla loro volontà. È un momento drammatico e Geremia è l’unico che non perde la testa. È un uomo di pace, riflette, è cosciente dell’inutilità della resistenza armata e suggerisce la resa. La sua proposta provoca l’indignazione degli ufficiali che si rivolgono al re e dicono: Quest’uomo deve essere giustiziato perché sta indebolendo la volontà dei guerrieri…. non sta cercando di salvare il popolo, ma ne cerca la sua disgrazia. Il re li ascolta e alla fine approva. Geremia viene imprigionato e gettato in una cisterna piena di fango.

È la sconfitta del profeta che si sente abbandonato da tutti: dagli amici, dai suoi familiari e perfino da Dio, che gli aveva promesso protezione (Ger 1, 8).

Ma, inaspettatamente, appare un uomo giusto, uno di quelli che non possono tacere davanti all’ingiustizia. Si chiama Ebed Melech, uno straniero, un africano che ha servito per molto tempo alla corte del Re. Si presenta a Sedecia e dice: Mio Re e Signore! Questi uomini hanno agito con malizia.

C’è bisogno di molto coraggio per pronunciare quelle parole davanti al re ed andare contro le persone più influenti della nazione… Il re l’ascolta e ordina di liberare il Profeta.

Questo evento non è un incidente isolato. Tutti quelli che proclamano la parola di Dio sono sempre trattati così. Il suo messaggio, presto o tardi, si scontra con gli interessi dei potenti che cominciano a perseguitarli e fanno di tutto per farli tacere o perfino eliminare: violenza fisica, esclusione, disprezzo, denigrazione, minacce…Basta pensare a quello che succede a coloro che che fanno proposte autenticamente evangeliche, a coloro che esigono una maggiore trasparenza nell’uso del denaro, la rinuncia ai privilegi… come sono trattati, a volte perfino dai fratelli della loro comunità di fede.

Ma Dio non abbandona i suoi profeti quando sono perseguitati, isolati, o gettati nel fango. Egli sta sempre dalla loro parte, forse ispirando alcune persone semplici, oneste e coraggiose, come l’etiope Ebed Melech, per continuare a portare la torcia in alto.

Questa è l’esperienza dell’autore della Lettera agli Ebrei. La comunità alla quale si dirige sta passando un momento molto difficile e sono tentati ad abbandonare la loro fede. Le difficoltà erano cominciate immediatamente dopo la loro conversione: erano stati oggetto di abusi, spogliati dei loro possessi, imprigionati (Eb 10, 32-34). e la situazione era peggiorata, fino al punto che anche le loro vite erano in pericolo.

L’autore della lettera cerca di incoraggiarli, li invita a non scoraggiarsi, a non arrendersi perché, come dice, è un’occasione speciale che permette loro di mostrare, a Cristo e ai loro simili, il loro amore e fedeltà.

Qual è il fuoco che Gesù è venuto a portare sulla terra? E qual è il battesimo che doveva ricevere?

Il battesimo è stato il momento in cui Cristo ha ricevuto la missione dal Padre. Ha descritto la sua missione in termini di fuoco e battesimo, i quali ci parlano di pulizia e purificazione. Anche il fuoco è un simbolo d’amore. Allora, tanto il fuoco come il battesimo simboleggiano l’opera purificatrice di Gesù.

Battezzare significa immergersi e Gesù si riferisce alla sua immersione nelle acque della morte (cf. Mc 10, 38-39). Quest’acqua è stata preparata dai suoi nemici per estinguere per sempre il fuoco della sua Parola, del suo amore e del suo Spirito. Tuttavia, si è prodotto l’effetto contrario: questo fuoco acquisisce una forza incontrollabile. Cristo contempla con angoscia la passione che l’aspetta: si vede oppresso dalla tempesta dell’umiliazione, della sofferenza e della morte, ma sa che, uscendo da queste acque oscure, la domenica di Pasqua, comincerà il nuovo mondo.

Ma c’è ancora di più. Una purificazione significa sempre una trasformazione di qualcosa di buono in qualcosa di migliore, di perfezionato. Questo è il caso dell’amore. Cristo cerca anche di purificare il nostro amore, come aveva già annunciato il profeta Malachia: Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me (…) Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai. Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento …(Ml 3, 1-3).

