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Santo

San Domenico Loricato, 14 ottobre

By 13 Ottobre, 2023Aprile 17th, 2024No Comments
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“Eremita, conosciuto per le sue penitenze estreme offerte a Dio con un senso penitenziale. Le iniziò spinto dall’impatto dei sospetti di dolo che ricaddero sopra la sua ordinazione sacerdotale e nella quale implicarono i suoi genitori”

Le fonti che ci permettono di conoscere qualcosa della vita di Domenico si trovano nell’ “Acta Sanctorum” di san Pier Damiani. Era un chierico camaldolese che scelse l’appartato ambiente della montagna per vivere una vita penitenziale insieme ad altri eremiti. Digiuno, mortificazioni, silenzio e lavoro furono le cadenze di un’orazione che elevò a Dio senza sosta con un senso penitenziale che abbracciava gli altri, insieme all’afflizione per sè stesso. Quest’ultimo è uno dei pochi fatti ai quali si possa dare credibilità. Perché gli ascendenti di questo santo sono avvolti in elucubrazioni; non vengono fondamentati; sono tentativi di fissare quello che in nessun modo può essere contrastato, e, pertanto, vani. Così, come luogo di nascita di Domenico si mescolano Cagli, Cantiano, Luceoli… Niente si sa di ciò con certezza. È da supporre che poté vedere la luce in un luogo confinante tra le Marche e l’Umbria, scenario della sua vita penitenziale, alla fine del secolo X.

Da san Pier Damiani che, dopo la morte del santo monaco, si preoccupò di plasmare sicuramente la parte che meglio conosceva e che più lo colpì di lui, sappiamo del suo eccelso senso dell’onore e della dignità che segnò tutta la sua esistenza al punto di dedicarsi ad estreme e severe discipline, espiando anche una mancanza che non commise. Il fatto si produsse quando aveva l’età per essere ordinato sacerdote, ed i suoi genitori che aspiravano ad ottenere per lui un futuro promettente nella Chiesa, sembra che mettessero le basi niente meno che di un peccato di simonia per ottenere dal vescovo la sua ordinazione sacerdotale mediante il regalo di una pelle di capra. Emozionato per questo fatto doloso, del quale ebbe notizia successivamente, Domenico non volle più celebrare la santa messa, né esercitare la missione pastorale che gli sarebbe toccata data la sua condizione sacerdotale acquisita tra gli anni 1015 e 1020. I dubbi sulla sua ordinazione, effettuata su questo presupposto di fango, pesarono come il marmo su di lui; almeno lo fece il sospetto che ricadeva sul sacramento, o così lo intese. E l’unica uscita che vide fu purgare questo peccato dei suoi genitori con un grado altissimo penitenziale nella vita monastica.

Nella regione dell’Umbria si trovava allora un grande eremita, Giovanni da Montefeltro che presiedeva una comunità di camaldolesi di Luceoli formata da diciotto monaci. Domenico lo incontrò e chiese di essere accolto. Soddisfatta la richiesta, per un tempo convisse con loro senza vacillare davanti al rigore che si era imposto. Esagerato nell’austerità e nelle mortificazioni faceva sempre di più dei suoi compagni, che erano soddisfatti della già di per sé severa esistenza che portavano avanti. Si rivestì con una specie di camicia di ferro a maglie fitte (“lorica”; di lì il soprannome di “loricato”), dalla quale non si staccò mai eccetto che per applicarsi le discipline (fruste). Non è difficile immaginare quello che poté supporre portare tale cilicio per un quarto di secolo, come egli fece. La flagellazione era tanto virulenta e continua che cambiò perfino il colore naturale della sua pelle, a furia di rimanere intrisa di sangue.

Intorno al 1043 li lasciò per unirsi ai benedettini del monastero di Fonte Avellana, dipendente della diocesi di Gubbio. San Pier Damiani che ne era il capo in quel momento, presto si commosse per la veemenza della sua orazione, e per l’austerità e durezza delle punizioni che si infliggeva. Oltre a vestire la corazza, incatenava le sue membra, e in quel modo continuava pregando con le braccia in croce mentre recitava il Salterio, con l’unica misura che gli permetteva la sua resistenza che non era poca. Così infilava molte volte le notti col giorno. Sottoposto al digiuno, si alimentava solo con pane, acqua ed alcune erbe, poiché se cadeva nelle sue mani un altro tipo di alimenti li distribuiva tra i malati ed i poveri; neanche si permetteva il minimo riposo, e quando lo faceva, in generale, vinta la sua sopportazione, dormiva sulle ginocchia. Sembrandogli poco gli eccessi che realizzava, sollecitava anche il suo confessore ad imporgli penitenza. Era frequente vederlo assorto nella contemplazione, e rispondeva sempre con concisione e rigore alle domande che gli facevano qualunque esse fossero. Era premiato col dono delle lacrime che versava mosso dalla sua intensa afflizione per i suoi peccati e quelli degli altrui.

Nel 1049 San Pier Damiani lo mise a capo dell’eremo della Santissima Trinità, eretta da lui a Monte San Vicino (attuale Apiro, Macerata). Non presidiò mai come priore il monastero di santa Maria di Sitria, come qualcuno ha sostenuto. Quello che successe è che ritornò a Fonte Avellana per poco tempo; breve fu anche la sua permanenza a san Emiliano in Congiuntoli. Cosicché si può affermare che praticamente passò il resto della sua vita alla Santissima Trinità dove si trovava nell’anno 1059. Come era prevedibile, la cruda riparazione che portava avanti, compresi i digiuni, lo colpirono gravemente e morì il 14 ottobre 1060, proprio quando i suoi fratelli si disponevano a cantare la prima, dopo aver avuto la grazia di poter pregare insieme a loro. Alla fine dell’anno seguente San Pier Damiani redasse la menzionata biografia per suggerimento del pontefice Alessandro II. Allora, la fama di santità di Domenico, e l’impatto delle sue durissime penitenze e mortificazioni, portate avanti nel silenzio offerente di una semplice cella, avevano attraversato i muri del convento.

 

© Isabel Orellana Vilches, 2018
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