
“Questo padre e maestro dei predicatori, fondatore dei domenicani, ebbe la grazia di nascere in una famiglia virtuosa. I suoi genitori e i suoi fratelli sono venerabili e beati. La Vergine gli fece dono del Santo Rosario. E’ patrono di Bologna”
Nacque verso il 1170 a Caleruega (Burgos, Spagna). Félix de Guzmán, suo padre, fu proclamato venerabile dalla Chiesa e Juana de Aza, sua madre, beata. I suoi fratelli seguirono le sue orme. Antonio è venerabile e Manés beato. In questa casa le virtù evangeliche erano alimento di ogni giorno. Sembra che Juana trovandosi incinta facesse un sogno nel quale le si anticipava la gloria che Domenico avrebbe dato alla Chiesa con la sua predicazione, illuminando la terra, fulgore che la sua madrina notò quando il bambino era già nato. Importanti visioni allegoriche confluirono nella stessa idea.
Uno zio materno, arciprete, l’istruì a Gumiel de Izán. Poi, proseguì gli studi a Palencia. Sperimentava una sete insaziabile di approfondire la Sacra Scrittura, e l’anelito di incarnare le virtù che imparava da essa. Studiava intensamente, sottraendo ore al sonno. La sua pietà e carità diventarono manifeste quando la fame distrusse gran parte della Spagna accanendosi anche a Palencia. Per soccorrere i disastrati si staccò dai testi sacri. Ripartiva tra i poveri il suo denaro e gli utensili guidato da questa idea: “Non voglio studiare su pelli morte, mentre gli uomini muoiono di fame”. Vedendo questa edificante testimonianza, altri l’assecondarono. L’orazione, che fu il canone della sua vita, lo condusse alle alte cime della mistica. Infuocato di amore divino, non poteva evitare di proferire ad alta voce esclamazioni che germogliavano dal più intimo del suo essere. Supplicava fervidamente Cristo che gli concedesse la grazia della carità e, insieme ad essa, quella apostolica; era persuaso che l’autentico seguace del Maestro sente ardere dentro di sé la chiamata a condividere la fede senza riposo; la sua passione è portare tutti verso di Lui. Questa è la garanzia di autenticità, il segno che caratterizza i suoi genuini discepoli.
Il vescovo di Osma, Martin de Bazán, era al corrente della grandezza e fedeltà di questo giovane, pieno di allegria e buon umore, il cui orizzonte era Cristo, e lo designò canonico regolare. Fu anche sagrestano del consiglio comunale e vice-priore. Ma non si lasciò tentare dalla fama, dal potere e dal prestigio. Il suo unico anelito era compiere la volontà di Dio e servire il prossimo. Nel 1202 accompagnò il nuovo prelato ed il suo amico, Diego di Acebes, in una missione diplomatica nel sud della Francia, missione affidata loro dal re Alfonso VIII. Allora constatò la pericolosa egemonia degli eretici ed una dolorosa presenza dei lontani dalla fede. A Tolosa spinto da un grande zelo apostolico intavolò una discussione col proprietario della foresteria per una notte intera fino a che riuscì ad attrarlo alla verità.
Diego era un uomo virtuoso. In un altro viaggio che realizzò in Francia alcuni predicatori sconfortati per il fallimento della loro missione contro gli albigesi, chiesero il suo giudizio circa quello che poteva motivare tanta sterilità. Non dubitò; associò la scarsità di benedizioni con l’improprio esempio di vita che davano, retto dalla pompa e dalla ostentazione. Egli stesso si staccò dai suoi accompagnatori e dalle loro ricchezze, e insieme a Domenico e ad alcuni presbiteri abbracciò la povertà e la mendicità. L’impatto della sua virtù fu di tale calibro che le conversioni germogliarono a fiumi. Intorno al 1206 stabilirono il quartiere generale dei tanto intrepidi apostoli in un monastero che acquistò in Prulla, vicino a Fanjeaux. L’obiettivo era accogliere donne cattoliche della nobiltà che, essendo divenute povere, erano affidate agli eretici che si occupavano di formarle; in quel modo le avrebbero riscattate da queste perniciose influenze. Si dice che mentre Domenico pregava in questo monastero, la Vergine gli fece dono del Rosario.
Nel 1207 Diego ritornò in Spagna, e lasciò il santo a capo della missione che poi sosterrà definitivamente perché quello stesso anno il suo amico morì. Quasi tutti gli altri rinunciarono al loro impegno e Domenico fu praticamente l’unico che perseverò. Dieci anni rimase a predicare nel sud della Francia unito a coloro che condividevano liberamente lo stesso ideale. Con la sua preghiera e le infervorate parole seppe toccare le fibre più sensibili dei suoi ascoltatori, compresi quelli che lo ridicolizzarono e vollero attentare alla sua vita. Sapeva che la preghiera è l’arma più potente che esista, che l’umiltà scava ogni resistenza e che contro la fede non c’è chi possa resistere. Domenico era valoroso; avrebbe desiderato spargere il suo sangue da martire. Di fatto, volle evangelizzare i temibili cumani che si trovavano in Germania, pur conoscendo la loro ferocia.
Intorno al 1215 pensò di fondare un Ordine. Ricevette l’entusiastico appoggio del prelato di Tolosa, Fulco, del conte Simón de Monfort e del ricco Pedro Seila che offrì due immobili che aveva nella città, così come di un altro cittadino, Tomás, che era un grande predicatore. Nel corso del IV concilio del Laterano, dove accompagnò Fulco, pregò Innocenzo III che benedicesse l’opera. Il pontefice sembrava reticente, ma come racconta la tradizione, in un sogno si dissolsero i suoi dubbi vedendo che san Francesco di Assisi e frate Domenico mantenevano eretta sulle loro spalle la basilica del Laterano senza lasciarla cadere. E li benedisse. Adottarono la regola di sant’Agostino, introducendo aspetti dei premostratensi e dei cistercensi.
Nel 1216 Onorio III approvò l’Ordine. Davanti alla risposta negativa di alcuni suoi frati che non volevano partire verso altri luoghi, o giudicavano che era in gioco lo sviluppo della stessa fondazione se erano inviati in luoghi diversi, si mantenne inflessibile: “Non mi contraddite! So molto bene quello che faccio”. L’Ordine si estese fruttuosamente. Volle che i suoi ricevessero una formazione universitaria rigorosa. Fondò in Francia, Italia e Spagna. Morì il 6 agosto 1221. Prima avvisò i frati che li avrebbe aiutati molto di più dopo la sua morte. Il suo testamento fu: “Abbiate carità, conservate l’umiltà, possedete la povertà volontaria”.
Gregorio IX, al quale l’unì una grande amicizia, lo canonizzò il 3 Luglio 1234. Come si racconta, manifestò nel suo ambiente: “Non dubito della sua santità più di quella degli apostoli Pietro e Paolo”.
© Isabel Orellana Vilches, 2018
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