San Giovanni Battista annunciò la venuta del Messia con parole impressionanti: Egli vi battezzerà in Spirito santo e fuoco… Brucerà la pula con un fuoco inestinguibile (Mt 3, 11-12).

L’amore, per il mondo, è dirsi cose buone gli uni gli altri, perfino se si stanno sbagliando. Spesso l’ipocrisia e la falsità si mascherano da amore. L’eutanasia si fa per amore dei malati, degli anziani e di coloro la cui vita sembra non avere più valore. L’aborto si realizza in nome dell’amore perché non vogliono che soffra il bambino non desiderato. Anche il sesso casuale si promuove in nome dell’amore, poiché così entrambe le persone possono godere l’una dell’altra.

Ma sappiamo che si tratta di un amore egoista:

L’eutanasia si pratica non perché desideriamo che gli anziani ed i malati non soffrano, bensì semplicemente perché non vogliamo che siano un disturbo ed un ostacolo alla nostra libertà di fare quello che vogliamo. Ma l’amore non cerca la separazione, indipendentemente dalla condizione della persona.

Neanche l’aborto è per il bene del neonato non desiderato, bensì affinché quelli che lo hanno concepito possano continuare a vivere le loro vite senza nessun impegno e responsabilità. Ma uccidere un neonato innocente ed indifeso non è amore.

Neanche il sesso libero è amore, perché l’amore è più che il mero piacere ottenuto con quel corpo. Se non c’è amore, il sesso è anodino. Il sesso semplicemente per il piacere degrada la persona ed il suo corpo, trasformandolo in qualcosa per essere usato, manipolato e poi rifiutato. Il sesso ed il corpo sono sacri perché sono mezzi per esprimere intimità ed amore.

Il mostrare parzialità, avere accezione di persone, fare differenze tra esse e le diverse forme di favoritismo, sono segni chiari che i nostri motivi e le nostre intenzioni sono terreni.

Un altro sintomo delle nostre intenzioni miste è la nostra falsa umiltà che a volte conduce a situazioni ridicole:

Due sacerdoti stavano servendo in una chiesa. Il parroco si inginocchiò davanti all’altare e disse: Signore, abbi pietà di me, io sono il più grande di tutti i peccatori! Il suo assistente cadde in ginocchio al suo fianco ed esclamò: Signore, abbi pietà di me, non sono altro che un malvagio dalla testa ai piedi! Ascoltandoli, l’anziano pulitore, che stava scopando la chiesa, lasciò la sua scopa, si avvicinò e si inginocchiò al loro fianco dicendo: Signore, abbi pietà di me; anche io sono un peccatore, come tu sai, Oh, Dio mio! L’assistente si voltò verso il parroco e disse indignato: Ma guarda questo! Chi si crede di essere?

Un amore purificato è quello che è stato spogliato del nostro desiderio di utilizzare le altre persone, di guadagnare fama, di lusingare le persone per il nostro beneficio e non per il loro bene, di parlare delle persone per il nostro profitto, di prendere da altri invece di dare, come San Paolo ci dice in 1 Corinzi 13, 3-10.

Perfino quando dedichiamo le nostre vite agli altri, sentiamo allegria e diamo senso alla nostra vita, ma non è sufficiente per soddisfare completamente la nostra anima. Dobbiamo vivere per la vita eterna. Per questo motivo Gesù dice: In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo regno (Mt 16, 28).

Possiamo solo desiderare di perdere la nostra vita terrena e fisica su questa terra quando vogliamo preservarla per tutta l’eternità nell’altra vita.

Pertanto, non dobbiamo vivere solo per i nostri simili, dobbiamo vivere per Dio. E, in verità, solo quando viviamo per Lui possiamo donarci pienamente ai nostri simili. Quando siamo animati da propositi puramente umani, presto o tardi ci sentiamo persi. Siamo chiamati a donare la nostra vita per la Sua causa. La pienezza della vita si ottiene quando viviamo per Cristo e così poter vivere totalmente per gli altri.

Per concludere, ritorniamo all’aneddoto di Diogene col quale abbiamo cominciato: So quali sono le mie vere intenzioni? Posso identificare la motivazione che c’è dietro ai miei atti d’amore? Lo Spirito Santo si sforza continuamente di purificare la mia intenzione, di modo che io possa essere un discepolo veramente innocente di Gesù Cristo.